Magazine Cultura
di Michelangelo Zecchini
Prima di analizzare un ritrovamento straordinario, qual è quello della strada etrusca del Frizzone, non si può fare a meno di disegnare, sia pure in sintesi, la storia del territorio in epoca etrusca e descrivere almeno i più importanti siti archeologici.
La piana lucchese fra VIII e V a.C.
Nella seconda metà dell'VIII a.C. sulle sponde del basso corso del Serchio nascono piccoli nuclei abitativi caratterizzati da un'economia prevalentemente agricolo-pastorale e da una cultura materiale che ha non pochi punti di contatto con il villanoviano dell'area volterrana ed emiliano-bolognese.
Nel VII e nel VI a.C. si infittiscono gli abitati sulle rive dell'Auser e dei suoi affluenti ma la vita appare non dissimile da quella del periodo precedente, anche nel costume funerario dove permane l'incinerazione. Il rito sepolcrale prevede l'uso di olle ovoidi d'impasto o, in casi isolati, di bucchero, destinate a raccogliere i resti dei defunti e un corredo molto modesto. Su di esse vengono
rovesciati a protezione un grosso pithos o, meno spesso, una ciotola o un bacino. Raramente l'ossuario è protetto da un coperchio litico circolare e chiuso da una cassetta composta da sei lastre litiche. In più di un caso è evidente un'organizzazione cimiteriale per gruppi familiari e l'uso di cippi
marmorei a forma di clava. In economia si comincia a notare una certa apertura commerciale (anfore, buccheri, bacini ceramici) verso i mercati regionali e dell'Etruria centro-meridionale. Non c'è dubbio che " la vera e propria esplosione degli insediamenti nella piana deve essere posta negli anni di passaggio fra VI e V a.C. La generale rivitalizzazione dell'Etruria nordoccidentale,
probabilmente dovuta a un nuovo vigore dei traffici sulle rotte tirreniche da Populonia a Marsiglia, e lungo gli itinerari appenninici, da Pisa/Volterra a Marzabotto/Bologna, ha immediati riflessi anche lungo il corso del Serchio. Alla moltiplicazione dei villaggi, che comunque continuano a condensarsi sulle rive del fiume, corrisponde una maggiore apertura commerciale segnalata puntualmente dalla capillare diffusione della ceramica attica a figure rosse. A questo
momento di floridezza, che continua nella prima metà del V a.C. e che traspare in modo generalizzato dai manufatti restituiti da abitati e sepolcreti e, in particolare, dal corredo funebre della tomba di Rio Ralletta, fra i più ricchi - se non fra i più raffinati - dell'intera Etruria, non è certamente estraneo il commercio del ferro dell'isola d'Elba, e forse dei minerali tratti (Nota 1) dalle Apuane, che i villaggi etruschi della piana e della valle, fungendo da centri di smistamento, redistribuiscono alla valle Padana. Tracce consistenti di minerale e scorie sono state trovate sparse in superficie nel padule di Bientina (ad esempio nel podere 40) e, in quantità modeste ma in associazione stratigrafica, a Fossa Nera e al Romito di Pozzuolo I. La presenza di scorie di ferro e pezzetti di ematite in alcuni agglomerati, e non in altri, può far pensare a una sorta di specializzazione nella pulitura delle masse ferrose, ma non certo ad un'attività metallurgica di
riduzione in loco. Se il perno dello sviluppo generale dell'economia è dunque da individuare nella mediazione dei prodotti del ferro, bisogna però precisare che in qualche abitato lo slancio mercantile è meno marcato e sono più evidenti aspetti complementari quali la tessitura e l'allevamento del bestiame. Comunque in quasi tutti gli insediamenti, a sottolineare le attività di mercatura, compaiono blocchetti di aes rude. Gli insediamenti, talora dotati di pozzi solidamente
strutturati a secco con pietre adattate, appaiono di dimensioni per lo più ridotte (Nota 2) e sono costituiti da poche case (2-4) ognuna delle quali occupa una superficie compresa fra i 40-50 mq di Chiarone III/Fossa Nera e i 70-80 mq di Ponte del Tiglio Podere 56/Romito di Pozzuolo I. Un caso per il momento unico è costituito da Tempagnano che, occupando con abitazioni e servizi vari un'area di
circa 1000 mq, presenta un'organizzazione insediativa più elaborata. Le case, dovunque, sono a prevalente struttura lignea e, a parte uno zoccolo basale di ciottoli che talvolta (Tempagnano, Ponte del Tiglio podere 56) compare su un lato, vengono innalzate secondo la tecnica a graticcio con travi portanti e assi lignei orizzontali, foderate con una stratificazione di rami e canne, argilla
pressata, intonaco lisciato e, a Pozzuolo, anche dipinto in avorio con bordature grigie. I tetti sono coperti almeno parzialmente con tegole piane (Fossa Nera, Montecatino, Romito di Pozzuolo). La cultura materiale è caratterizzata da un repertorio articolato di cui fanno parte oggetti a circolazione marittima (ceramica attica, anfore etrusche Py 3 e Py 4, anfore prodotte a Samos, anfore ionomassaliote
forse di manifattura sicula, macine in pietra eruttiva dalla Campania, pasta vitrea
orientale), e da oggetti di ambito locale o regionale come le ceramiche a inclusi scistosi e le ceramiche grigie o buccheroidi di produzione pisana con segni di alfabetizzazione fra i quali spicca il gentilizio [v] etale del Romito di Pozzuolo. Perdura la tradizione del rito sepolcrale consistente nell'olla-ossuario coperta da dolio o ciotola. Le varianti sono minime: tutt'al più, nei casi di defunti provenienti da classi privilegiate, a fungere da cinerario è un prestigioso cratere attico (Rio Ralletta e Isola di Bientina). Cambia profondamente, invece, l'organizzazione dei culti terreni. Non pochi abitati hanno il loro ambiente di culto privato, domestico, mentre in locis religiosis , di per sé suggestivi e comunque legati alla presenza di sorgenti o di acque, nascono luoghi di culto collettivi, veri e propri santuari (Buca di Castelvenere) capaci di richiamare ondate di pellegrini.
