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La violenza sulle donne: e’ anche psicologica

Creato il 25 novembre 2012 da Barbaragiorgi @gattabarbara

Oggi è il 25 novembre, giornata internazionale della lotta contro la violenza sulle donne.
Tempo fa ho scritto un breve racconto sul tema della violenza psicologica sulle donne ad opera del partner.
Ve lo propongo, proprio oggi, proprio in questa giornata dedicata al tema della violenza sulle donne, perché esiste anche una forma subdola di violenza: quella PSICOLOGICA.

“PERFETTA”

In quella casa elegante e glamour, invidiata dai pochi vicini e osservata dai molti turisti, lì in cima alla collina a piane stracolma di vigneti, ogni cosa deve sempre stare perfettamente al suo posto.
Margherita è una moglie perfetta, una madre perfetta, una casalinga perfetta. E appena sveglia, ogni giorno dedica tutto il suo tempo inseguendo disperatamente l’ambita perfezione. Cura ogni minima cosa, ogni dettaglio, ogni sfumatura, come se fosse questione di vita o di morte.
Le sedie esattamente distanziate un centimetro dal bordo del tavolo, la frutta non eccessivamente matura nel vassoio di cristallo, il tappeto Bukara con le frange perfettamente adagiate sul pavimento di marmo lucido, la chaise longue posizionata orizzontalmente davanti all’enorme vetrata che dà sul giardino stracolmo di piante di limoni.
E quando cucina, fa attenzione contemporaneamente ai tempi di cottura e ad eventuali schizzi di qualsivoglia cibo sul top della cucina.
Margherita non tollera la visione di macchie di sugo o di olio fritto, appiccicose ed invadenti, neppure per pochi secondi della sua perfettissima vita.
Margherita non tollera niente che sia sporco, contaminante, brutto esteticamente, superfluo, ingombrante. Lei ama la pulizia, la linearità, l’essenzialità delle cose.
Margherita non tollera errori ed imperfezioni.
Soprattutto se è lei a causarli.
La regola principale della sua regolarissima vita è: “devo essere perfetta”. Una perfezione totale. Studiata nei particolari, nei dettagli, nelle sfumature. Studiata nell’abbigliamento, nel trucco, nei gesti, nelle parole.
Margherita, in pubblico, indossa solo abiti classici, della serie gonna- due- dita-sotto il-ginocchio possibilmente grigia e camicetta di seta pura possibilmente bianca. Tacco medio da signora perbene, collana di perle vere regalo della suocera e coordinate a piccoli orecchini regalo della madre. Trucco minimo con fard rosa pesca e lucidalabbra, capelli raccolti a chignon, con forcine fantasma. Gesti misurati al millimetro e parole calibrate e dosate “q.b.”.
Secondo lei, questo è il minimo sindacale della perfezione. Qualcosa in meno potrebbe risultare sciatteria, qualcosa in più potrebbe essere considerato volgarità.
Poi c’è la seconda regola: “ogni oggetto deve avere una sua precisa collocazione e posizione.” E questa è la regola con cui gestisce la realtà di quella casa sulla collina a piane, dove le scatole dei biscotti sono allineate nella dispensa come soldati all’alzabandiera, dove la polvere è ormai un ricordo lontano nel tempo, dove sui vetri delle finestre non soggiornano neppure le mosche infastidite da troppa pulizia.
E Margherita è felice. Perché questa è la terza ed ultima regola: “devo essere felice”.
La felicità non può essere un attimo, uno stato d’animo che arriva all’improvviso e fugge via come un ladro: la felicità deve essere una costante della vita. E’ necessario alzarsi felici, sentirsi felici in ogni momento della giornata, andare a dormire felici. Solo così si può vivere una vita perfetta, fuori e dentro. Dalla collana di perle, alla mancanza di polvere, al sorriso sulle labbra.
C’è solo un piccolissimo difetto nella vita di Margherita, un piccolo neo: alcune ore della giornata che lei è costretta a vivere da quando si è messa quella fede al dito. Il rientro del marito dal lavoro. Ecco, in quell’istante la vita perfetta e felice di Margherita incontra un ostacolo. Si ferma tutto e tutto diventa un elettroencefalogramma piatto.
La perfezione esplode in mille pezzi come un cristallo scagliato contro il muro.
La felicità scompare come una piccola isola travolta da uno tsunami.
Alle sei spaccate di ogni sera, lui rientra a casa.
Alle sei spaccate di ogni sera, quella casa diventa cupa come un cimitero.
Alle sei spaccate di ogni sera, Margherita non è più perfetta.
“Cosa hai fatto oggi di meraviglioso, oltre che stirare mutande? Ah già, hai stirato calzini. Certo, ci vuole intelligenza allo stato puro per fare queste cose!” e questo è il saluto tipico e consolidato dell’uomo di casa, del capofamiglia, del lavoratore indefesso, di colui che sbarca il lunario, paga le tasse e sfama la famiglia.
In genere Margherita dice solo “ciao” perché sa bene che aggiungere qualsiasi altra parola potrebbe risultare pericoloso per sé e per i due bambini, ancora troppo piccoli per comprendere le sfuriate del padre. Incomprensibili comunque, a qualsiasi età.
“Ciao, mi dici. Ciao. Non dici nient’altro? No, meglio di no: fai silenzio! La tua voce è solo un fastidio. Del resto cosa avresti da dire di interessante tu? Nulla! Una che pulisce pavimenti tutto il santo giorno e si lacca le unghie, cosa vuoi che possa dire di interessante?” e questo è il naturale proseguire del monologo. Ogni santa sera.
Poi il marito beve un aperitivo (preparato da Margherita) e si addormenta fino all’ora di cena. E quando si sveglia dà il massimo di sé, della sua arte oratoria: “Cosa c’è da mangiare stasera? Le tue noiosissime ricette da noiosissima casalinga? Le mogli dei miei colleghi sanno cucinare piatti fantastici e tu mi propini ogni sera le solite cose che ti ha insegnato tua madre. Ma cosa posso aspettarmi da una che non ha un briciolo di iniziativa, di creatività, di inventiva? Nulla. Ora mangio questo schifo e me ne vado fuori al bar, con gli amici. Almeno lì respiro un po’ di vivacità, di allegria. Tu sei una morta che cammina….”
Sì, Margherita è una morta che cammina. Lei ci prova ogni giorno a raccontarsi la favola della perfezione e della felicità. Ma ogni sera il pulsante va sull’off e lei si spenge. E quando il marito finalmente esce dopo cena (per tornare ad orari improbabili), lei finalmente fa l’unica cosa da essere umano che riesce a fare: piange.
Messi i bambini a letto, si sdraia sulla chaise longue davanti alla grande vetrata, accende le luci del giardino e osserva le piante di limone.
E piange. In silenzio: nel silenzio della casa, nel silenzio della sua anima, nel silenzio dei sentimenti.
A volte le balena un timido pensiero: fuggire via. Prendere i bambini e andarsene per sempre. Prendere i bambini e costruire un vita degna di essere vissuta. Ma dove, come?
Così, si asciuga le lacrime. E per trovare una via d’uscita a tutto quel dolore, per mentire una volta di più a se stessa, pensa: “la colpa è mia! Devo essere ancora più…. perfetta!”



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