La vicenda dei maro’. intervista a vincenzo mungo

Creato il 11 aprile 2013 da Eurasia @eurasiarivista
:::: Vincenzo Mungo :::: 11 aprile, 2013 ::::  

A cura di Filippo Pederzini

 

1) La vicenda che vede coinvolti i due marò italiani in India può in un qualche modo avere ripercussioni negative anche da un punto di vista economico, dati gl’intensi rapporti che intercorrono tra realtà imprenditoriali italiane di rilievo e lo Stato indiano?

La vicenda avrà, con ogni probabilità ripercussioni negative nei rapporti tra Italia ed India anche dal punto di vista economico. L’India è diventata oggi una potenza di notevole peso nei rapporti internazionali, sia sul piano politico che su quello economico. Il ritorno del subcontinente ad una posizione di rilievo , dopo essere stato oggetto per secoli  di un processo di colonizzazione, ha portato la popolazione indiana a reagire in maniera forse eccessiva ad ogni azione, da parte di altri Paesi, che possa apparire ispirata da principi “ neocolonialistici”. Non è certamente questa la volontà italiana , né Roma avrebbe modo , pur volendolo, di agire in maniera imperialistica contro un Paese  dotato di 100-150 testate nucleari, di una potente aviazione, di una potente flotta e di un fortissimo esercito. Né l’Italia ha un potere economico finanziario tale da potere condizionare la politica indiana ed indurla a fare quello che vuole nella vicenda dei “ marò”. Tuttavia la suscettibilità esasperata di un popolo soggetto a lungo ad un regime coloniale ha fatto pensare che la richiesta del governo di Roma di processare i marò in Italia fosse un atto ispirato dalla  superbia  di un Paese che avrebbe ancora una cultura “eurocentrica” e non considerasse, quindi, il nuovo posto dell’India nella comunità internazionale.  Su questo sentimento si è inserita l’azione di forze che come i nazionalisti indù del BJP, il Bharatya Janata Party, (il secondo partito del Paese) hanno sempre criticato il partito del Congresso, al potere,  anche per il fatto di essere diretto dall’italiana Sonya Gandhi (che peraltro fa di tutto per fare dimenticare la su origine e che non è certo intervenuta a favore dell’Italia , anche in questa vicenda).  Gli errori ed il comportamento ondeggiante del governo di Roma hanno aggravato la situazione. Soprattutto il fatto di avere ventilato il mancato ritorno dei militari in India, in occasione della seconda “ licenza” concessa ai marò per tornare in Italia,  ha determinato una reazione molto negativa sia nell’opinione pubblica ,che nella classe politica e nella magistratura indiana. Questa vicenda, unita al recente scandalo che ha visto coinvolta la Finmeccanica  (a causa, c’è da sottolinearlo, della iniziativa sbagliata della magistratura italiana, che non ha tenuto presente che una certa dose di corruzione esiste in tutti i rapporti economici internazionali), non favorirà certamente l’attività delle nostre imprese nel subcontinente. Si consideri, inoltre, che gli altri Paesi, anche presunti alleati dell’Italia, come Stati Uniti, Gran Bretagna , Francia, Germania, non hanno fatto nulla per intervenire a favore dell’Italia ed anzi agiscono per toglierci quote di mercato in India. Si aggiunga, infine, l’atteggiamento pilatesco, tenuto dall’Unione europea e si avrà il quadro negativo della situazione. Questo quadro resterà, tuttavia, negativo solo nel breve periodo.  Il popolo italiano è, in fondo, ben visto da quello indiano, che ne apprezza il “modo di vivere”, determinato dal gusto in campo gastronomico, dall’abbigliamento relativamente elegante (a volte anche dei  turisti, ma spesso se si tratta di dirigenti aziendali o professionisti), contrapposto allo “stile” più sciatto degli altri popoli occidentali (e questo  fatto  è  importante per gli indiani).  Gli italiani stabiliscono poi facilmente legami di amicizia personale con gli indiani, anche perché si recano spesso nei “luoghi di incontro” (culturali o di divertimento) frequentati dagli indiani, cosa che raramente fanno i cittadini di altri Paesi occidentali. L’italiano, in conclusione, riesce facilmente a stabilire rapporti cordiali con gli indiani, ed è ammirato per il suo “stile” di vita. Anche le imprese italiane hanno “buona stampa” nel subcontinente , dove fino ad oggi peraltro la loro presenza è stata relativamente limitata (abbiamo effettuato investimenti molto maggiori in Cina o in Brasile).

