Magazine Ciclismo
Vi racconto di un tempo in cui sulle bici la leva del cambio era sul tubo obliquo anteriore e per cambiare rapporto si doveva levare la mano dal manubrio. In cui non esistevano ciclocomputer ed i chilometri percorsi li scoprivo a posteriori a casa, seguendo il percorso fatto con una matita su una carta geografica. Vi parlo di circa.. 30 anni fa, agli esordi nel mondo del ciclismo agonistico: categoria allievi. Ero la disperazione del mio allenatore perchè nel gruppo stavo sempre nelle ultime posizioni. Mi sentivo più sicuro così, ma facevo una fatica doppia ed in caso di cadute rimanevo inesorabilmente tagliato fuori dalla competizione. Non feci eccezioni a Murisengo, in provincia di Alessandria. Si trattava di una gara con circuito ad anello da ripetere n volte: una salita piuttosta lunga che attraversava il paese, ed una discesa successiva nell’allontanarsi. Dopo pochi chilometri dallo start ero già nelle retrovie, a mordere la polvere del gruppone, che seminava progressivamente naufraghi dietro di sè. In breve, ero staccato. Stanco e demotivato volevo ritirarmi, anche per risparmiarmi il dileggio di solito riservato agli ultimi, ma appena rallentai per fermarmi il direttore sportivo me lo impedì: “CONTINUA!!” gridò.
Continua? Con quali forze? pensavo. Ma sopratutto…PERCHE’??
Ripresi a pedalare, a malincuore. Nel frattempo non c’erano più compagni di sventure intorno: gli staccati si erano tutti ritirati. Rimanevo solo, involontario co-protagonista e già paventavo un ignominioso doppiaggio.
Giro dopo giro, però, le forze ritornarono e con esse anche la voglia e la rabbia. Il mio distacco dal gruppo si era fermato e si era arrivati ad una situazione di stallo: nessuno guadagnava sull’altro. Andavamo alla stessa velocità. Sarà stata la convinzione di non avere nulla da perdere? In ogni caso mi sentivo decisamente meglio. Ad ogni giro, raccoglievo incitamenti, dapprima timidi, poi sempre più convinti. Chi inseguiva chi? Gli incitamenti diventarono acclamazioni. Ogni volta che passavo in paese, sembrava ci fossero sempre più fans. C’e n’era abbastanza per gasarsi. Ed in effetti ero tremendamente gasato. Da nano ero diventato un gigante. Da brutto ciclista anatroccolo a cigno. In queste situazioni daì anche più di quello che hai. La gente, probabilmente, riconosceva ed applaudiva la tenacia, il fatto che non mi fossi arreso (e pazienza se all’inizio avrei preferito fermarmi…).
Ci fu la volata del gruppo, all’arrivo. Ordinaria amministrazione. Poi arrivai io e fu il tripudio. La gente mi acclamò come se fossi io il vero vincitore, tanto che mi permisi di alzare le braccia al cielo, come se tutti quelli davanti fossero stati nulla più che dei volgari mistificatori.
Gli organizzatori decisero all’ultimo minuto di istituire un premio per l’ultimo arrivato, inizialmente non previsto. Apposta per me! Come una medaglia al merito. Spunto’ fuori una bottiglia di Martini sulla quale appiccicarono un pezzo di carta con la scritta “per l’ultimo arrivato”
Ogni volta che ripenso a quell’episodio sento la pelle d’oca. Quella fu la volta in cui vinsi, da ultimo.
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COMMENTI (1)
Inviato il 20 novembre a 15:01
Bravi gli organizzatori ad avere un pensiero come questo raccontato.