Magazine Pari Opportunità

La violenza nascosta.

Da Suddegenere

"La follia del delitto passionale” è il titolo di un articolo apparso ieri su la Repubblica online. A leggere solo questo il sangue mi ribolle, perchè il breve titolo contiene in sé due espliciti riferimenti ad eventuali attenuanti, creando come effetto la distorsione di una realtà che ha ben poco di romanzato. La mattanza delle ultime tre settimane:

Michelina Ewa , Sonia, Maria, Debora, Simona, Roberta, Chiara, Anna Maria, Eleonora, Katerina.

Quando ho scritto della presentazione a Catanzaro, il 30 giugno, dei due volumi editi da Rubbettino, “il Bilancio di genere in Calabria:strumento di sviluppo sociale e territoriale” e “La violenza contro le donne: profili familiari, lavoristici e penali”  a cura della consigliera di Parità Stella Ciarletta, non avevo confessato di essermi dovuta alzare e di essere andata via prima della fine dell’incontro,  colta da un improvviso attacco di nausea.  Un consigliere comunale dell’attuale giunta ,invitato a prendere la parola, ricordando un recente  caso di pedofilia che ha visto vittima una bambina di undici anni, ha espresso il suo “evoluto” pensiero a proposito di violenza sulle donne: il dato allarmante (relativo alla città di Catanzaro) nonchè concausa,secondo l’illuminato, è la precoce sessualità degli adolescenti. Sesso troppo presto, questa è la radice di tutti i mali, che va stroncata senza indugio. L’illustre concittadino di sicuro non ha letto il rapporto, prodotto nel corso della precedente amministrazione, “Catanzaro. Le violenze nascoste” , frutto della ricerca realizzata nell’ambito del Progetto pilota della Rete Antiviolenza tra le Città Urban d’Italia (al progetto hanno aderito le città di: Catania, Foggia, Lecce, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma e Venezia quale amministrazione capofila. E successivamente: Bari, Brindisi, Cagliari, Carrara, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Genova, Milano, Misterbianco, Mola di Bari, Palermo, Pescara, Salerno, Siracusa, Taranto, Torino e Trieste. )

Il Progetto si proponeva come obiettivo primario di studiare la percezione sociale e gli atteggiamenti culturali sul fenomeno della violenza contro le donne da parte di un campione significativo di donne, uomini, operatori/trici di diversi servizi e testimoni privilegiati fuori e dentro la famiglia.

Il rapporto, in maniera molto ben strutturata e articolata, illustra l’analisi ed i risultati principali ottenuti nella città di Catanzaro. Rapporto

Per amor di sintesi, visto che sono 118 pagine, una parte delle conclusioni:

“La risposta del campione intervistato ha mostrato la persistenza, in alcuni casi non del tutto consapevole, di stereotipi sessisti che tendono a colpevolizzare le donne-vittime e a minimizzare la responsabilità maschile. Il marito o il compagno che è violento verso la propria moglie o compagna perchè lei non soddisfa i suoi bisogni o non ottempera, nei modi attesi, ai propri doveri di “donna-moglie-madre”; il padre che usa violenza contro la propria figlia perchè è “sua”; l’amico che usa violenza contro l’amica in discoteca perchè “se l’è cercata”:

“per diverso tempo mi sono sentita colpevole perchè dicevo cose o facevo domande che lo provocavano…mia suocera diceva che me le cercavo…”

“non dovevo salire in macchina con lui…avevo bevuto troppo…”

“non ho ditto niente ai miei genitori perchè di sicuro se la sarebbero presa con me…”

“papa mi diceva che era una cosa normale, che tutti i padri fanno cosi’ con le loro figlie…”

D’altra parte le storie hanno anche evidenziato la presa di coscienza delle donne che l’agire violento non è modalità di interazione e relazione legittima fra i sessi, al di là di qualsiasi motivazione o giustificazione che, specie inizialmente, anche loro hanno tentato di trovare.

I tentativi volti a porre fine alle situazioni di violenza sono vissuti ed evidenziati come difficili, e nella maggior parte dei casi numerosi ed inconcludenti.

La difficoltà personale ad operare un cambiamento radicale e risolutivo viene rinforzata e sostenuta da un forte vissuto di vergogna che tende a soffocare il bisogno di riscatto.Un percorso troppo spesso vissuto in una esasperata solitudine per lo piu’ attivamente cercata, sia per paura che per vergogna.

Un percorso ad ostacoli troppo perpetuato nel tempo dalla speranza/illusione di un cambiamento che a volte assume connotazioni magico-salvifiche e che poi trova una drastica svolta nella disillusione e nella drastica consapevolezza che il cambiamento non puo’ piu’ essere atteso dall’altro ma solo da se stesse.