Dalla metà del V al terzo quarto del IV a.C. si verifica, dapprima poco percettibile
poi sempre più profonda, una crisi dovuta a più fattori concomitanti. Si deve rilevare, innanzi tutto, che gli Etruschi già nel 474 a.C. subiscono da parte dei Siracusani una non lieve disfatta navale nelle acque di Cuma, i cui effetti cominciano a farsi sentire sui traffici marittimi internazionali dai
quali, in maniera non episodica né marginale, dipende - mediata dal centro propulsore di Pisa - l'economia dei vici lucchesi. Ma è intorno alla metà del secolo che gli Etruschi vedono pesantemente attaccato il cuore dei loro interessi economici: infatti nel 454-452 a.C. le flotte siracusane si dirigono, sotto il comando di Faillo e di Apelle, contro l'Elba e, prima di occupare l'isola, mettono a ferro e a fuoco i centri marittimi dell'Etruria minandone la sopravvivenza. C'è da
chiedersi se non siano da collegare ad azioni del genere sia le vistose e diffuse tracce d'incendio con cui, negli strati 8 e 7, si conclude la prima fase di vita, o tardoarcaica, dell'abitato di Pozzuolo (Cfr., infra, il sito n. 3), sia i legni combusti e i due strati di bruciato che chiudono la sequenza stratigrafica nel podere 56 di Ponte del Tiglio.
E' possibile comprendere compiutamente quale stato di aleatorietà e quali difficoltà caratterizzino quei momenti, anche per gli Etruschi lucchesi, se si pensa anche alle pressioni esercitate via terra dalle invasioni celtiche. Per di più, a completare il quadro, non si può non fare riferimento alle disastrose inondazioni del Serchio i cui sedimenti sigillano non pochi degli insediamenti etruschi di V secolo finora scavati. Esemplare, a tale proposito, è lo spaccato stratigrafico dell'abitato etrusco di Fossa Nera (Cfr., infra , il sito n. 4) in cui sono documentati due eventi alluvionali intercalati con altrettanti livelli di vita. Che le inondazioni della metà circa del V a.C. abbiano avuto un effetto devastante e progressivo, non localizzato a Fossanera ma esteso all'intero padule di Bientina, scardinando il sistema abitativo d'epoca etrusca tardoarcaica, lo dimostra il fatto che intorno a quella data, o poco dopo, cessa il ciclo vitale dei villaggi finora indagati. Gli effetti di un tale stato di cose si fanno sentire anche nei giacimenti della valle del Serchio: non è certo un caso, ad esempio, che la frequentazione etrusca del santuario rupestre di Castelvenere si esaurisca con la kylix attica dipinta dal pittore di Kódros intorno al 430 a.C. Pare ragionevole ipotizzare, anche se allo stato non possediamo documentazioni archeologiche, che lo sciame esondativo si sia protratto per parecchi decenni e che siano stati proprio gli eventi climatici, associati con forti e prolungati episodi di crisi politico-sociale, a generare quel vuoto di insediamenti che tra fine V e buona parte del IV a.C. a tutt'oggi sembra caratterizzare valle del Serchio e piana lucchese.