2) Indipendentemente da come evolverà l’intera questione, come ne potrà uscire l’immagine dell’Italia da un lato e quella dell’India dall’altro? E in che modo evolveranno i rapporti tra i due Paesi?

L’immagine dell’Italia non uscirà molto danneggiata dalla vicenda dei marò, dati i rapporti di simpatia, cui facevo prima riferimento, che si sono stabiliti tra le due popolazioni. Certo non si potrà prescindere dall’operato del governo italiano , che dovrà agire con cautela  evitando di ripetere errori clamorosi. Roma dovrà agire soprattutto di concerto con gli altri Paesi occidentali  per fare pressioni su Nuova Delhi e convincerla ad accettare la giurisdizione di un tribunale internazionale che giudichi i marò. A tal fine il nostro governo dovrà “battere i pugni sul tavolo” con Paesi a noi formalmente alleati perché si ricordino dei loro doveri di solidarietà e non approfittino della situazione per sottrarci quote di mercato. E’ più importante questo tipo di intervento che cavillare su questioni di diritto internazionale, quali il fatto se la nave si trovasse o meno in acque internazionali al momento dell’uccisione dei pescatori. Ritengo comunque che nel medio periodo i rapporti tra Italia ed India torneranno a migliorare, sia per l’immagine positiva che ha il nostro Paese nel subcontinente, sia per il fatto che, al di là delle prime reazioni, dettate anche dall’emotività, la vicenda dei “marò” non ha una importanza tale da incrinare in maniera sostanziale i rapporti tra due Paesi. Questo ragionamento, lo ribadisco, è valido tuttavia in assenza di errori del governo di Roma che aggravino la situazione ed in assenza di manifestazioni di ostilità verso l’India da parte dell’opinione pubblica italiana (o di una sua parte rilevante) che potrebbero risvegliare i sentimenti nazionalistici nel subcontinente.

3) E’ giustificabile nell’intera vicenda l’assenza – o se si è mostrato lo ha fatto in maniera molto defilata – del ministro degli Esteri Italiano Terzi di Sant’Agata (solamente De Mistura è comparso a più riprese) come quella dello stesso capo del governo italiano Mario Monti? Le dimissioni non sono state un atto dovuto?

Il ministro degli esteri Terzi, ed in generale il personale direttivo della Farnesina, hanno sbagliato nel non dare subito le indicazioni giuste al comandante della nave dove si trovavano i marò, nel senso di avvertirli di non attraccare nel porto indiano. A questo proposito occorrerebbe rilevare se una indicazione in tal senso è stata tempestivamente fornita dalla nostra ambasciata di Nuova Delhi. Si tratta tuttavia di congetture e solo una seria indagine potrebbe stabilire eventuali responsabilità della Farnesina o della nostra diplomazia. Il ministro Terzi ha, invece, indubbiamente sbagliato quando ha avallato la truffaldina farsa del mancato ritorno dei nostri militari in India , dopo che erano state fornite precise garanzie alle autorità indiane sul fatto che il rientro in Italia dei marò era solo temporaneo. Per quel che riguarda un eventuale missione di Terzi nel subcontinente non credo che avrebbe mutato di molto la situazione in assenza di proposte e minacce  credibili , che come ho detto dovevano essere appoggiate dai nostri alleati, che potessero  fare cambiare  l’indirizzo del governo indiano. A tale proposito la responsabilità è stata probabilmente anche del Presidente del Consiglio, Monti, che sarebbe dovuto intervenire personalmente presso le altre capitali europee e Washington. Le dimissioni di Terzi mi sembra, comunque, che siano state un atto dovuto in relazione alla messinscena del mancato ritorno dei marò.