“C. vittima di violenza sessuale dopo una serata in discoteca racconta a tal proposito: una volta, non so neanche io perchè, mi sono confidata con una psicologa che veniva nella mia scuola…dopo averglielo detto mi sono sentita morire…lei continuava a darmi consigli e dirmi di farmi coraggio, non ricordo esattamente le sue parole, ripensandoci oggi credo che mi sono sentita commiserata forse avevo solo bisogno di sfogare la rabbia e l’umiliazione che continuava a mangiarmi dentro, e invece sono sprofondata in un silenzio assoluto e mi sono ripromessa di non parlarne mai piu’…tanto nessuno avrebbe capito mai veramente….”

R. vittima di ripetute violenze fisiche da parte del coniuge dice: ne ho parlato per la prima volta con una collega…lei era gentile, piu’ volte la mattina mi chiedeva del perchè ero triste..una volta si è persino accorta dei lividi che avevo sul collo, quando gliel’ho confessato è rimasta sconvolta, mi ha abbracciata forte ed io sono scoppiata a piangere come una bambina, lei continuava a strignermi forte e diceva non è giusto R., non è giusto. Qualche giorno dopo e l’ennesima lite e dose di botte ho avuto il coraggio di parlarne con mia madre…”

L’atto o la parola violenta assume, nella donna-vittima, contorni variabili nello spazio e nel tempo: esperienza unica, ovvero ripetuta, costante, a volte abitudinaria e in altro caso subdola, insidiosa, vergognosa, depredante la femminilità nonchè la dignità umana. Non disintegra istantaneamente il corpo della vittima, bensi’ nel tempo deforma la sua personalità, ferisce condizionando le relazioni interpersonali e sociali, mette a dura prova il concetto e la stima di sé.

Alla domanda rivolta alle intervistate, rispetto alle denunce possibili da effettuare, spesso inizialmente la risposta risultava evasiva e preoccupata. Chi ha subito violenza sessuale si è chiusa nel silenzio per timore di non essere creduta o persino accusata, chi ha subito violenza sul lavoro ha preferito mantenere il lavoro piuttosto che essere, nella peggiore delle ipotesi, messa al bando e preclusa da altre possibili offerte di lavoro, chi ha subito violenza psicologica ha preferito ricorrere o alle proprie forze o all’aiuto dei familiari. Difficilmente qualcuna è ricorsa a denunce esplicite ai carabinieri o alla polizia o ai sindacati o quant’altro.

Emerge un atteggiamento scettico nei confronti dell’autorità competente, non tanto per un senso di sfiducia nel loro operato quanto per le difficoltà dovute all’iter burocratico e per l’inevitabile “esposizione sociale” che il tutto comporterebbe. Le donne vittime di violenza, di qualunque tipo si tratti, cercano in primo luogo protezione immediata piu’ che giustizia. Tutte le donne intervistate hanno evidenziato, come bisogno immediato, la possibilità di ricorrere ad un “telefono amico”garante dell’anonimato e del giusto distacco ma capace di accogliere, sostenere, indirizzare. (n.b. e qui ricordo che fino allo scorso anno esisteva un unico centro antiviolenza in tutta la regione Calabria, vedi a proposito di r-esistenza quotidiana)

Il problema della violenza sulle donne e la percezione sociale che emerge dall’analisi svolta, mostra che anche nella  città di Catanzaro il fenomeno risulta complesso e che la violenza è di per sè sintomo di un disagio relazionale e interpersonale ben piu’ ampio e generalizzato. Dall’analisi del campione risultano leggibili condizioni socio-economiche e stili di vita che oscillano da uno stato di subordinazione femminile a situazioni di conflitto tipiche della società post-moderna. Lo scenario, come in altre realtà meridionali, è quindi segno di arretratezza, luogo sociale in cui la violenza resta sommersa, dalla paura, dalla vergogna, e dalla impossibilità di trovare risposte efficaci ed immediate.”

Se la libertà delle donne passa necessariamente attraverso lo sradicamento della violenza di genere, è anche vero che l’accesso delle donne alla vita produttiva ne è strumento e presupposto di vita indispensabile. E a Catanzaro, si sa, siamo messe proprio bene…..\”buone\” notizie dal mondo del lavoro

La violenza nascosta.
A mia figlia uno stipendio glielo voglio dare. Almeno sa che quanto guadagna se lo spende almeno. E non sta sotto il sole a pensare se viene il gelo, se viene la neve, se viene la grandine, se viene la nebbia. Se viene il raccolto. E se non viene?” Signora Rosalba in “E’ femmina pero’ è bella, tre generazioni di donne al sud”, Renate Siebert, ed. Rosenberg&Sellier.

 

Avìmu ‘u sola, avìmu ‘u mara, e abballamu ja!


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