I principali siti archeologici
1) Rio Ralletta di Capannori
Nell'agosto del 1892, corso di lavori di bonifica effettuati nella parte
settentrionale del bacino dell'ex lago di Bientina, a 400 metri dal canale Rogio e a 20 dal fosso n. 9, il piccone degli scavatori occasionali si imbatté, alla profondità di metri 1,50 in una lastra di pietra che ricopriva una grande olla in ceramica comune. Quest'ultima conteneva un ossuario dipinto e gli oggetti di corredo di una ricca tomba muliebre. Oltre al prestigioso cinerario ( un cratere attico a
colonnette, con scena di Teseo e Minotauro, dipinto dal cosiddetto Pittore del Porco)(Nota 3), vennero in luce due grani d'ambra e un complesso altrettanto prestigioso di oreficerie in lamina decorate a stampo e a cesello (2 orecchini a bauletto, 1 spillone per capelli, 11 fibule, diversi pendenti per collana conformati a figurina d'arpia o a coroncina o a ghianda(Nota 4), sei placchette da veste), che fanno collocare la sepoltura muliebre intorno al 470 a.C. La tipologia del corredo funebre denota con chiarezza che siamo in presenza di uno di quei casi di accumulo di ricchezza certo non infrequenti in un momento in cui i villaggi della piana e della valle si aprono a flussi commerciali notevoli.
Fig. 1 Kelebe a figure rosse (circa 470 a.C) trovata nella tomba del Rio Ralletta (Capannori). Lucca, Museo di Villa Guinigi.
Prodotta nell’Attica (Grecia) e importata in Etruria, essa conteneva le ceneri della donna insieme con un ricco corredo funebre consistente in oreficerie e collane d’ambra. La superficie orizzontale del vaso è decorata con un fregio di foglie lanceolate, mentre all’attacco superiore delle anse sono dipinte due palmette. Il piede, che è del tipo a triplo gradino, ha un fregio a raggi. Sulla parte centrale è raffigurato Teseo che, vestito di un corto chitone, tiene il Minotauro, già in ginocchio, per un corno con la mano sinistra e con la destra gli immerge una spada nel costato.
Un cratere molto simile come forma e come raffigurazione è stato trovato nella necropoli etrusca di Spina ed è stato attribuito a un artista greco cosiddetto Pig Painter.
Fig. 2 Coppia di orecchini a bauletto (circa 470 a. C.) rinvenuti nella tomba del Rio Ralletta (Capannori ). Lucca, Museo di Villa Guinigi. Sono costituiti da una lamina ricurva decorata a sbalzo con una testa di Gorgone che ha capelli spioventi sulla fronte, occhi grandi, guance rigonfie, lingua protrusa. Il cilindro inferiore presenta aperture rettangolari marginate da cerchielli. Gli orecchini mostrano sul lato opposto una rosetta a sei petali e terminano con appendice ad anthemion.
Fig. 3 Lucca, Museo di Villa Guinigi, oreficerie dalla tomba di Rio Ralletta , Capannori (circa 470 a.C.) : a sinistra, una placchetta
decorativa per veste, due pendenti di collana raffiguranti un’ arpia, una fibbia; sopra, pendenti di collana a forma di fiore di loto, di pigna e di coroncina.
2) Buca di Castelvenere- Fabbriche di Vallico
La cavità si apre a circa 650 metri di altitudine, all'estremità orientale di uno sperone calcareo subverticale del Monte Penna, presso Vallico di Sopra. La spelonca, sul cui lato sinistro scorre un ruscello, presenta un'ampia imboccatura irregolarmente rettangolare rivolta a sud. Essa fu esplorata, nel 1974, con una campagna di scavi curata da chi scrive e dal Centro di studi archeologici di Lucca per conto dell'Istituto di Paleontologia Umana dell'Università di Pisa. Nel riempimento di due vasche naturali, peraltro
sconvolto e rimosso in epoche diverse, furono scoperti un piccolo cane di bronzo, un anello d'argento con palmetta, numerosi frammenti di una coppa attica a figure rosse forse dipinta dal pittore di Kódros, artista operante nel terzo venticinquennio del V a.C., sulla quale compaiono frammenti di iscrizioni in lettere greche e la sequela kalós. Di eccezionale interesse fu il recupero di una trentina di singolari bronzetti schematici a figura umana (altezza 4,5-5,0 cm), ermafroditi (Nota 5) e femminili (Nota 6) ( tipo A), che per le differenze, anche se non sostanziali, nei particolari, denotano la provenienza da una pluralità di matrici tipologicamente affini. Frutto di una medesima concezione tecnico-stilistica e religiosa...essi hanno la testa generalmente appuntita per l'acconciatura dei capelli; nel volto spiccano il naso, spesso leggermente adunco talvolta tanto pronunciato da sembrare un rostro, e la bocca sottolineata da una rientranza lineare; gli occhi invece sono puntiformi e gli orecchi sono nascosti dall'acconciatura dei capelli che invadono parte del viso; il collo è di solito corto ma non tozzo; le spalle si aprono a semiarco per continuarsi nelle braccia che corrono in senso longitudinale fino alle anche, pressoché parallele al corpo; le mani, più o meno accentuatamente palmiformi, hanno le dita indicate da piccoli solchi verticali; il torso, largo all'innesto con le braccia, subisce poi una rastremazione e si allarga di nuovo all'attacco degli arti inferiori; questi ultimi, con soluzione affatto originale, si incurvano a foglia e si riuniscono per terminare in un cuneo funzionale (Nota 7).
