Nell'ambito dei viaggi e appuntamenti politici dei leader del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito in vista del prossimo Congresso che si terrà dall'8 all’11 dicembre, Emma Bonino ha visitato Belgrado. Un’occasione importante per conoscere' l'attuale situazione difficile della Serbia, in cui va sottolineato, siamo già nell'atmosfera preelettorale. Belgrado in questo momento guarda al prossimo appuntamento dei vertici europei che sull'agenda del Consiglio fissato per il 9 dicembre dovrebbe avere anche la decisione se la Serbia avrà ufficialmente lo status di candidato all'adesione. Allo stato attuale, questa decisione è in grande forse e la notizia negativa da Bruxelles potrebbe ulteriormente destabilizzare la scena politica interna della Serbia. L'ostacolo serio per l'approvazione dello status è la posizione ferma della Serbia verso il Kosovo e il proseguimento delle tensioni al nord, dove la maggioranza serba non riconoscendo le istituzioni kosovare e trovandone appoggio a Belgrado, da mesi innalza barricate ai confini amministrativi.
L’incontro di Emma Bonino con Čedomir Jovanović
In questo quadro politico, la leader radicale Emma Bonino ha incontrato Čedomir Jovanović, presidente del Partito liberaldemocratico e promotore dell'iniziativa, vale a dire del manifesto chiamato 'Svolta' con il quale Jovanović è riuscito a trovare sostegno di altri politici, quali ad esempio Vuk Drašković, presidente del Movimento per il rinnovamento serbo (SPO), intellettuali, personalità del mondo culturale, rappresentanti di organizzazioni nongovernative e che chiede alle autorità della Serbia di cambiare definitivamente la politica ufficiale serba nei confronti del Kosovo. Il leader liberaldemocratico è conosciuto da lungo tempo come l'unica vera voce nel mondo politico serbo che riconosce la necessità della svolta nei confronti del Kosovo e chiede apertamente al presidente serbo Boris Tadić di fare un gesto serio verso i cittadini della Serbia ammettendo che il Kosovo è stato perso ancora dal regime di Slobodan Milosević e che la situazione odierna ne è solo la conseguenza di questa politica di gravi errori. Jovanović vede il cammino europeo come priorità assoluta di Belgrado, appoggia la necessità di un dialogo serio con Priština a fin di stabilire relazioni di progresso e buon vicinato per garantire pace, stabilità e democrazia nella regione balcanica e tutto ciò seguendo quanto definito dal piano di Marty Ahtisaari che offre la soluzione migliore per i serbi in Kosovo. Nel suo colloquio con Emma Bonino, Jovanović si è detto preoccupato dell'esito a Bruxelles il prossimo 9 dicembre avvertendo che la risposta negativa da parte dell'Ue relativa allo status di candidato della Serbia sarebbe una minaccia seria alla stabilità dell’attuale governo pro europeo e porterebbe quasi sicuramente alle elezioni anticipate in cui, secondo le valutazioni, l'opposizione guidata da Tomislav Nikolić, presidente del Partito serbo del progresso (SNS) ha grandi possibilità di vincere. Va sottolineato che Tomislav Nikolić già il vice dell'ultranazionalista Partito radicale serbo guidato dall'imputato dell'Aja Vojislav Šešelj, staccandosi da questo partito ha fondato lo SNS, attualmente il maggiore partito di opposizione che ha buone possibilità di vincere le prossime elezioni.
L’incontro di Emma Bonino con Nataša Kandić
Tra gli incontri di Emma Bonino anche quello con Nataša Kandić, prestigiosa rappresentante della società civile serba, direttrice del Fondo del diritto umanitario e promotore dell'iniziativa per RECOM che vuole l'istituzione di una commissione regionale per far luce sulla verità delle guerre degli anni novanta in ex Jugoslavia e per stabilire i dati di tutte le vittime: croate, bosniache, kosovare e serbe. E' seguito poi un incontro con un altro nome molto conosciuto in Serbia sempre nell'ambito delle organizzazioni per i diritti umani - Sonja Licht, direttrice del Fondo per l'eccellenza politica e attualmente presidente della Commissione per la politica estera del presidente Boris Tadić. A fine della sua permanenza a Belgrado, Emma Bonino ha incontrato il presidente della Serbia Boris Tadić. Anche questa è stata l'occasione per approfondire la complicata situazione politica in Serbia nel contesto europeo e in relazione della questione Kosovo. Va sottolineato che il presidente Tadić anche se convinto che il cammino della Serbia deve essere quello europeo non rinuncia alla ferma posizione serba che rifiuta il riconoscimento dell'indipendenza unilaterale di Priština. Tadić ha assicurato il contributo serbo a fin di trovare soluzioni nei ripresi colloqui tra Belgrado e Priština. Il prossimo appuntamento dovrebbe essere questa settimana. Al tempo stesso il presidente serbo si è detto deluso dell'incomprensione da parte dell'Europa della situazione nei Balcani. Emma Bonino, accompagnata dall'ambasciatore italiano a Belgrado, Armando Varricchio, ha sottolineato che l'Ue vuole la Serbia nel suo ambito ma che il ruolo della Serbia è altrettanto indispensabile nella regione. Ha puntato sull'importanza delle iniziative coraggiose dei due presidenti, quello croato Ivo Josipović e del presidente serbo Tadić di cui siamo stati testimoni da quando Ivo Josipović ha assunto l'incarico di capo dello stato croato e ha indicato il particolare valore del proseguimento e approfondimento di tali iniziative che sono l'unico modo per garantire pace e stabilità nella regione ma al tempo stesso in Europa nel suo complesso.
