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La Zecca di Cagliari
di Marco Piga
Cagliari fu la più longeva e la più importante zecca della Sardegna. Nel Capoluogo Sardo furono coniate monete per più di quattro secoli, dall’Alfonsino Minuto, emesso da Giovanni I d’Aragona nel 1387, al 3 Cagliaresi senza data, battuto sotto Vittorio Emanuele I nel 1813.
In questo arco cronologico si susseguirono tre fasi storiche ben distinte e molto importanti per la monetazione sarda: l’Età Aragonese, la Dominazione Spagnola e la Sovranità Sabauda.
L’Età Aragonese
1291-1516
La monetazione sardo-aragonese venne coniata inizialmente a Villa di Chiesa (Iglesias), in seguito al privilegio di battere moneta concesso alla città dall’infante Alfonso d’Aragona, figlio di Giacomo II, nel 1324 e a Bonaire (l’attuale Bonaria, sul colle poco distante la città di Cagliari), durante gli anni di regno di Giacomo II in Sardegna (1324-1327). A Villa di Chiesa venne emesso l’Alfonsino d’Argento, mentre a Bonaria furono coniati i primi due tipi di Alfonsino Minuto in mistura (una lega di rame e argento); essi furono chiamati Alfonsini in onore, appunto, dell’infante Alfonso.
L’Alfonsino Minuto ebbe il valore di un Denaro, il valore-base di quasi tutti i sistemi monetari dell’Europa occidentale, adottato nel nuovo sistema monetario messo a punto dal re aragonese per la Sardegna; l’Alfonsino d’Argento corrispondeva a 18 Alfonsini Minuti. Questa nuova unità di conto soppiantò definitivamente i sistemi monetari di Genova e di Pisa, di gran lunga i più diffusi nell’isola, diventando in brevissimo tempo la sola moneta di riferimento in uso in Sardegna.
Anche i successori di Giacomo II, Alfonso IV il Benigno (1327-1336) e Pietro IV il Cerimonioso (1336-1387), batterono Alfonsini d’Argento e Alfonsini Minuti esclusivamente a Villa di Chiesa, limitandosi ad aggiungere, evidentemente per motivi pratici, dei tagli intermedi come il Mezzo Alfonsino d’Argento e il Mezzo Alfonsino Minuto.
Già dal 1327 Giacomo II aveva concesso alla città di Cagliari il diritto di battere moneta, ma solamente nel 1387, durante il regno di Giovanni I (1387-1396), nella zecca di questa città vede la luce la prima moneta aragonese; si tratta di un Alfonsino Minuto leggermente svalutato nel peso rispetto ai precedenti di Villa di Chiesa e di Bonaire; da un marco, infatti, si ricavavano fino ad allora 324 pezzi di questa moneta, mentre ora Giovanni I ordina che da un marco si ricavino 360 Alfonsini Minuti.
Entrambi i suoi successori, Martino I l’Umano (1396-1410) e Ferdinando I il Giusto (1412-1416) emettono una monetina di mistura, chiamata “Picciolo” nei documenti dell’epoca; essa può considerarsi una moneta di necessità, a corso forzoso, che si inserisce nel contesto del particolare momento storico in cui viene messa in circolazione. Nel 1409 Martino il Giovane combatte contro i Sardo-Arborensi, e la zecca funziona al minimo perché le miniere sono inattive e manca perciò il metallo pregiato; il numerario in circolazione diminuisce rapidamente e le spese di guerra sono enormi; per far fronte a questa situazione disastrosa viene messa in circolazione una moneta svalutata che cambia il rapporto tra la moneta sarda e quella catalana: mentre in precedenza l’Alfonsino Minuto corrispondeva, come contenuto d’argento fino, ai due terzi del Denaro catalano, e l’Alfonsino d’Argento era uguale, come contenuto d’argento e come peso, al Croat di Barcellona, in questo momento occorrevano due Minuti di Cagliari per uno di Barcellona. Questo rapporto di cambio rimarrà costante fino a Carlo V Imperatore.
