Un saggio della Bartholini che guida oltre le usuali considerazioni
Si trova finalmente nelle librerie il volume «La violenza “orrorista” del suicidio. Tre storie spezzate» di Ignazia Bartholini, dell’Editore Di Girolamo di Trapani.
L’opera che la Bartholini, ricercatrice all’Università di Palermo, ha svolto con tanta passione e competenza è il frutto – come afferma lei stessa – di «Un lavoro difficile per il tema innanzitutto, aspro e sgorgato dolorosamente da alcuni eventi luttuosi che hanno colpito la piccola comunità trapanese di cui ancora faccio parte, e per i colloqui strazianti avuti con gli amici e, soprattutto, con le madri delle giovani vittime, i cui racconti sono un estratto di un numero molto più grande di giovani che la nostra comunità cittadina ha perso per sempre». L’autrice ci tiene a sottolineare, però, lo sforzo che ha compiuto nel portare a termine questo lavoro, fino al punto da considerarne la pubblicazione come la liberazione da qualcosa che l’attanagliava, non tanto dal punto di vista materiale, quanto psicologico: «La sua uscita mi solleva perché è come avere messo un punto su qualcosa che mi agitava. Mi solleva e mi fa sentire anche una ladra… una ladra di emozioni venute dal dolore più profondo, quello di madri che non sono più madri dei loro figli… ».
A giudizio della studiosa «il suicidio giovanile è la forma orrorista di autoviolenza che si scatena contro se stessi quando il conflitto – sano – con gli adulti, significativi per la conquista, da parte di ogni adolescente, della propria identità, è venuto a mancare». Il conflitto è una tappa necessaria della crescita su cui si snoda la creazione del Sé personale. I genitori e gli insegnanti che “evitano” il conflitto accontentando i più giovani o accondiscendendo alle loro richieste talvolta insulse e schivando la protesta, hanno rinunciato a dialogo stesso con le giovani generazioni che, per forza di cose, non può che passare dialetticamente per opposizioni e contrasti. «Ogni suicidio – scrive lei - è il prodotto di una violenza implosa contro se stessi da parte dei più giovani, quando gli adulti non sono stati in grado di fronteggiare il conflitto intergenerazionale facendolo esplodere all’esterno nelle forme proprie di un fronteggiarsi che può anche essere aspro senza però essere distruttivo e che trasforma lo scontro nell’incontro delle parti. L’assenza del conflitto che connota oggi le relazioni prossime fra genitori e figli, insegnanti e alunni, sembra trasformarsi in una violenza che i giovani indirizzano contro se stessi attraverso una molteplicità di condotte autodistruttive che nel suicidio rintracciano il game over»
La Bartholini spiega, inoltre, il perché l’eliminazione del sé giovanile è la forma di un’auto punizione che trova le radici non solo nell’incapacità di auto costruirsi un “io” ma denuncia ugualmente la inadeguatezza della società e, in primis, di quella primaria, la famiglia, a saper contribuire alla costruzione di una personalità capace d’identità e di logiche per affrontare gli attacchi che provengono dal “non io” e dal mondo esterno: «Il suicidio giovanile – continua l’autrice - è la forma “orrorista” di un’autoviolenza derivata da un’insufficienza di legami significativi che minano l’identità nel suo formarsi. È orrorista perché è finalizzata alla distruzione di quel corpo che si associa a una finta costruzione del Sé sociale, mentre il nucleo più autentico della soggettività sfugge allo sguardo dell’Altro e ogni legame sembra essersi reciso irreversibilmente». La storia, quindi, di tre suicidi, di tre storie spezzate di giovani che non avevano imparato a difendersi stando dentro quel conflitto con l’Altro significativo che consente l’affermazione della propria identità.
La Bartholini ha all’attivo altre pubblicazioni, che tracciano i momenti prioritari del suo pensiero:
Uno e nessuno. L’identità negata nella società globale, Percorsi della devianza e della diversità, Dall’“uomo atavico” al “senza permesso di soggiorno”.
SALVATORE AGUECI