Ovvero: quando la Costituzione viene modificata da un dettaglio di punteggiatura
di Cristiano Abbadessa
È stato approvato poco fa il cosiddetto “emendamento Finocchiaro” all’articolo 2 della riforma costituzionale. È l’emendamento che, come spiegano le cronache politiche, ha ricomposto i dissensi all’interno del Pd, accogliendo, nelle intenzioni dichiarate, alcune indicazioni della minoranza del partito relative alla nomina o elezioni dei senatori espressi dai consigli regionali.
Riassumendo in breve per chi non avesse seguito nel dettaglio tutto il dibattito: la minoranza del Pd chiedeva che i senatori espressi dalle Regioni fossero eletti, in qualche forma, dai cittadini in occasione del rinnovo dei consigli regionali; la maggioranza del partito sembrava orientata a una semplice nomina effettuata dai consiglieri regionali, senza vincoli rispetto ad alcuna indicazione “popolare”. La mediazione pareva trovata, leggendo le cronache, attraverso appunto il citato emendamento a firma di Anna Finocchiaro, sposando il principio per cui la designazione dei senatori doveva essere fatta “in conformità” con le indicazioni degli elettori. L’emendamento non fissava i criteri pratici che avrebbero dovuto garantire tale conformità, ma il senso e l’indicazione apparivano chiari: al completamento, poi, avrebbero dovuto provvedere gli articoli più “tecnici” della riforma e le norme applicative (che sono in parte competenza delle Regioni).
Questo è quanto si era capito dai resoconti giornalistici. Poi, stamattina, mi è capitato di leggere il testo nudo e crudo dell’emendamento, e sono sobbalzato. Perchè il testo recita, precisamente, quanto segue:
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.
Balza all’occhio, almeno al mio, che, rispetto alle intenzioni dichiarate e al presunto senso che l’emendamento avrebbe dovuto avere, c’è una virgola di troppo, prima del famoso “in conformità”.
Proviamo infatti a leggere il testo senza quella virgola. Esso ci direbbe che la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori ecc. Quindi, se la proposizione è unica, il suo cuore sta nella frase relativa ai senatori “eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori”, stabilendo davvero, in questo caso, una stretta e necessaria correlazione tra l’indicazione dell’elettore e il nome della persona eletta a rappresentarlo in Senato. Non sono precisate le modalità, certo; però la frase non sarebbe equivoca e, ripeto, la correlazione evidente e necessaria: gli eletti sono personalmente indicati, in qualche modo, dagli elettori, e una successiva ratifica deve avvenire “in conformità”.
Con la virgola però, il senso cambia completamente, perché abbiamo una principale cui segue una subordinata. La proposizione principale afferma il principio che la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni che li hanno eletti, e qui finisce per effetto del segno di interpunzione che introduce la subordinata. La quale spiega il senso della precedente affermazione: il fatto che la durata del mandato coincida con quella degli organi (questo è il soggetto della frase) è una scelta compiuta dal legislatore per far sì che la rappresentanza senatoriale di una Regione sia “in conformità” alle scelte compiute espresse dagli elettori in occasione delle ultime elezioni relative al rinnovo del consiglio regionale stesso. In altri termini, così redatto, l’emendamento stabilisce solo il principio, ovvio e condiviso, che i senatori espressi da una Regione debbano essere rappresentativi dei rapporti di forza tra le varie formazioni politiche in quella Regione, e che quindi i senatori vadano rinnovati dopo lo svolgimento delle elezioni regionali. Ma questo attiene esclusivamente la sfera della rappresentanza dei vari schieramenti, non la scelta delle persone da mandare in Senato, che doveva essere il punto di dissenso all’interno del Pd.
In sostanza, l’emendamento sancisce un principio condiviso, ma non interviene per nulla su quello che si pretendeva essere il punto dolente: l’eleggibilità o l’indicazione diretta delle persone da mandare in Senato. Non so, e neppure mi interessa sapere, se la minoranza del Pd sia stata fatta fessa dall’inserimento di una virgola o se abbia consapevolmente gabellato per “compromesso” una soluzione che nulla cambia. Questo attiene alla politica politicante, e non è tema che voglio affrontare.
È invece importante sottolineare come, trattandosi di una riforma della Costituzione, ogni dettaglio (linguistico, grammaticale e di punteggiatura) abbia una rilevanza notevole. Perché, nei fatti, un domani chiunque potrà limitarsi a stabilire per legge dei criteri che assicurino il rispetto della rappresentatività (più o meno) dei partiti in Senato, secondo i risultati delle elezioni regionali, per non essere in alcun modo contestabile dal punto di vista costituzionale. E credo che questo lo verificheremo ben presto, giacché è ora iniziata la discussione sull’adeguamento di altri articoli e altre norme a quel presunto principio di “conformità” con la volontà dell’elettore che, a legger bene come abbiamo fatto, è appunto soltanto presunto e di fatto inesistente.
Come sempre, l’italiano è importante. E anche la punteggiatura. Quando si parla di Costituzione, lo è forse un poco di più del solito.