4) Soltanto per fare una congettura, in che maniera si sarebbe comportato, in una situazione analoga, il governo di un altro Paese? 

Occorre considerare, anzitutto, di quale Paese si tratta. Credo comunque che neanche nel caso in cui si fosse trattato di una potenza di un certo rilievo avrebbe ottenuto molto di piu’ di quanto ha ottenuto l’Italia. Il nazionalismo indiano avrebbe impedito al governo centrale  di fare concessioni eccessive anche ad un altro Paese. Né è seriamente pensabile, data la potenza militare dell’India cui ho prima accennato, un’azione militare per risolvere una crisi del genere. Neanche gli Stati Uniti avrebbero potuto pensare ad usare la forza in una situazione simile a quella determinatasi nel caso dei marò italiani (si ricordi, in proposito quello che accadde quando nel 1980, subito dopo la rivoluzione islamica in Iran, gruppi estremisti sequestrarono ostaggi americani nella loro ambasciata di Teheran: il tentativo degli americani di effettuare un blitz per liberarli fu facilmente sventato. E si consideri che l’India ha forze armate più tecnologicamente avanzate di quelle dell’Iran postrivoluzionario). Il governo di un’altra potenza di rilievo avrebbe, quindi, probabilmente agito sul piano dei rapporti internazionali, cercando di coinvolgere gli alleati per fare pressioni su Nuova Delhi. A tal fine la minaccia di contromisure di carattere politico (per quanto riguarda, ad esempio la richiesta dell’India di entrare a fare parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU) o economiche avrebbe potuto ottenere risultati positivi, anche se, probabilmente, non nel breve periodo. La differenza fondamentale tra l’Italia e le altre potenze medio-grandi sta nel fatto che noi soffriamo ancora di un  certo “complesso di inferiorità” nei confronti soprattutto degli altri grandi Paesi occidentali, a causa anche della sconfitta nella seconda guerra mondiale. Questo discorso, che è evidenziato  anche dal comportamento sbagliato che i vari governi negli ultimi anni stanno tenendo verso gli altri Paesi nel fronteggiare la crisi economica, ci porterebbe tuttavia lontano. Si consideri, comunque, che il comportamento sbagliato  dei governi verso i nostri “alleati” è condiviso da quasi tutta la classe dirigente italiana (politica e non) e da gran parte dell’opinione pubblica. I massimi dirigenti dei Paesi nostri “alleati” sanno benissimo che Roma non andrebbe fino in fondo nel fare valere i suoi diritti, ventilando ad esempio chiusure di basi militari straniere nella penisola o la messa in discussione della nostra partecipazione a da determinati organismi internazionali (ad es. Unione Europea o Nato). Ed in questo sta la differenza di comportamento, che in una crisi del tipo di quella di cui stiamo parlando, avrebbe avuto il governo di un altro Paese “ importante”: avrebbe cioè preteso l’intervento su vari piani (politico economico ecc.) degli alleati nella crisi, chiedendo magari di investire con forza l’ONU della questione. Probabilmente, comunque, il governo di un’altra “potenza” di rilievo avrebbe potuto commettere un altro genere di errori, quale quello di pensare di risolvere la questione con la “forza”, cosa che, data la potenza economica, militare ecc. dell’India attuale, avrebbe portato ad una catastrofe.  Quest’ultima ipotesi tuttavia credo che oggi sarebbe stata adottata con difficoltà da chiunque (per questo motivo occorrerebbe valutare anche a quale altro “Paese” ci si riferisce). Quello che appare piu’ probabile è che un’altra “ potenza” muovendosi diversamente nello scacchiere internazionale, nel senso prima accennato, avrebbe aumentato la “pressione” su Nuova Delhi, inducendola, probabilmente, a fare maggiori concessioni.

* Vincenzo Mungo, della redazione Esteri di Raiuno, è autore del libro La sfida dell’India, Edizioni all’insegna del Veltro, parma 2010.

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