Anche Vuk Drašković appoggia la “Svolta” sul Kosovo
Come detto, il manifesto promosso da Čedo Jovanović e dai liberaldemocratici ha trovato sostegno anche di alcuni altri politici, come ad esempio Vuk Drašković. In difesa dell'iniziativa, Drašković afferma che 'la Svolta' non significa rinunciare al Kosovo bensì accettare la realtà di costruire una politica che proteggerà in modo efficace i diritti dei serbi in Kosovo. Questa politica deve altrettanto salvaguardare il patrimonio culturale e storico nonché spirituale, dice il leader del SPO in una intervista al giornale serbo 'Pres'. Per attuare una tale politica, spiega Drašković, il più grande ostacolo è il preambolo della Costituzione che spinge inevitabilmente la Serbia nella guerra. E' necessaria – è dell'opinione Drašković – la sua modifica poiché vi è uno squilibrio tra la realtà in Kosovo e il preambolo costituzionale. Il politico serbo precisa che la Costituzione serba afferma che il Kosovo è una regione all'interno della Serbia e che bisogna salvaguardare la sovranità su questa regione. Ma la realtà in Kosovo è tale che non vi è nessuna autorità dello stato serbo. Questo deve essere risolto, rileva Vuk Drašković e ritiene che bisogni dire al popolo della Serbia che per accordare la realtà con il Kosovo e la Costituzione bisognerebbe istituire in Kosovo la sovranità della Serbia. Ciò è possibile soltanto con la guerra premesso che la guerra sia vinta. Siccome questa guerra sarebbe tragica sia per lo stato che per l'intero popolo, resta solo l'unica soluzione ragionevole, vale a dire che anche se non riconoscendo l'indipendenza del Kosovo con questo Kosovo siano stabiliti i migliori rapporti economici, commerciali, culturali e altro. In più che sia dedicata massima attenzione alla salvaguardia del popolo serbo in Kosovo e del patrimonio culturale, precisa Drašković. Secondo la sua opinione, anche il nord del Kosovo nel dialogo tra Belgrado e Priština, con la mediazione dell'Ue, sicuramente potrebbe vincere un tasso speciale di autonomia come quello del Sud Tirolo. Drašković spiega che la sua alleanza con Čedomir Jovanović potrebbe essere anche una linea di coalizione elettorale che potrebbe essere un movimento popolare per non spegnere le luci europee in Serbia e che alle prossime elezioni non avvenga un'altra svolta – quella verso gli anni novanta. Drašković precisa altrettanto di essere in buoni rapporti con il Partito democratico di Boris Tadić, che lo SPO è parte della coalizione governativa "Per la Serbia europea" ma che sarà tragico se non si avrà lo status di candidato. "E' impossibile spiegare al popolo che la coalizione che porta questo nome abbia portato il paese fino alla chiusura delle porte verso l'Ue" conclude il presidente dello SPO.
Le nuove tensioni nel nord del Kosovo e le ripercussioni sulla candidatura serba
Il nuovo incidente tra i serbi locali alle barricate sulla via verso il posto di confine Brnjak verso la Serbia, nel villaggio Jagnjenici è accaduto nel momento in cui le forze della KFOR hanno deciso di togliere le barricate e due soldati della KFOR sono stati feriti da armi da fuoco. Il presidente Boris Tadić ha lanciato un appello in cui ha chiesto alla KFOR, EULEX e ai rappresentanti politici dei serbi di calmare immediatamente la situazione e la garanzia della libera circolazione esclusivamente attraverso il dialogo e senza ricorrere alle violenze. Il capo dello stato serbo ha avvertito che l'escalazione del conflitto mette a repentaglio 'gli interessi vitali della Serbia' e diminuisce la possibilità di una soluzione di compromesso e sostenibile in Kosovo.
L'escalation del conflitto al nord del Kosovo diminuisce le possibilità della Serbia in vista della decisione del 9 dicembre, scrive il quotidiano 'Večernje novosti' e aggiunge che è sempre più reale che la decisione verrà spostata per marzo o aprile prossimi. Secondo il giornale serbo attualmente non ci sono molte probabilità per dare il segnale verde alla candidatura, ma è anche più probabile che non prevalga la posizione dura della Germania che sostiene un categorico 'no' alla candidatura di adesione di Belgrado. Quali saranno le posizioni della Serbia per il giorno di attesa si saprà già praticamente il prossimo 5 dicembre quando si riuniranno i capi di diplomazia dei stati membri dell'Ue. "Un gran numero di paesi appoggia la nostra candidatura, ma alcuni stati hanno posto la condizione che sia raggiunto un avanzamento aggiuntivo nei colloqui con Priština, nonché che sia attuato quanto finora accordato" ha detto da Bruxelles Božidar Đelić, vicepremier serbo incaricato per le integrazioni europee dopo il suo incontro con i rappresentanti permanenti degli stati membri. Dal governo serbo affermano che i ministri nei prossimi giorni continueranno l'offensiva diplomatica in Europa per assicurare il consenso di tutti i 27 paesi membri dell'Ue alla candidatura serba.