Di concezione figurativa leggermente diversa (tipo B) è una placchetta bronzea non laminare, a figura umana, alta 5,5 cm, dalle braccia corte aderenti al tronco, al cui interno si scorge il profilo tipico dei bronzetti femminili del Gruppo Castelvenere con incisione vulvare a tridente. In quell'occasione un sostanzioso lembo di deposito fu lasciato intatto, in maniera improvvida, come testimone per una futura verifica stratigrafica. La conseguenza fu che esso, in breve tempo, fu asportato senza troppi complimenti con il suo ricco contenuto di bronzetti, la maggior parte dei quali, per fortuna, sono stati riacquisiti alla fruizione pubblica fornendo, se non altro, un'ulteriore testimonianza dell'intensità nell'uso della grotta. Durante la campagna di scavo furono notati, ma non raccolti, numerosi e minuscoli frammenti di bronzo, da considerare prodotto di rifinitura in loco o scarti di lavorazione piuttosto che frutto di un processo di frantumazione naturale. Tale circostanza e la straordinaria concentrazione di offerenti dello stesso Gruppo laddove in altri siti (Campo Servirola, Ponte Gini) il tipo compare per ora con un solo esemplare, costituiscono indizi non lievi di una produzione interna, e
probabilmente di una distribuzione sul posto, tale da esercitare un largo richiamo di devoti da un largo tratto dell'Etruria appenninica.
Nel 1979 la ricerca fu ampliata al tratto compreso fra l'imboccatura della Buca e un muraglione costruito all'esterno probabilmente in epoca medioevale. Furono recuperati altri bronzetti integri e frammentari (una ventina), di cui la maggior parte del tipo A, due a placchetta non laminare del tipo B e uno riferibile a un tipo C, identico a B quanto a testa e gambe ma diverso nel tronco, più
allungato, e nelle braccia, un po' distanziate dal corpo.
Non c'è dubbio comunque che la grotta, un vero e proprio santuario rupestre, sia stato frequentato da comunità etrusche per culti connessi con le acque e, forse, per riti propiziatori alla fecondità.
3) Romito di Pozzuolo. Gli scavi condotti nel l984 e nel l985 dalla Soprintendenza archeologica e dal Centro di studi archeologici, e finanziati dai Supermercati Superal, su un colle che con i suoi 165 metri di altitudine domina la piana occidentale e il sottostante Ozzeri, relitto del fiume Auser, hanno fatto affiorare i resti di una notevole casa etrusca che si estende su circa 80 mq. Scavata in
parte nella roccia scistosa del posto, essa aveva pareti con intelaiatura in legno costituita da robusti pali infissi nella roccia di base e legati tra loro per mezzo di travi orizzontali. Gli spazi liberi di questa struttura portante erano occupati da un intreccio di canne riempito d'argilla e poi coperto da uno strato d'intonaco di calce dipinto in avorio con bordature grigie. Il tetto era coperto - forse
parzialmente - con tegole piane e aveva più o meno la forma dei tetti moderni. Intorno al 450 a.C. l'abitato fu distrutto da un incendio com'è dimostrato da una significativa concentrazione di travi, pali e paletti combusti negli strati 7 e 8 (in particolare nei quadrati III-IV/HG, quote - 139/-159).
Il deposito archeologico, spesso 2,80 metri, è stato distinto in 11 strati corrispondenti a tre fasi abitative, di cui l'ultima (strati 3-1), sconvolta da lavori moderni, è di difficile esegesi. La prima (strati 11-7) ha una cronologia compresa fra il 500 e il 450 circa a.C.. Fra i materiali compaiono, oltre a frammenti di embrici e di intonaco, pochi frammenti di bucchero mentre sono ben attestate le ceramiche buccheroidi, le ceramiche a inclusi scistosi (soprattutto olle), la ceramica grigia di produzione locale o regionale. Dal terreno di risulta proviene un piccolo frammento di ceramica attica a figure nere. Sul fondo interno o esterno di alcune coppe, oppure vicino al piede, o sul labbro di olle, sono graffiti segni o lettere isolate (alfa, epsilon, chi, phi, spirante labiodentale 8). E' stata
notata una sola sequenza sinistrorsa di cinque lettere interpretabile come [-] etale. Dagli strati 8 e 9, oltre a pochi pezzi di aes rude, due scorie di ferro e due di ematite (Nota 8), provengono numerosi frammenti di pietra lavica grigia, pozzolanica, con grossi cristalli e superficie alterata, pertinenti a
macine(Nota 9).