L’attività della zecca di Cagliari riprende sotto Alfonso V il Magnanimo (1416-1458). E’ molto probabile che Alfonso V abbia fatto battere monete a suo nome contemporaneamente nella zecca di Cagliari e in quella di Iglesias. Il dato si deduce dai numerosi documenti in nostro possesso: due distinti decreti del 10 febbraio 1419 e del 27 gennaio 1442 autorizzano rispettivamente la zecca di Iglesias e quella di Cagliari ad emettere Alfonsini d’Argento la prima e Reali d’Argento la seconda. Le due monete, però, diversificandosi esclusivamente per una minima differenza di peso, in quanto entrambe risultano identiche per impronte e per valore nominale (3 soldi), sono del tutto indistinguibili. Da notare che per la prima volta una moneta sardo-aragonese viene chiamata “Reale”. Analogo problema sorge anche sulle due monete minute chiamate nei decreti rispettivamente “Denaro Reale” e “Reale Minuto”: la differenza tra esse consiste soltanto nel peso teorico, che peraltro è talmente esiguo (0,11 gr.) da rendere le due monete sostanzialmente uguali. La successiva emissione di Piccioli da un denaro non crea problemi di classificazione perché, dal momento che dovevano valere la meta esatta del Denaro Reale, sono in pratica facilmente individuabili pur avendo le medesime impronte.
Un altro decreto del 19 febbraio 1419 ordina l’emissione di una monetina chiamata “Alfonsino Minuto”; fino a qualche anno fa non se ne conosceva alcun esemplare, tanto che alcuni numismatici erano concordi nel ritenere che, nonostante il decreto, essa non fosse stata coniata. Ma di recente sono stati scoperti alcuni esemplari di questa piccolissima e rara monetina che confermano che il decreto reale che ne ordinava l’emissione ebbe regolare esecuzione.
La monetazione di Alfonso V il Magnanimo presenta una novità: si tratta di un nuovo taglio, e cioè del Mezzo Reale, scoperto di recente, di cui si conosce finora un solo esemplare,
Durante il regno di Giovanni II (1458-1479) viene coniato nella zecca di Cagliari solamente un Reale Minuto, con le stesse caratteristiche dei precedenti.
E’ sotto Ferdinando II il Cattolico (1479-1516) che la monetazione sardo-aragonese presenta delle novità importanti, sia per quanto riguarda i tagli che le impronte: nasce, infatti, una nuova moneta chiamata nei documenti “Cagliarese” che, con i suoi multipli, avrà lunga vita nella storia della monetazione sarda; appare, inoltre, per la prima volta la leggenda INIMICOS EIVS INDVAM CONFVSIONE che, da Ferdinando in poi, sarà riportata in tutte le monete d’oro e d’argento, ed in molte di rame e di mistura, fino ai Reali battuti a Cagliari dai Savoia alla fine del XVIII secolo. Infine, sempre per la prima volta nella storia della monetazione sarda, appare su una moneta d’argento l’effigie del sovrano che non sfigura certamente di fronte ai ritratti impressi nella grande medaglistica rinascimentale.
Con Ferdinando II si chiude il periodo catalano e le coniazioni sardo-aragonesi lasciano il posto a quelle dei futuri re di Spagna.
La Dominazione Spagnola
1516-1718
Quando, nel 1516, Carlo V sali sul trono di Spagna, le monete in circolazione nell’isola erano quelle emesse durante il lungo regno di Ferdinando II. Un pregone sabaudo del 1768 ci informa che tutta la monetazione di Ferdinando e le altre monete aragonesi ancora in circolazione erano rimaste in corso fino a quell’anno. In realtà, già a partire dal 1520 Carlo V Imperatore (1516-1556) fece coniare tutta una serie monetale a suo nome, che sostituiva di fatto le vecchie monete dei precedenti re aragonesi.
