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La Zarina, l’Umbria e il rito emiliano delle tangenti

Creato il 07 maggio 2014 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria
Maria Rita Lorenzetti

Maria Rita Lorenzetti

di Cincia Ficco

“La biografia politica di Maria Rita Lorenzetti consente di leggere in filigrana la storia recente dell’Umbria e capire come e quando è iniziata quella fase degenerativa in cui la regione si trova ormai da anni. L’inchiesta sull’Alta Velocità ferroviaria tra Bologna e Firenze, che ha coinvolto l’ex governatrice, apre uno squarcio sul sistema di funzionamento delle grande aziende di Stato che, così come le società partecipate, rappresentano il ventre molle della corruzione italiana”.

A dichiararlo sul mio magazine www.Tipitosti.it Claudio Lattanzi, giornalista e autore del quinto libro inchiesta, dedicato  alla due volte presidente della Regione Umbria, la dalemiana Maria Rita Lorenzetti, pubblicato da Intermedia e intitolato: “La Zarina”. Una biografia non autorizzata dell’ex donna di ferro che ha saputo cavalcare la ricostruzione post sisma del ’97, assicurando alla sua terra 5 miliardi e 300 milioni di euro, oltre ad ingenti finanziamenti europei e risorse destinate al Giubileo.

Secondo il giornalista, che ha scritto anche “I padrini dell’Umbria” (Intermedia), facendo salvo il principio di presunzione d’innocenza, la vicenda Italferr, alla cui guida era stata messa la Lorenzetti, è esemplificativa di come funziona il nuovo sistema di corruzione. Se un tempo un politico corrotto incassava una tangente dall’imprenditore in cambio di un appalto (rito ambrosiano), oggi, secondo il rito emiliano, c’è una sovrapposizione tra politica ed affari. Il partito diventa il soggetto impegnato a garantire il ritorno economico alla cooperativa o all’azienda legata alla politica. In quest’ultimo modello, che è presente nelle regioni dell’Italia centrale, assumono un ruolo centrale le società municipalizzate o comunque partecipate dalle Regioni e da altri enti pubblici.

“È questa – afferma Lattanzi – la galassia in cui si annida oggi il germe corruttivo che nessuno sembra voler davvero scoperchiare. In quelle tangenti legalizzate degli affidamenti diretti, concessi dalle ventimila società partecipate dagli enti pubblici i cui vertici vengono nominati dai partiti, si annida il cuore di una tangentopoli che aspetta ancora di essere compresa prima ancora che aggredita. Il risultato di questo stato di cose è che mentre la Tav sulla Parigi-Lione costa 10,2 milione al chilometro, quella sulla Tokyo-Osaka 9,3 milioni, la Bologna- Firenze costa 84 milioni ed 800 mila euro al chilometro”.

Non è tutto. L’autore spiega anche perché il project financing, che è alla base di queste opere pubbliche, è una truffa. “Le numerose modifiche – dice – apportate alla legge Merloni in materia di contratto di concessione, l’emanazione della Legge Obiettivo sulle grandi opere ed altri interventi legislativi hanno stravolto il panorama preesistente, creando un sistema in cui il committente pubblico affida in concessione ad un soggetto privato la progettazione, la costruzione e la gestione dell’opera, ma i rischi e gli oneri restano sempre in capo al soggetto pubblico. Queste società di diritto privato e capitale pubblico, come, ad esempio la Tav spa, la Quadrilatero spa, tanto per rimanere in Umbria o la Stretto di Messina spa, sono i soggetti su cui grava il rischio della gestione del project financing, ma le società per azioni pubbliche servono soprattutto a garantire il pagamento dei costi di progettazione e costruzione all’unico soggetto privato vero e proprio di tutta questa filiera, che è il contraente generale (general contractor). Le società di diritto privato e capitale pubblico si accollano i rischi della gestione sotto forma di debiti scaricati sulle spalle dei cittadini. Tutto ciò avviene perchè la modifica legislativa del contratto di concessione consente in realtà di sostituire il “diritto di gestione” dell’opera pubblica con un prezzo garantito dal committente pubblico. É stato insomma stravolto il concetto tipico del project financing, secondo il quale il privato si accolla il rischio di realizzare un’opera, remunerando l’investimento con la gestione della stessa opera”.

Tornando all’Umbria, quali sono stati gli effetti di due mandati della Lorenzetti (2000 – 2010)? “Il modello di società – replica – che i dieci anni della Lorenzetti hanno lasciato come pesante eredità alla comunità regionale ruota tutto intorno alla spesa pubblica intesa come faro illuminante di ogni politica. Quasi tutti i vertici del Pd – dalla governatrice Marini, al sindaco di Perugia, alla Cgil, agli amministratori locali – sono l’ultima espressione della federazione giovanile comunista e il loro imprinting ideologico fatica ad adeguarsi ad una idea di società moderna”.

E gli umbri stanno diventando più reattivi e come accolgono i suoi libri? “Spesso si ha l’impressione che i cittadini di questa regione – risponde – siano sempre alla ricerca di un padrone. Ci sono anche molte persone che si indignano e vorrebbero cambiare le cose, ma il mainstream sociale è ancora quello di una subordinazione generalizzata a questo ceto politico parassitario e furbesco””.



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