4) Fossa Nera di Porcari
Gli scavi diretti da chi scrive fra il 1987 e il 1998 (su concessione del Ministero dei Beni Culturali al Comune di Porcari) hanno portato in luce, sulla riva sinistra dell'antico Auser, una fattoria tardorepubblicana a pianta pressoché quadrata (la superficie coperta del solo nucleo principale si calcola in circa 360 metri quadrati) munita di palmento, pozzo, aie, fienili, ricoveri per animali e attrezzi. Essa fu costruita fra il l70 e il 150 a.C. allorché la piana
di Lucca, resa ormai sicura dalle incursioni delle tribù liguri delle montagne, conobbe una prima colonizzazione da parte dei Romani. L'area finora scavata si trova oggi a poco più di 200 metri a nord del torrente Rogio, relitto del fiume Auser. Quest'ultimo in epoca protostorica ed etrusca lambiva da settentrione il sito archeologico di Fossanera, particella 183, mentre in epoca romana scorreva un centinaio di metri più a sud e attraversava, con un alveo largo 60-70 metri, le particelle 186-190. Per l'appunto su un dosso della riva destra dell'Auser fu edificato un villaggio dell'Età del Bronzo con reperti in gran parte riferibili alla fase recente/finale (XII-X a.C.), la cui massima concentrazione di reperti (ceramiche di tipo terramaricolo, bronzi, grani d'ambra) è stata individuata nel sottosuolo delle particelle 180-181. Un saggio di scavo di circa 2 x 2 metri
(quadrati FG/5-6) effettuato nella particella 183 ha permesso di accertare, fra 242 e 291 cm di profondità, la presenza di uno strato a limo grigiastro compatto (u.s. 19) con minuti frammenti ceramici dell'Età del Bronzo finale, leggermente fluitati, che sono da correlare con il vicinissimo abitato suddetto. Tale formazione, lievemente antropizzata, è sigillata in alto da un potente strato alluvionale sterile (u.s. 8=18, intorno ai due metri di potenza) frutto dell'attività esondativa
dell'Auser in un arco di tempo di circa 500 anni ( inizi del X - inizi del V a.C.) durante il quale il sito appare privo di qualsiasi forma di attività umana.
Intorno al 500 a.C. il territorio viene rioccupato da una comunità etrusca che edifica sulla parte più elevata dello stesso dosso fluviale (quadrati B' Z/5-25) lasciando tracce evidenti di abitazioni a quote varianti fra i -41/-47 cm di u. s. 128 e i -53/-58 cm di u.s. 125, oppure notevoli resti di servizi vari (silos, fosse per discarica di materiali, ecc) a quote comprese fra i -104 cm di u.s. 107 e i -134
cm di u.s. 54. In superfici purtroppo assai limitate a causa degli sconvolgimenti conseguenti alla presenza di strutture romane sovrastanti (soprattutto u.s. 3, in fondazione fino a -44 cm) o ai livellamenti tardorepubblicani (u.s. 6, che si spinge fino a - 50 cm) e protoimperiali (ad esempio u.s. 27/40 che arriva fino a -83 cm ) o alla forti alluvioni di V a.C. (si vedano le uu. ss. 126 e 127), è stato possibile registrare, con immaginabili difficoltà di scavo e di interpretazione, lacerti di muri e frammentari livelli di vita pertinenti ad epoca tardoarcaica (datanti sono i frammenti di ceramica attica a figure nere di tipologia tarda, riferibili al 500 a.C. o poco dopo, e i frr. di ceramica attica a figure rosse che si collocano intorno al 470-450 a.C.). E' il caso della fossa ellissoidale u.s. 113 e
delle uu. ss. ad essa collegate. E' il caso dello spezzone di muro etrusco u.s. 52, con relativa sedimentazione u.s. 53 da connettere con u.s. 128 non solo per le caratteristiche tipologiche praticamente identiche, ma anche per le stesse quote e perché in linea est-ovest a una distanza di appena 3 metri. E' il caso dell'importante successione stratigrafica in situ nei quadrati CE/12-16
dove a un sottile strato molto antropizzato (u.s. 125 , quote - 53/-58 ), che documenta una prima fase di vita etrusca, si sovrappone uno strato alluvionale ( u.s. 126 , quote -53/-47, potenza media 4 cm) che testimonia una marcata attività esondativa dell'Auser con conseguenti distruzioni nell'abitato e un primo, momentaneo abbandono del sito; immediatamente sopra si osserva un secondo livello di vita etrusco (u.s. 128, quote -47/-41) che è sigillato in alto dai sedimenti di un
secondo evento trasgressivo (u.s. 127, quote -41/-33, potenza media 6 cm), forse totalmente e definitivamente distruttivo.
