Viviamo in un flusso ininterrotto, analogico, di accadimenti, pensieri, azioni. Eppure se potessimo osservare dall'alto questo coacervo di eventi ci accorgeremmo che in realtà le nostre vite sono significativamente digitali, ovvero hanno una sorta di risoluzione che è quella data dalla densità degli episodi, piccoli o grandi, ma comunque rilevanti, che incidono in qualche modo sulla nostra esistenza. Possono essere frasi, pensieri, viaggi, incontri, considerazioni, agnizioni, paesaggi, esperienze di ogni genere, ma cose piccole, per lo più, e spesso (solo) apparentemente insignificanti. Certo, ci sono anche i Grandi Momenti e le Grandi Scelte a determinare il nostro percorso (lo sposo o non lo sposo?, faccio filosofia o medicina?, lascio tutto e vado dall'altra parte del mondo o resto qui?), ma sono soprattutto certe cose di tutti i giorni, discrete, puntuali come capocchie di spillo, piccole tessere di un mosaico senza un'immagine di riferimento, a concorrere a fare di noi quello che siamo.
Mi piace pensare che sia stato basandosi su un concetto simile che Jenny Offill abbia deciso di scrivere Sembrava una felicità nel modo in cui l'ha fatto. Perché questo suo romanzo, in realtà non è un romanzo. Ma non è nemmeno un diario. E neppure una raccolta epistolare. Inutile dire che non si tratta nemmeno di un poema lirico. Sembrava una felicità è un oggetto narrativo non identificato in quanto racconta, sì, una storia, come qualunque romanzo - che nella fattispecie è la storia di un momento della vita di una donna assai tormentata, una donna preda delle contraddizioni nel rapporto con la figlia (che sta crescendo), in quello col marito (traditore), in quello col lavoro (complicato) - ma non lo fa secondo i canoni del romanzo, ovvero in accordo a un flusso narrativo strutturato, per quanto articolato e personalizzato dallo stile espresso dall'autore. No. La Offill destruttura completamente la narrazione e racconta la storia della sua protagonista secondo brevi, a volte brevissimi, "quadri di testo" di tutti i generi (dal racconto di un episodio, a un'osservazione, a un pensiero, a una citazione ecc.), in maniera non consecutiva né dal punto di vista logico, né da quello cronologico, come tessere sparse di un mosaico che si compone piano piano nella mente del lettore a mano a mano che procede nella lettura.
Ma ciò che è più straordinario, è che il risultato finale non restituisce una storia compiuta dall'inizio alla fine - non pensate insomma di ricostruire per filo e per segno la vicenda della protagonista come se l'aveste letta secondo i canoni consueti del romanzo - bensì rimanda alla conoscenza di quella persona e della sua esperienza a livello quasi inconsapevole. In altre parole, il modus operandi della Offill riesce a simulare nella mente del lettore la conoscenza della sua protagonista prima ancora della consapevolezza della sua storia. È un processo curioso, quello di cui si è partecipi leggendo il libro. Ma Sembrava una felicità non si limita a essere un interessante esperimento letterario, perché la Offill avvolte e permea il suo racconto di maternità, di relazioni e di realizzazione con una sensibilità, un'arguzia, una leggerezza e un'intensità davvero straordinarie, rendendolo vivo come raramente capita di leggere. Insomma, forse non sarà il migliore romanzo di questo 2015, ma per ora sta certamente sul podio. E per questo, mannaggia a lui!, devo ancora una volta ringraziare la segnalazione del buon Michele Orti Manara del blog Nepente, anche in questo caso (come in quello dello straordinario Nel mondo a venire di Ben Lerner), che ormai mi toccherà eleggere a mio pusher letterario privilegiato.
L'incipit:
Le antilopi vedono dieci volte meglio di noi, avevi detto. Era l'inizio o quasi. Significa che in una notte tersa riescono a vedere gli anelli di Saturno.
Accadeva mesi prima che ci raccontassimo tutte le nostre storie, e anche all'epoca qualcuna sembrava troppo piccola per darle importanza. Ma allora perché mi sono tornate in mente proprio adesso? Adesso che sono così consapevole di tutto.
I ricordi sono microscopici. Minuscole particelle che sciamano in gruppo e da sole. Folletti operai, li chiamava Edison. Entità. Lui aveva una teoria sulla loro provenienza e quella teoria era lo spazio cosmico.
Sembrava una felicità (Dept. of Speculation, 2014), di Jenny Offill - NNEditore
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