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La volgarità del nulla

Creato il 15 giugno 2011 da Albertocapece

La volgarità del nullaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Stracquadanio (il vispo sdoganatore della prostituzione “E’ legittimo usare il proprio corpo per fare carriera”), ieri: “La sinistra vince perchè ha molti militanti che il pomeriggio non fanno un cazzo e giocano col PC”. E Brunetta sempre ieri ai precari: “Siete l’Italia peggiore…”.
A una prima occhiata sembrerebbero le intemperanze sgangherate e isteriche dei vinti.

In realtà in questo ceto politico becero e miserabile c’è una perseveranza diabolica della maleducazione, che non è un orpello formale, un bon ton di facciata. Tante volte ho insistito su questo tema, che fa la differenza. Le buone maniere non sono solo un velo perbenista e convenzionale sull’istinto e sull’animalità. Si tratta invece di indicatori del livello di civilizzazione di un popolo e della sua classe dirigente, che via via nei secoli ha scelto di rendere meno esplicite alcune procedure e meno visibili alcuni comportamento, a cominciare da quelli legati al cibo, allo stare a tavola, alla convivenza, perché diventassero più rispettosi meno cruenti. Si cominciò così a scannare quarti di bue nelle cucine, a usare le posate, a umettarsi le labbra col tovagliolo. Ci voleva questo premier per alzare le cortine dei suoi letti e aprire le porte del suo suk nel quale spudoratamente comprava intelletti, televisioni, informazione, ragazze, deputati. E per diffondere quella pratica sfrontata dell’umiliazione della dignità che è poi la forma più perentoria e grossolana della maleducazione e dell’ignoranza, del non sapere cioè che cosa si può o non si può fare per non offendere, mortificare, avvilire gli altri, affini o diversi da noi. Hanno instaurato l’egemonia dei toni gridati, della sfacciataggine, del mostrare le vergogne che dovrebbero essere tali non in nome del comune senso del pudore, ma proprio perché attengono alla propria privatezza, alla sfera delle emozioni, del rispetto di sé e degli altri: tutti sentimenti ignoti o irrisi da chi nella rappresentazione dell’esistenza che ci impone, pensa che una fattezza dell’esercizio del potere sia svelarci le sue brutture e pervadere senza ritegno le nostre vite, dalla nascita alla morte, manomettendo la nostra memoria e il nostro futuro.

Si siamo diversi da loro. L’arcaica sinistra, anche prima di don Milani, sapeva bene che per le classi lavoratrici il possesso delle buone maniere non era aspirazione conformista ad adeguarsi alle regole borghesi, ma un motore di affrancamento, come parlare con proprietà, non fare errori di ortografia e vestirsi con sobria eleganza. E io personalmente ho una certo fastidio per le esuberanze del web: profili di attempate pantere in lingerie, disinvolto turpiloquio, insulti sanguinosi, spiegabili dalla collera o dal solipsismo di questi tempi, ma ingiustificabili nell’esercizio sia pure solo virtuale del diritto di cittadinanza e dialogo civile. Non basta più resistere, non ci si deve accontentare di inveire, è il momento di agire e sembra che abbiamo proprio cominciato.

Proprio per questo a me di Straquadanio disturba poco la volgarità schiumante bilioso disprezzo per chi pensa. E di Brunetta non mi affligge la statura improbabile. Mi ripugna invece una cifra della loro maleducata intemperanza, incontrollata e ringhiosa: il risentimento violento e tracontante nei confronti di chi non si adegua, di chi disubbidisce alle loro convenzioni scellerate, di chi rivendica il possesso della sua esistenza e delle sue scelte ed esige risposte. La loro violenta sopraffazione si declina nel gettare le carte per terra e nel lasciarci sprofondare nell’immondizia reale e morale, nel precipitarci in un umiliante bisogno, nel negarci diritti conquistati, nel pervadere le nostre vite, nell’alimentare la diffidenza e il sospetto, nel mortificare gli indifesi e ossequiare i potenti, nel rivelarci la loro bruttezza e espropriarci della bellezza comune, ricucendola e contaminandola.

È bene fare attenzione e non vedere solo il ridicolo di queste esternazioni: una volta il rancore e l’invidia si muovevano in una direzione di sotto in su. Ora, grazie a loro, circola orizzontalmente e addirittura inspiegabilmente in senso inverso. Privilegiati temono l’irruzione di disperati nei cui confronti nutrono rancore perché minacciano i loro ridotti beni ereditati o conquistati. Benestanti odiano chi sta male perché rappresenta un rischio, un attentato alla sua egoista sicurezza. Beneficati per nascita o per buone relazioni, temono gli invisibili che come fantasmi mettono in pericolo anche le loro certezze e i loro auspici.

Lo sguardo obliquo del rancore scorre a tutto campo intorno. Così anche chi pensa di albergare più su, di essere arrivato finisce per sentirsi in bilico e odia, odia esprimendo quello che Agostino definisce “odium felicitatis alienae”. Credo che dobbiamo essere fieri della felicità del nuovo vento che facciamo spirare, come dobbiamo essere fieri del loro odio, perché nasce dalla nostra libertà e dalla nostra aspirazione a riprenderci uguaglianza, solidarietà, dignità, amore, passioni e futuro.


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