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La vita interessante. Senza nome e senza volto!

Creato il 09 giugno 2010 da Pinomario
Povero tempo, il nostro, in cui la visibilitàsembra una nuova religione, anche per i seguaci delle grandi religioni storiche. Tempo accattone, questo, in cui si associa al culto dell’immagine l’idea di valore decisivo. Tempo triste, questo, se una specie di deformazione mentale porta a identificare una vita degna di essere vissuta con il successo derivante dalla  “fama” mediatica. Tempo privo di passioni, il nostro, se il sogno di una vita, per troppi, sembra consistere in pochi, fugaci, inconsistenti, vuoti e virtuali momenti di “apparizione” pubblica, per i quali si è disposti a “tutto. Tempo cortigiano e servile, questo nostro, in cui la grandezza di un uomo o una donna viene identificata sempre più spesso con la notorietà mediatica. Oggi, siamo tentati – tutti – di ritenerci impotenti di fronte agli eventi. Oggi, pensiamo – perché siamo, in questo senso, condizionati – che, senza l’intervento dei potenti, i problemi, di ogni genere, non possono essere avviati a una soluzione. Oggi, questa mentalità diventa prassi quotidiana – in Italia, in forma più invasiva, forse per ragioni storiche – fino al punto che, anche avendo capacità personali e potenzialità, ci assicuriamo, in ogni caso, qualche “santo” in paradiso o, più spesso, qualche “diavolo” all’inferno (dal momento che siamo disposti a vendere l’anima in cambio di quello che “ci serve”!). Oggi, siamo spinti a credere che solo avendo forza e potere possiamo svolgere un ruolo nella società e nella storia. In altre parole, abbiamo la consapevolezza – indotta? – di essere insignificanti e, per questo, attendiamo risposte sempre da qualcun altro. Perciò smettiamo anche di fare troppe domande per non disturbare i “manovratori”.Ebbene, in questo nostro tempo, potrebbe essere di aiuto riprendere in mano e rileggere (anche se forse poco conosciuto perché a suo tempo ha avuto poca pubblicità!) un libro di Eric Hobsbawm dal titolo – polemico – “Gente non comune”.Infatti, riguardare oggi, con più attenzione, la nostra storia, anche quella non “raccontata” usualmente, può farci scoprire altri aspetti dell’esperienza umana e darci un’altra coscienza di noi stessi. Hobsbawm, in questo libro, pubblicato da Rizzoli una decina di anni fa, – e immagino non ristampato – ci guida a riscoprire e a leggere la Storia con altri occhi, con altre lenti – le lenti di un investigatore abituato a guardare nelle pieghe della vita e negli anfratti della società, lì dove nessuno guarda  e nessuno cerca niente, abituati, come siamo, a pensare che nulla si possa trovare. E invece, possiamo scoprire che nomi, il più delle volte sconosciuti, se non in contesti ristretti o locali (il vicinato, il villaggio, la scuola, la parrocchia, un’associazione, ecc.), o episodi, definiti, in genere, marginali, sono stati, invece il tessuto connettivo, sul quale si sono innestati i “grandi” avvenimenti! Proprio quelli che, di solito, vengono considerati “gente comune” – e che Hobsbawm chiama, contro l’opinione corrente, ”gente non comune”, - non tanto per smania di dare riconoscimenti postumi! – proprio loro, quelli senza nome e senza volto, persone ordinarie, si trovano, più spesso di quanto non si pensi, ad avere un ruolo fondamentale – sebbene inconsapevole – nella storia. La vita di quegli uomini e di quelle donne che – lo sappiamo - formano la gran parte della specie umana –(formiamo la gran parte della specie umana!) – è interessante - quando è vissuta veramente e consapevolmente - anche se nessuno la mette per iscritto!  Quegli uomini e quelle donne – spesso come singoli e più spesso collettivamente – sono stati protagonisti della nostra storia. “Quello che hanno pensato e fatto è tutt’altro che trascurabile [e non è stato inutile]: era in grado di influire, e ha influito, sulla cultura e sugli avvenimenti”, più di quanto possano influire i “fantasmi”, evanescenti, che appaiono ogni giorno sui nostri teleschermi! Degno di riflessione, infine, quello che scrive Hobsbawm, quando, a proposito della storia contemporanea, dopo aver analizzato un’infinità di casi in vari angoli del mondo, evidenzia come, in tante situazioni, “le intenzioni e le decisioni consapevoli dei potenti difficilmente possono essere considerate rilevanti, anche se convenzionalmente si è soliti discuterle in questi termini”, e anche se i potenti di turno non resistono all’idea di essere considerati “uomini della provvidenza”, (tutto questo con buona pace dei nostri – effimeri – ducetti da cortile!)

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