Oggi lo conosciamo come pianeta rosso. Ma certo ieri era blu, d’acqua. Tracce di formazioni geologiche originatesi grazie all’azione di H2O allo stato liquido confermano la presenza di acqua nel recentissimo passato geologico di Marte. A dirlo è uno studio appena pubblicato da un team di geologi guidati da Andreas Johnsson, ricercatore presso il dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Göteborg. Le immagini aree dell’emisfero meridionale di Marte mostrano un cratere contenente calanchi e depositi di fenomeni erosivi perfettamente conservati. Si tratta di fenomeni geomorfologici di erosione del terreno che si producono per effetto di dilavamento delle acque su rocce friabili e poco protette (sulla Terra sono le piante a difendere i terreni argillosi da piogge e acque correnti). Formazioni geologiche che forniscono la prova dell’azione di acqua in tempi geologicamente recenti. Secondo il team di Johnsson il cratere potrebbe avere all’incirca 200.000 anni. Si sarebbe quindi formato parecchio tempo dopo quella che crediamo sia stata l’ultima era glaciale marziana, conclusasi 400.000 anni fa. “Il fenomeno dei calanchi è piuttosto comune su Marte”, spiega Johnsoon. “Vero è che quelli studiati finora sono sempre risultati più antichi. E i sedimenti di cui sono formati sono stati associati all’ultima glaciazione. Il cratere di cui parliamo, invece, è decisamente più giovane e testimonia processi di dilavamento importanti anche in tempi recenti”. Quando un blocco di sedimenti che si trova su un pendio si satura di acqua, la miscela che ne risulta può comprometterne la stabilità. Il peso lo trascina a valle in forma di detriti e si genera una frana. Sulla Terra, in zone edificate, questi fenomeni danno origine a veri e propri disastri: un misto di pietre, ghiaia, argilla e acqua che si muove rapidamente trascinando con sé tutto quel che si trova in superficie. Dal punto di vista prettamente geologico, arrivato a fine corsa il sedimento presenta caratteristiche uniche, depositi ben visibili e argini speculari lungo i canali di flusso delle frane. Sono queste strutture geologiche che i geologi di Göteborg hanno riconosciuto su Marte. Del tutto simili a formazioni conosciute sulle isole Svalbard e di cui sono state scattate immagini aeree per fare un confronto. “Il lavoro fatto sul campo alle Svalbard ha confermato le nostre ipotesi sul cratere marziano. Anche se quello che ci ha lasciati a bocca aperta è l’età geologica di questo fenomeno”, afferma Johnsson. La regione in cui sorge il cratere si trova attorno al 45° parallelo Sud di Marte, in quella che è conosciuta come un’area di materiali estrusi da un grande cratere vicino. Il materiale eruttato si dispone in forma di fiore attorno al nostro cratere, il che ha suggerito agli scienziati di interpretare il fenomeno come risultato di un impatto su fondo bagnato, o comunque ricco di ghiaccio. Osservando meglio non sono però state trovate impronte riconducibili a uno scioglimento di acque. È più probabile che si tratti di un’azione di dilavamento causata da una normale nevicata, al tempo in cui la meteorologia marziana contemplava la formazione di cumulonembi. Cosa possibile, dal momento che in passato l’asse orbitale del pianeta era più inclinato rispetto all’ellittica.Fonte: www.media.inaf.it.
Oggi lo conosciamo come pianeta rosso. Ma certo ieri era blu, d’acqua. Tracce di formazioni geologiche originatesi grazie all’azione di H2O allo stato liquido confermano la presenza di acqua nel recentissimo passato geologico di Marte. A dirlo è uno studio appena pubblicato da un team di geologi guidati da Andreas Johnsson, ricercatore presso il dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Göteborg. Le immagini aree dell’emisfero meridionale di Marte mostrano un cratere contenente calanchi e depositi di fenomeni erosivi perfettamente conservati. Si tratta di fenomeni geomorfologici di erosione del terreno che si producono per effetto di dilavamento delle acque su rocce friabili e poco protette (sulla Terra sono le piante a difendere i terreni argillosi da piogge e acque correnti). Formazioni geologiche che forniscono la prova dell’azione di acqua in tempi geologicamente recenti. Secondo il team di Johnsson il cratere potrebbe avere all’incirca 200.000 anni. Si sarebbe quindi formato parecchio tempo dopo quella che crediamo sia stata l’ultima era glaciale marziana, conclusasi 400.000 anni fa. “Il fenomeno dei calanchi è piuttosto comune su Marte”, spiega Johnsoon. “Vero è che quelli studiati finora sono sempre risultati più antichi. E i sedimenti di cui sono formati sono stati associati all’ultima glaciazione. Il cratere di cui parliamo, invece, è decisamente più giovane e testimonia processi di dilavamento importanti anche in tempi recenti”. Quando un blocco di sedimenti che si trova su un pendio si satura di acqua, la miscela che ne risulta può comprometterne la stabilità. Il peso lo trascina a valle in forma di detriti e si genera una frana. Sulla Terra, in zone edificate, questi fenomeni danno origine a veri e propri disastri: un misto di pietre, ghiaia, argilla e acqua che si muove rapidamente trascinando con sé tutto quel che si trova in superficie. Dal punto di vista prettamente geologico, arrivato a fine corsa il sedimento presenta caratteristiche uniche, depositi ben visibili e argini speculari lungo i canali di flusso delle frane. Sono queste strutture geologiche che i geologi di Göteborg hanno riconosciuto su Marte. Del tutto simili a formazioni conosciute sulle isole Svalbard e di cui sono state scattate immagini aeree per fare un confronto. “Il lavoro fatto sul campo alle Svalbard ha confermato le nostre ipotesi sul cratere marziano. Anche se quello che ci ha lasciati a bocca aperta è l’età geologica di questo fenomeno”, afferma Johnsson. La regione in cui sorge il cratere si trova attorno al 45° parallelo Sud di Marte, in quella che è conosciuta come un’area di materiali estrusi da un grande cratere vicino. Il materiale eruttato si dispone in forma di fiore attorno al nostro cratere, il che ha suggerito agli scienziati di interpretare il fenomeno come risultato di un impatto su fondo bagnato, o comunque ricco di ghiaccio. Osservando meglio non sono però state trovate impronte riconducibili a uno scioglimento di acque. È più probabile che si tratti di un’azione di dilavamento causata da una normale nevicata, al tempo in cui la meteorologia marziana contemplava la formazione di cumulonembi. Cosa possibile, dal momento che in passato l’asse orbitale del pianeta era più inclinato rispetto all’ellittica.Fonte: www.media.inaf.it.
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