Magazine Cinema
(La vie d'Adèle - Chapitres 1 - 2)
di Abdellatif Kechiche (Francia, 2013)
con Adèle Exarchopoulos, Lea Seydoux, Jeremie Laheurte, Salim Kechiuouche
durata: 179 min.
★★★☆☆
Il cibo, il sesso, l'amore, la routine, la rabbia, il distacco. 179 minuti sono il tempo che serve a Abdel Kechiche per mettere in risalto l'universalità dei sentimenti e la parabola di una relazione. Il fatto che il film racconti una storia saffica è importante ma non totalizzante: La vita di Adele avrebbe potuto raccontare un amore eterosessuale e non sarebbe cambiato poi molto, almeno a livello di narrazione. Sarebbe invece cambiato moltissimo a livello di percezione del pubblico: è chiaro che una storia gay fa molto più scalpore ed ha un impatto mediatico, sociologico e politico ben diverso (e la vittoria della Palma d'oro a Cannes, proprio nei giorni in cui il governo transalpino votava la legge sui matrimoni omosessuali, ne è un esempio lampante: il palmarès della Croisette è stato spesso specchio di rivendicazioni politiche, basti pensare alle vittorie di Michael Moore e Ken Loach negli anni passati...)
Ma limitiamoci al cinema, che è quello che più ci interessa. Molti hanno scambiato La vita di Adele per un romanzo di formazione, ma a ben vedere ci accorgiamo che non è affatto così: nel senso che per come è strutturato il film è più corretto parlare di 'istantanee di vita' della sua giovane protagonista, in quanto la storia raccontata da Kechiche è tutt'altro che fluida e lineare, come del resto si evince fin dal titolo originale che parla di due 'capitoli', come un libro, ognuno narrante un periodo ben preciso e senza alcun collegamento temporale. Due capitoli che anche stilisticamente sono come due film nel film, diversissimi tra loro per registro, toni, e anche qualità cinematografica.
Nella prima parte, la sedicenne Adele è alle prese con i primi turbamenti sessuali: le compagne di liceo, disinibite e scaltrissime, la 'spingono' letteralmente tra le braccia del bello della scuola. Adele ci va a letto, più per far contente le amiche che per lei stessa. E' strano: nonostante sia la liceale più invidiata del suo istituto, Adele non prova alcun entusiasmo nei suoi amplessi con Thomas. E' solo esercizio fisico, mancano l'emozione e il trasporto, la scintilla che accende la passione. Il motivo apparirà poco dopo, nelle fattezze di una strana ragazza dai capelli blu che incrocia il suo sguardo davanti al bancone di un locale gay. Si chiama Emma, è più grande, più esperta, più risoluta, più affamata. Finiscono a letto insieme, fanno l'amore in continuazione: sesso travolgente, selvaggio, uno scambio di corpi e pulsioni che arroventano e cementificano la loro unione.
Il problema è che la passione tra le due protagoniste non è affatto pari a quella dello spettatore. Kechiche è un regista bulimico, invadente, incontenibile (nel bene e nel male) quando si tratta di mettere in scena l'attrazione fisica, quasi come se l'artista (che è validissimo) lasciasse spazio all'uomo, al 'maschio', a una (in)sensibilità che non è certo commisurata alla delicatezza che la storia richiederebbe. E' la stessa sensazione che avevamo avuto in Venere Nera, il suo film precedente, dove la drammaticità della vicenda veniva svilita dalla sgradevolezza dell'impianto di fondo della pellicola. E anche qui Kechiche si muove come un elefante in un negozio di cristalli: ci propina interminabili scene di sesso senza risparmiarci alcun dettaglio, che però finiscono per ottenere l'effetto contrario a quello sperato, ovvero l'assuefazione dello spettatore e la conseguente noia, oltre che al disappunto per non aver invece approfondito aspetti ben più importanti. Mentre infatti infuriano gli amplessi, intere parti vengono abbandonate a se stesse: che succede a Adele quando le compagne di classe scoprono che è lesbica? Che ne è del rapporto con i suoi genitori, molto meno 'progressisti' di quelli di Emma? Risposte che possiamo solo immaginare, guardando quello che succede dopo...
Sipario. Capitolo secondo. Sono passati dieci anni. Adele e Emma vivono insieme, la loro relazione è ormai alla luce del sole. E qui, finalmente, abbandonate le ambiguità sessuali e gli istinti pruriginosi, il film decolla. Adesso poco importa se la coppia è omo o etero. E' una coppia, punto e basta, che deve affrontare la vita come qualunque altra. Adele ama Emma, ma i loro caratteri e le loro aspirazioni sono molto diversi: Adele fa la maestra in una scuola elementare, il mestiere che ha sempre desiderato, ma Emma lo considera un ripiego, un lavoro di serie b. Lei è un'artista affermata, laureata alla Belle Arti e pittrice avanguardista di successo. Emma ha molteplici conoscenze, altolocate, snob. Adele sembra sola, solissima. Non si sa che fine hanno fatto la famiglia e le sue amiche. Vive a rimorchio della compagna, ma inevitabilmente le disparità sociali e attitudinali mineranno i loro rapporti.
Da questo momento il film si eleva a parabola dei sentimenti, una specie di trattato sulla capacità di amare e di relazionarsi ai nostri tempi. Le due attrici, l'esordiente Adele Exarchopoulos e la più conosciuta Lea Seydoux, sono bravissime nell'immedesimarsi in due persone unite dalla passione ma divise dal loro ego: Adele ama visceralmente Emma, ma non si capisce se il suo sia amore, ossessione, disperazione o solitudine. Tolto il linguaggio del corpo, infatti, Adele e Emma hanno ben poco in comune: carattere, sensibilità, obiettivi, le rispettive debolezze, sono del tutto diverse... Adele è la più fragile delle due, e anche la più confusa. L'incomunicabilità con il mondo in cui l'ha trascinata la compagna la porta al gesto più banale e drammatico: il tradimento, con un uomo per giunta! Da qui le loro strade si divideranno, non è dato sapere se per sempre o no: il sottotitolo 'capitoli 1 e 2' lascia presagire un sequel, ma il regista nè conferma nè smentisce...
La vita di Adele è un film a due facce: schematico, morbosetto, abbastanza incompiuto nella prima parte, diventa adulto e stringente, profondamente umano nella seconda. Come detto, è una Palma d'oro figlia del momento che Kechiche ha abilmente sfruttato. Ma, anche alla luce di innumerevoli recensioni entusiastiche che abbiamo letto, ci permettiamo di dire che siamo ben lontani dal capolavoro. E' una pellicola-fiume che NON vi inchioderà alla poltrona per 179 minuti (che si sentono tutti) ma vi porterà a discutere, a interrogarvi su voi stessi. Per questo va comunque visto, depurato però da apologie e pregiudizi.
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