La vita è un viaggio o i viaggi aiutano a vivere? (Marzulliamoci)

Da Suster

Sono una sempre a metà.
Sto in un posto ma so che potrei stare anche altrimenti. Mi tengo un'alternativa.
Sentirsi a casa in due posti diversi è un po' come non sentirsi a casa mai del tutto. Avere sempre un altrove.
Il mio viaggio è sempre un po' fuga e un po' ritorno, in qualunque direzione viaggi il mio treno, da nord a sud a nord della linea litoranea tirrenica.
Partire mi piace e non mi piace. Ne ho bisogno e ne ho orrore.
Del viaggio non mi piace: il mio nervosismo del pre-partenza, l'ansia immotivata, che non riesci a tenere a bada, il dover programmare, il dover rispettare i tempi.
Il fatto che finisco sempre per prendermela con le persone che ho intorno, la fretta inconcludente, la sensazione di dimenticare sempre qualcosa. L'accorgermi sempre troppo tardi di cosa ho dimenticato.
Non mi piace quando perdo il treno. Non mi piace la malinconia di quando lasci qualcuno caro anche se sai che lo rivedrai a breve, quando ti dici che avresti pure potuto salutarlo un po' più affettuosamente, invece di essere occupata ad essere impaziente e ansiosa, e nervosa.
Non mi piace dover partire col cibo appresso. Non mi piace dovermi incaricare di commissioni altrui, oberarmi di pacchi di dolci e bistecche crude sanguinolente da portare a spasso per l'Italia, come se fossimo in tempi di carestia, come se fossimo profughi rifugiati.
Non mi piace congedarmi per una frase aspra e insofferente, arrabbiarmi per una bistecca in più, un sorriso riparatore tardivo e forzato sempre insufficiente a farmi partire serena.
Non mi piace la sensazione di lasciar qualcosa in sospeso, a metà, di perdere il filo.
Del viaggio mi piace: mi piace partire leggera, riuscire a ridurre all'essenziale, scremare, alleggerirsi anche l'anima per via di togliere.
Non mi piace accorgermi di quanta fatica mi costi riuscire a staccarmi da alcuni oggetti, anche per pochi giorni. Il portatile, la reflex, appendici come zavorre che mi incatenano alla mia nicchia di esistenza.
Mi piace riuscire a fare a meno.
Mi piacciono le stazioni, tutte, ma soprattutto quelle che sanno ancora un po' di passato, non ancora stravolte da megaschermi pubblicitari a ogni binario e boutiques in franchising, fast-food come se piovesse, sempre affollatissimi e librerie mega-store. Non mi piace la Stazione Termini. Mi piace la stazione di Pisa Centrale.
Non mi piacciono gli aeroporti, perché sono troppo grandi e mi perdo sempre.
Mi piace, delle stazioni del treno,  l'idea che sono sempre ferme e che tutti ci passano per andare via o arrivare, e i treni partono e arrivano, e sono come porte per altri mondi, per altre dimensioni: sono la potenzialità dell'altrove. E ogni giorni ci passano un sacco di persone, e il giorno dopo chissà dove saranno andate a finire. Anche negli aeroporti, è chiaro, ma in treno le senti più vicine, e magari addentano un panino sulla panchina accanto a te sulla banchina. E poi i treni hanno percorsi già definiti, sempre quelli, e non possono andare dove gli pare, seguono i binari della ferrovia ed è bello sapere che quel percorso è stato già tracciato, apposta per te, da qualcun altro, e qualcuno l'ha fissato al suolo con l'acciaio ed è sempre quello, non puoi sbagliare, a meno che non sali sul treno sbagliato.
Mi piace il treno, come mezzo di trasporto "pubblico", ancora, malgrado le tariffe sempre più care, il mezzo di trasporto del popolo.
Mi piace quando viaggio con gruppi di studenti pendolari, mi piace sentirli parlare delle cose di tutti i giorni, la scuola, il compito in classe, i professori, i programmi per il week end, mentre aspettano di scendere ognuno alla propria stazione, alla spicciolata, e che sembrano tanto arroganti e sicuri di sé, ma che poi si imbarazzano se solo gli rivolgi la parola.
Mi piace pensare che per loro quella tratta ferroviaria fa parte del quotidiano e farà sempre parte della loro Storia, della loro memoria, del loro bagaglio di ricordi, come per me la linea urbana del 341, strapieno di teen-ager vocianti intorno alle due del pomeriggio, costipati tra zaini e le porte a soffietto, che sembravano sempre chiuderci in mezzo qualcuno, ma poi, chissà come, c'entravamo sempre tutti.