Più agevole, e più completo, è stato lo scavo dei servizi etruschi ubicati una decina di metri verso sud, per fortuna in aree non coperte da strutture successive e abbastanza profondi da non essere intaccati, se non marginalmente, dai lavori di epoca romana. Si tratta di due fosse contigue con orientamento est-ovest che insieme presentano una pianta a forma di 8 irregolare: la prima (u.s. 107), ellissoidale, ha un asse maggiore nord-sud di circa due metri, un asse minore di poco più di
un metro e mostra un piano a 100 cm di profondità; la seconda (u.s. 107A), irregolarmente circolare, ha un piano alla profondità di circa 90 cm e un diametro di circa due metri. Tutte e due vanno con ogni probabilità interpretate come silos ovvero come alloggiamenti per grandi contenitori lignei o fittili. La u.s. 107A è tagliata da una fossa circolare (u.s. 54) più grande (diametro di circa tre metri) e più profonda (piano a circa -128 cm), ma con la stessa tipologia e certo con la stessa destinazione d'uso, la quale ha sostituito le uu.ss. 107 e 107A in un momento
che, ad una prima analisi dei materiali, siamo in grado di collocare fra il 500 e il 450 a.C.. A questo arco cronologico si riferiscono infatti le coppe e i piattelli, gli skyphoi e i pocula buccheroidi rinvenuti in grossi frammenti o quasi integri nel relativo riempimento uu.ss. 55-57. Pressoché immediatamente a nord delle tracce di case etrusche che, stando ai dati attuali sembrano essere piuttosto limitate quanto a numero (2-3) ed estensione (complessivamente non più di 80-120 mq ),
si aprono due discariche di materiali (uu.ss. 13 e 50), una accanto all'altra. La prima, dalla planimetria non definita perché si inoltra sotto le strutture romane, ha restituito importanti materiali fra cui olle a inclusi scistosi, coppe in ceramica grigia e in ceramica figulina biancogiallastra, un poculum buccheroide, un grosso frammento di olla a inclusi scistosi con ansa a rocchetto dalle cui estremità si dipartono cordoni paralleli; la seconda ha pianta ellissoidale e notevoli dimensioni (circa 5,5 metri per 3) e, insieme con pietre embrici e intonaco, ha restituito rari blocchetti di aes rude, pochi frammenti di ceramiche attiche a figure nere e rosse, un frammento di anfora iono-massaliota con orlo decorato à la brosse, un frammento di anfora samia (nota 10), frammenti di anfore massaliote ed etrusche di forma Py 4, ciotole e piattelli in ceramica grigia buccheroide di manifattura pisana, skyphoi e coppe nella tradizione del bucchero, moltissimi
frammenti di ceramica a inclusi scistosi riferibili a olle e pithoi, nonché una scoria di ferro elbano e frammenti di macine di pietra vulcanica grigia. Tali reperti dimostrano che Fossa Nera, sfruttando la via fluviale Arno-Auser, rappresentava una sorta di terminal di intensi scambi marittimi internazionali mediati dal centro propulsore di Pisa, e che, con Romito di Pozzuolo I e forse con
altri avamposti, fungeva da tappa di redistribuzione verso oltreAppennino di importanti prodotti semigrezzi come le masse di ferro dell'isola d'Elba (Nota 11) e di prodotti finiti come la macine in pietra eruttiva (Nota 12).
In seguito il dosso fluviale di Fossanera rimase ancora una volta privo dell'attività umana per un lungo periodo di tempo (quasi 300 anni) e, a differenza di altri siti del padule che conobbero una rioccupazione etrusca nel corso del III a.C, fu riutilizzato per scopi insediativi solo in occasione della definitiva occupazione romana del territorio e della prima assegnazione ai coloni
dell'agro centuriato.
Nella primavera del 2004 un gruppo di archeologi e di architetti (Alessandro Mrakic, Ivana Giunta, Luca Ubaldo Cascinu, Augusto Andreotti, Franco Castellacci), guidati da chi scrive, fu incaricato Dall’ASCIT di Capannori di precedere al reinterro delle trincee diagnostiche effettuate anni prima per valutare la fattibilità o meno di un impianto di termodistruzione. Sul fondo della trincea più occidentale furono notate poche pietre di arenaria la cui presenza in situ, in quel posto quantomeno
strana e imprevista, condusse alla decisione di allargare lo scavo e di procedere a una verifica. La prima supposizione fu che stesse emergendo un’altra delle decine di fattorie tardo repubblicane che punteggiano la zona, ma l’ipotesi fu presto messa in dubbio sia dall’affiorare, quasi a contatto con le pietre, di frammenti di ceramica etrusca tardo arcaica a inclusi scistosi sia dalla larghezza dell’agglomerato litico che andava ben oltre le dimensioni massime fino ad allora registrate negli
insediamenti di epoca romana. L’indizio verso la giusta interpretazione si presentò con la comparsa dei segni dei carri in due conci di arenaria. Ma non fu altrettanto facile far cadere i dubbi sulla datazione, anche perché al momento era temerario parlare della presenza di una grande strada etrusca in un’area considerata ligure, o comunque etruscoide e periferica, da gran parte dell’archeologia ufficiale. Poi, dopo due mesi di verifiche, le riserve furono sciolte e fu annunciato
formalmente (Nota 13) il ritrovamento di un tratto notevole (i tre saggi effettuati coprono in linea retta circa 200 metri) di un’arteria stradale etrusca affatto imprevista e impensabile per ubicazione, per imponenza (oltre sei metri di larghezza massima) e per cronologia (500 a.C. o poco dopo). Non meno inattesa è la tecnica costruttiva che, in assenza di crepidines, prevede in ogni modo un’ampiezza tale da permettere il passaggio agevole di due carri.