La nuova monetazione di Carlo V si caratterizza per l’emissione, per la prima volta nella storia monetaria sarda, di due nuovi tagli d’argento, rispettivamente da 3 e da 2 Reali. Inoltre il re autorizza la coniazione di uno Scudo d’oro con titolo e peso corrispondenti alle monete d’oro circolanti negli altri stati italiani e in Francia. Il “taglio” delle nuove monete viene eseguito non più sul marco di Barcellona, come era avvenuto sino ad allora, ma sul marco castigliano, che pesava 4 grammi in meno di quello barcellonese. Nella zecca di Cagliari Carlo V conia, inoltre, le monete da 1 Reale e da 1 Cagliarese.
Più tardi entrano in funzione anche le zecche di Alghero e di Sassari che emettono monete “minute" che, come quelle già coniate nella stessa città di Alghero da Alfonso V e a Bosa da Giovanni II, hanno corso soltanto nelle città emittenti e nel loro territorio. L’emissione di queste monetine, come già era avvenuto in passato, dimostra che la mancanza di circolante era sempre grave: con esse si cerca di andare incontro alle esigenze del popolo, nelle cui mani di rado arrivavano le monete pregiate d’argento e d’oro; la circolazione di queste ultime era circoscritta per lo più alle grandi città, che avevano, oltre a numerosi privilegi, la prerogativa della riscossione dei dazi; i grossi tagli venivano inoltre usati quasi esclusivamente nelle più importanti transazioni commerciali. Questo stato di cose trova riscontro anche nella rarità delle monete di grosso taglio di Carlo V, soprattutto di quelle d’oro, contro la relativa facilità con cui sono reperibili i Cagliaresi di mistura.
Alla fine del regno di Carlo V già circolavano in Europa delle monete d’argento di taglio ben più grosso di quelle che formavano la serie sarda. Per questo motivo Filippo II di Spagna (1556-1598), quando sale sul trono, emette a suo nome una nuova serie monetale che comprende, oltre ai tagli già esistenti da 3, 2 e 1 Reale d’argento, grossi esemplari da 10 e da 5 Reali, oltre a due tagli più piccoli da 2 Reali e Mezzo sempre d’argento e da 3 Cagliaresi di mistura.
La monetazione di Filippo II si può suddividere in due periodi ben distinti.
Appartengono al primo periodo le monete di conio regolare, impresse su tondelli appositamente predisposti; il loro stile, per quanto non si possa definire raffinato, è abbastanza accettabile.
Non altrettanto si può dire degli esemplari appartenenti al secondo periodo, ribattuti su vecchie monete, di cui spesso conservano le tracce, provenienti dalla Spagna o dalle terre ispano-americane: sono i cosiddetti “maltagliati”, chiamati così per la loro forma estremamente irregolare e per il conio rozzo e approssimativo (per i tagli più grandi l’altro termine corrente era “patacconi”). In quegli anni l’usanza di coniare i “maltagliati” non riguarda soltanto la Sardegna ma in generale tutte le terre dell’impero spagnolo, dalla Spagna a Milano, dalle Fiandre a Napoli e alle colonie d’America: è la denuncia più evidente, nella vita quotidiana di questi paesi, della grande crisi monetaria che investiva non solo la Sardegna ma tutta l’Europa.
Rispetto alla serie regolare i patacconi sardi di Filippo II hanno un titolo d’argento molto più basso; inoltre sono facile preda dei “tosatori”, perché il bordo sempre irregolare camuffa bene l’intervento fraudolento; è il motivo per cui vengono sempre accettati malvolentieri nelle transazioni commerciali. Come logica conseguenza si ha la tesaurizzazione delle monete di buona lega, che spariscono rapidamente dalla circolazione.
Nel 1599 Filippo III di Spagna (1598-1621), successore di Filippo II, cerca di porre riparo a questa situazione aumentando sensibilmente il valore delle monete buone ancora in circolazione nell’isola. La monetazione del nuovo re ricalca quella del suo predecessore e introduce, come novità, un nuovo nominale da 6 Cagliaresi equivalente a 1 Soldo; manca, nella serie, il taglio da 10 Reali la cui emissione è data per scontata da E. Birocchi, ma di cui non si conosce a tutt’oggi alcun esemplare.