Mi piace viaggiare in treno e mi piace la mia tratta. Mi piace perché ormai la conosco e la considero mia: la conosco, mi appartiene. E so quando la vista del mare mi si sta per aprire davanti, azzurrissima, subito dopo quella galleria, lasciata Livorno, e quando potrò ammirare dall'alto le baie di Cala Furia, col grande arco del viadotto stradale a sovrastarla, e Cala del Leone, nascosta, e il castello sul promontorio del Sonnino.
Mi piace perché costeggia campi e uliveti, e colline a sinistra e campagne e covoni di fieno e distese di gialle rape e rossi papaveri e lavanda color lavanda, e a maggio è tutto molto poetico.
Mi piace il treno Diretto, che costa meno di tutti e non devi prenotare, e ferma a tutte le stazioni e ci mette una vita e mezza, e non c'è l'aria condizionata a bloccarti la cervicale e gli scompartimenti sono aperti e puoi vedere la gente intorno a te, e puoi muoverti e alzarti senza doverti disincastrare dal tuo loculo di un metro quadro, e ci sono i venditori abusivi di orologi taroccati e altro, con le loro bustone azzurre stipate nei portapacchi che a volte mi sa che non hanno il biglietto, e rimangono in piedi sul corridoio, guardando a ogni fermata se sale il controllore.
Mi piace anche se dura quattro ore, ma mi piace solo se non è a ridosso di qualche festività, perché allora il treno è pieno e si sta tutti pigiati tra enormi valigie impilate a torre sui sedili e puzza di sudore.
Non mi piace l'Eurostar perché costa troppo e poi devi prenotare e ti mettono sempre pigiato in uno scompartimento completo quando il resto del vagone è vuoto, e tutti hanno le cuffie nelle orecchie e il pc davanti e sembrano molto impegnati e molto abituati al viaggio, tanto che non guardano più nemmeno dal finestrino.
A me piace guardare dal finestrino.
E mi piace viaggiare con la pupa, che è una piccola donna e si vergogna quando qualcuno le rivolge la parola, ma poi sfila a passeggio su e giù per il vagone a distribuire sorrisi e occhiate sornione e a raccogliere complimenti e esclamazioni ammirate.
E guarda i ragazzi grandi giocare a carte e a sasso forbice carta e imita i loro gesti divertita.
E indica le persone che passano accanto, per il corridoio descrivendo il modo in cui sono vestiti e se portano il cappello o la borsa,e se sì di che colore.
E si vuole sedere da sola sul sedile e poi esclama "Che bello tta'e tul t'eno!" E mi ascolta mentre le dico che ora ci fermeremo in tante città fino ad arrivare a Roma, dove vive Nonna,e Nonna ci verrà a prendere, con la sua macchina azzurra, e lei continua a chiedere: "E poi?". Ed è già proiettata nel suo futuro prossimo e si scorda che siamo appena partite, e alla prima fermata pensa che sia già tutto finito e dice: "Anco'a teno!"
E poi mi piace che il viaggio sia per lei una realtà naturale e tangibile, mi piace che sappia già viaggiare, così piccola com'è, e che mangi senza scomporsi la sua pasta fredda dalla vaschetta del gelato Carte d'Or e che poi si addormenti alla solita ora,e se ne stia lì, sbragata sulle poltrone scomode e la testa tutta storta, una lama di sole che filtra da sotto la tenda blu tirata a infastidirle la guancia, e il respiro regolare, coperto dal rumore conciliante delle ruote sui binari.
TU-TUM TU-TUM
Mi piace il rumore delle rotaie.
Mi piace portarmi un libro da leggere e sapere che per una volta so esattamente di potermi dedicare alla sua lettura senza altri impegni più importanti da sbrigare prima. Mi piace portarmi sempre un libro sul treno, anche se poi non lo leggo quasi mai.
Il tempo sul treno è un tempo sospeso che non ti senti in dovere di riempire in maniera "produttiva" per sentirti a posto con la coscienza e pensare di averlo "impiegato". Ma solo di farlo passare, senza che tu possa o debba fare nulla perché passi, perché si arrivi prima.

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