I dettagli dello scavo sono stati prontamente pubblicati in un volume e ad esso si rimanda per eventuali approfondimenti. In questa sede si può tuttavia precisare che:
1- La scoperta della glareata etrusca permette di comprendere agiatezza e accumuli di ricchezza che traspaiono dall’analisi dei siti archeologici coevi.
2 – Il ritrovamento di scorie di ferro negli insediamenti di Romito di Pozzuolo e Fossanera, ubicati lungo la direttrice della strada, fa supporre che il trasporto di ferro e minerali giocasse un ruolo non secondario.
3 – I profondi solchi presenti sul selciato indiziano, al contempo, una durata non effimera e il passaggio di carri pesanti.
4- Il rinvenimento della coeva città di Gonfienti indirizza verso una programmazione
infrastrutturale ed urbanistica finora impensabile.
5 - Il fatto che quattro saggi di scavo, effettuati a distanza l’uno dall’altro, si trovino in linea retta, conduce all’ipotesi, plausibile, che altri ed estesi tratti possano essere localizzati, peraltro con una certa facilità essendo l’area non urbanizzata. Ciò consentirebbe di rinsaldare la tesi secondo la quale
al Frizzone di Capannori sarebbe stata individuata l’arteria dei due mari (Tirreno-Adriatico) di cui fa menzione lo Pseudo-Scilace.
6 – La stratificata carreggiata stradale – che oggi appare sconvolta a causa delle botte subite dalle trasgressioni dell’Auser nella seconda metà del V a.C. – doveva essere molto solida e scorrevole, composta com’era in superficie da conci arenacei legati fra loro e livellati negli interstizi da una sorta di duro conglomerato fatto di clasti e ciottoli impastati in limo e argilla. Ciò rende la testimonianza dello Pseudo Scilace (Nota 14) (la città di Spina si raggiunge da Pisa in tre giorni di
cammino) assai meno improbabile di quanto finora è stata giudicata dagli studiosi.
Note:
1 L'archeologia, di fatto, non ha ancora affrontato seriamente il problema del ruolo svolto in epoca etrusca dal bacino minerario apuano, e in particolare dal ricco distretto di Seravezza/Valdicastello. Eppure ancor oggi nelle miniere di Ripa, Levigliani, Bottino, Angina , Argentiera, Arsiccio, Gallèna , Corsinello, sono presenti minerali importanti quali l'ematite, la limonite, la malachite, la calcopirite, l'azzurrite, la cuprite, l'allume, il cinabro, il manganese, l'ocra. La toponomastica offre al riguardo spunti e indirizzi di ricerca significativi. E' stato sostenuto (cfr. Ambrosini R. 1981: La romanizzazione p. 296) che proprio una delle miniere più importanti, Gallèna, ha un chiaro toponimo etrusco, così come Ruòsina, anch'esso nella zona mineraria, e forse Angina, altro nome di miniera.
2 In tal senso indirizzano i dati di scavo finora disponibili. Ma ho l'impressione che una serie di difficoltà obiettive (in primis l'impossibilità di spingere le indagini sotto le strutture di epoca romana, ma anche gli sconvolgimenti e le distruzioni conseguenti alle antiche trasgressioni fluviali e ai livellamenti eseguiti dai coloni romani), ci abbiano indotto a una certa sottovalutazione.
3 Sulla faccia principale della kelebe Teseo, vestito con un corto chitone e proteso in avanti, è raffigurato mentre tiene il Minotauro per il corno destro e contemporaneamente gli immerge la spada nel petto; ai piedi di Teseo sta un sasso e alle sue spalle il petaso (per un cratere molto simile rinvenuto a Spina e datato al 470 a.C. cfr. Beazley J. D. 1963: Attic Red Figure, p. 563, n. 6).
4 Tali pendenti "dovevano far parte di una collana con sistema a catenelle simile a quelle dalla Maremma e da Cerveteri. Con queste condividono, fra l'altro, l'immagine dell'arpia (Cristofani M. - Martelli M. 1983: L'oro degli Etruschi, p. 291).
5 Oltre agli attributi sessuali maschili sono posti in forte risalto anche i seni.
6 Sono contrassegnati dal simbolo vulvare indicato da un'incisione verticale tagliata orizzontalmente da solchi più leggeri.
