Amanti della narrazione a metà: questo film è per voi, soprattutto se patite la segreta perversione di abboccare all’amo della dichiarata rappresentazione della realtà ripresa da un’inarrestabile e opprimente handycam, oggi più in voga che mai perché fa tanto Voto di Castità o Dogma 95, scegliete voi. Il flusso di coscienza, la maturazione e la solitudine di Adèle, adolescente come tante in una città del nord della Francia, sono raccontati da primi piani talmente crudeli da rivelare l’inconsistenza e l’imbarazzo dell’attrice principale che improvvisa e deborda senza verità. Kechiche regista pretende che un’attrice inesperta quale Adèle Exarchopoulos si annulli nel personaggio dandogli addirittura lo stesso nome, peccato che il personaggio sia disperatamente in cerca dell’autore e la sceneggiatura risulti inconsistente e improvvisata per quasi tutti i 179 minuti del film. E la cifra del non avere stile è proprio quella dell’improvvisazione. Di che racconta La vita di Adèle? Esiste un racconto? La risposta è tutta in quegli spaghetti alla bolognese continuamente ingurgitati dai protagonisti, nel continuo parlare di nulla con l’aggravante del disgusto provocato dal parlare con la bocca piena, che per una scena è sopportabile, ma per venti minuti filati diventa imbarazzo e raccapriccio. Non vedevo tanta pastasciutta in un film dai tempi dei gloriosi principeschi bianco e nero di Totò, ma almeno lui un po’ se la metteva in tasca con meravigliosa nonchalance.
Insomma, quale clinica della Timidezza ha frequentato la protagonista se arrossisce senza motivo e poi tradisce serenamente la sua compagna la prima sera in cui resta sola e col primo uomo che capita? Ma il ridicolo si raggiunge – e nel comico involontario si precipita – con le citazioni di Sartre (per non parlare degli omaggi a Truffaut, Marivaux, ecc.): mentre mi agito nell’angusta poltrona del cinema, in sala si registrano le prime defezioni; ho ammirato due coppie che hanno abbandonato la sala a metà proiezione con classe, senza commentare a voce alta e senza nemmeno l’accenno a fischiare dimostrando un autocontrollo degno di un reale inglese, uno a caso. Dalla mente degli sceneggiatori poi il parto d’inizio Millennio, l’Invenzione, udite udite: far finire la storia lesbica tra le due ragazze insinuando subdolamente differenze socio-culturali incolmabili; mentre ci viene rifilato tutto ciò che è banale e non fa parte della cultura lesbienne, compresa la preferenza delle ostriche che ricordano altro – e mi scappa da ridere – non so più cosa aspettarmi sullo schermo, valutando l’appetibile ipotesi di uno sbarco alieno che mi rapisca e mi dimentichi in un’altra Galassia. Se empatia si deve provare per qualcuno, proviamola per le due bellissime attrici, contribuiamo alla creazione di catene umane e pagine sui social networks perché a Kechiche non venga in mente di girare i capitoli 3 & 4 della vita di Adèle. E se avesse in mente un decalogo, un progetto alla Kieslowski o alla Linklater?
Carlo Camboni
Cover Amedit n° 17 – Dicembre 2013. “Ephebus dolorosus” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 17 – Dicembre 2013
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