La visione romantica della scrittura danneggia gravemente la scrittura stessa.
Ne sono fortemente convinto. Questo è uno dei motivi per cui non frequento più blog strettamente legati all’atto di scrivere (preferendo quelli che offrono letture e non solo consigli per gli aspiranti imbrattacarte), né partecipo a forum di identica matrice.
Cosa intendo per “visione romantica”? Più o meno tutte quelle banalità riassumibili con: “La scrittura e sangue, introspezione profonda… Si viene posseduti da una specie di demone!“
Ecco, magari per qualcuno è così, ma per me sono frasi fatte che non vogliono dire un cazzo. Sì, oggi mi sento diplomatico.
Io scrivo perché mi diverte. Mi diverte più che giocare a pallone o studiare fotografia, tanto per fare un paio di esempi. Quindi scrivo, cercando di divertire anche chi mi legge.
Demoni? Esorcismi? Introspezione profonda?
Ma anche no.
Specifichiamo: la scrittura è sudore e fatica, nel senso che non è un’attività mentalmente o fisicamente riposante. Ebbene sì: digitare per ore al computer non è uno svago, una passeggiata di salute. Bisogna anche studiare, documentarsi. In questo senso posso concordare con chi dice che la scrittura è sofferenza.
Ma non è sofferenza psicologica, o almeno, non al punto da atteggiarsi a poeti maledetti che conosco i meandri della mente umana più del resto dell’umanità.
Né credo si scriva sotto gli effetti di una “possessione demoniaca”. C’è poco da esorcizzare e le pure lo si fa (capita a tutti, prima o poi), di solito avviene in maniera più inconscia che non conscia.
Altro mito da sfatare: lo scrittore solitario chiuso in una torre d’avorio. Siamo seri: nell’epoca del Web 2.0? Dove tutti condividono tutto e dove i lettori devi andarteli a cercare porta a porta? Dove le collaborazioni sono necessarie anche per creare un semplice ebook? Andiamo, andiamo! Può darsi che gli scrittori sia tendenzialmente più “orsi” di altri creativi, ma di certo non sono tutti cloni del buon Giacomo Leopardi.
Non a caso tra le cose più divertenti di questo ambiente ci sono i progetti di scrittura collettiva o partecipativa. Bizzarro, eh?
Ancora: la visione romantica dello scrittore lo vuole come uno che si pone sopra le miserie umane, osservandole con fare snob, per poi raccontarle. Perché, secondo tali poeti maledetti, nulla è superiore all’arte di scrivere.
Balle. Scrivere è nobilitante quanto fare musica, quanto dipingere, quanto recitare, quanto fare sport. Non esiste una scala di valori che pone lo scrittore, pur solitario, sfigato e asociale, al di sopra di tutto il resto. Per dirla tutta non esiste nemmeno questa visione ottocentesca che ho appena descritto, se non nella testa di tanti intellettualoidi che se la tirano.
Non esiste nemmeno lo scrittore che trascorre il suo tempo ciondolando da un circolino all’altro, portandosi appresso il suo portatile per scrivere dove gli capita, ossia in chiassosi locali da film americano, circondato da amici e belle donne. Né esiste lo scrittore che vive come un recluso in una stanza buia, accompagnato da un sottofondo di musica triste, cercando l’ispirazione in una bottiglia di bourbon.
Scrivere è un lavoro, spesso non pagato, quindi ci si arrangia a buttar giù racconti nei ritagli di tempo, nella speranza che qualcuno capisca che non stiamo solo giocherellando col nostro ego per vedere chi ce l’ha più lungo. Altro che pipponi mentali e atteggiamenti da artstia.