7 In tutti gli offerenti sulle braccia, sull'arcuatura delle gambe, sulla superficie anteriore e posteriore del tronco sono incisi brevi solchi trasversali (più numerosi nelle statuette femminili) che forse indicano la presenza di tessuti o monili. Negli idoletti femminili è curata l'acconciatura, sulla nuca, mediante piccole incisioni disposte secondo una sintassi variante; e, per di più, sulle spalle si notano altre decorazioni incise che tendono senza dubbio a darci l'idea di un certo tipo di abbigliamento muliebre (Mencacci P. - Zecchini M. 1976: Lucca preistorica, p. 214).
8 Cfr., per attestazioni coeve, Fossanera, sito n. 4. Restituzioni più antiche (prima metà del VI secolo a.C.) sono quelle di Pisa dove in situ sono venuti in luce tre pezzetti di ematite elbana associati con sei scorie di ferro, carboni e argilla concotta ( Bonamici M. 1989: Contributo, p. 1145).
9 Le pozzolane sono silicati multipli, più o meno basici, che si trovano sempre in vicinanza di vulcani e sono composte di silice ( SiO2 ), allumina (Al2O3), ossido di ferro ( Fe2O3 ), calce ( CaO), magnesia (MgO) e altri elementi in piccole quantità. Un frammento di macina di Pozzuolo, analizzato chimicamente al momento degli scavi dai laboratori Montedison di Massa, è risultato composto da silice (68%), allumina (15%), ossido di ferro (3%), calce (4%,) magnesia (2%) e ha evidenziato una perdita per calcinazione < 5%. I valori più vicini al campione di Pozzuolo risultano quelli delle pozzolane grigie dei vulcani Flegrei (perdita per calcinazione < 5%, silice 59%, allumina 17%, ossido di ferro 4%, calce 3,5%, magnesia 1,5%). Indicazioni di provenienza non dissimili (vulcani campano-laziali)provengono dalle analisi petrografiche eseguite su campioni del genere recuperati nell'insediamento di Bora dei Frati in Versilia (P.Pallecchi 1990: Etruscorum, Bora, p. 233). L'analisi chimica parrebbe escludere la provenienza dai vulcani laziali perché questi ultimi danno valori distanti soprattutto per ciò che concerne la perdita per calcinazione (minore del 5 %), la silice (46%), l'ossido di ferro (10%) e la calce (9%).
Per la presenza di frammenti di macine cfr., infra, Fossa Nera, sito n. 4, e, supra, Romito di Pozzuolo, sito n. 3.
10 Le attestazioni più vicine sono per ora nello straordinario emporio commerciale di S. Rocchino presso Viareggio (Maggiani A. 1990a: Etruscorum, S. Rocchino, pp. 92-94, figg. 42 e 44).
11 Per quanto non si possano escludere limitate attività di riduzione del minerale di ferro elbano - che vanno comunque
provate - lontano dai noti centri industriali, mi parrebbe iperbolico ascrivere a procedimenti di riduzione in loco, che lasciano tracce ben più consistenti, le isolate o rare scorie di ferro e gli sporadici pezzetti di ematite rinvenuti negli insediamenti lucchesi e pisani finora indagati. La loro presenza può forse essere spiegata con la necessità di un limitato intervento di rifinitura sul posto delle masse spugnose, con eliminazione dei residui di scorie e di minerale , prima dell'immissione nel circuito mercantile padano. Diodoro Siculo (V, 13) tramanda che i blocchi di siderite tratti dalle miniere elbane venivano gettati a bruciare e liquefatti in forni costruiti ad arte, ridotti in masse uguali di aspetto spugnoso, infine inviate sul continente per un'ulteriore lavorazione.
12 Cfr. Romito di Pozzuolo, sito n..3. Con il periodo tardoarcaico sembra iniziare la tradizione di circolazione marittima delle macine in pietra eruttiva grigia che, seguendo le stesse rotte commerciali, continuerà in età ellenistica, e che, nel periodo tardorepubblicano, costituirà "il terzo elemento campano che veniva, insieme alla ceramica, inserito nel carico a completare le anfore delle grande esportazione vinaria campana " (Lamboglia N. 1964: La campagna sul relitto, p. 251). Macine del genere compaiono, ad esempio, sui relitti di Punta Scaletta a Giannutri (Lamboglia N. 1964: op. cit., S. Andrea B all'isola d'Elba (Zecchini M. 1982: Relitti, pp. 93-94).
13 La presentazione avvenne alla presenza del Ministro Urbani, del prof. Salvatore Settis direttore della Suola Normale
Superiore di Pisa e del dott. Angelo Bottini soprintendente per i beni archeologici della Toscana.
14 Peretti, A. 1979, Il periplo, ha dimostrato che non si può escludere che l’opera, nonostante rielaborazioni e interpolazioni successive, non sia del IV a.C. e sia da attribuire, invece, a Scilace di Carianda, incaricato da Dario, nell’ultimo ventennio del VI a.C., di esplorare il basso corso dell’Indo e le coste dell’Arabia.
Riferimenti bibliografici
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