Durante il regno di Filippo III si acuisce, fino a toccare il culmine, la falsificazione, da parte di privati, di monete di piccolo taglio, già iniziata, ma in proporzioni ben più modeste, sotto Filippo II. La causa del fenomeno e da ricercarsi nell’impotenza delle autorità a far fronte all’insufficienza della circolazione monetaria e, soprattutto, nella cronica mancanza di moneta spicciola. La moneta falsa circola abbondantemente ed e accolta dal popolino come quella buona; la gente - afferma il Birocchi - «non si soffermava a controllarne l’autenticità e non s’accorgeva che essa non era più un equivalente perché conservava del pari la seconda delle sue funzioni, quella di veicolo e di segno degli scambi».
Sotto Filippo IV di Spagna (1621-1665) la situazione non cambia: i falsari producono a pieno ritmo e alcuni di essi, per non cadere nelle maglie della giustizia, vanno a “lavorare” nella vicina Corsica; di là portano poi in Sardegna le monete false e le immettono in circolazione; donne e bambini, come racconta il padre Giorgio Aleo nella sua Historia Cronologica - un testo del secolo XVII-, si danno da fare per procurare agli improvvisati zecchieri, per lo più analfabeti, la materia prima, cioè lamine di rame di ogni tipo, padelle e calderotti, su cui imprimere un’effigie malamente abbozzata del sovrano, una croce e dei segni indecifrabili che abbiano la parvenza di una legenda. Questo stato di cose denuncia l’incapacità del Consiglio patrimoniale del viceré a porre rimedio alla situazione; l’erario pubblico, già povero per la grave crisi che investe tutta l’Europa, viene ridotto a mal partito dall’enorme quantità di moneta falsa circolante nell’isola. Anche la moneta ufficiale decade di qualità e i maltagliati da 10, 5 e 2 Reali e Mezzo sono ormai pezzi d’argento di lega cattiva e di peso sempre scadente in cui la figura del re è talvolta cosi deformata da risultare perfino ridicola.
Al culmine della crisi economica e finanziaria, nel 1665, all’età di 5 anni sale al trono Carlo II di Spagna (1665-1700). Per far fronte alla disastrosa situazione in cui versa l’erario si individua un rimedio nel ritiro di tutta la moneta falsa circolante e nella sua sostituzione con delle nuove monete che avranno un valore intrinseco tale da portarle alla pari con le altre monete allora circolanti in Europa; oltre tutto, in questo modo, si sarebbe frenata ogni azione di tesaurizzazione. In attesa di questo provvedimento si battono provvisoriamente, nella zecca di Cagliari, maltagliati di buona lega argentea da 10, 5, 2,5 e da 1 Reale che però, data la loro buona qualità, vengono immediatamente tesaurizzati. L’attesa riforma viene attuata nel 1668: vengono accettate al cambio tutte le monete in circolazione e le si sostituisce con esemplari in rame da 3 e da 1 Cagliarese; nel 1671 vengono infine coniati i grossi nominali d’argento da 10 e da 5 Reali, accompagnati dai sottomultipli da 2 Reali e Mezzo, da 1 e da Mezzo Reale. Le nuove monete sono di buona lega, di bello stile, di modulo perfettamente circolare: non temono il confronto con molte analoghe monete (Scudi, Mezzi Scudi, Talleri, Testoni e Piastre) allora circolanti in Europa. Dal 1671 cessa così in Sardegna la coniazione dei maltagliati, cosa che invece si protrae ancora per decenni in altre parti d’Europa.
Filippo V di Spagna (1700-1719), che sale al trono nel 1700, lascia in circolazione, come era norma corrente, le monete del suo predecessore e batte a proprio nome soltanto uno Scudo d’oro e un pezzo d’argento da 2 Reali e Mezzo. Lo Scudo d’oro viene coniato per diversi anni in numero certamente ragguardevole, mentre la moneta da 2 Reali e Mezzo viene battuta soltanto nel 1701 e, data la sua notevole rarità, certamente in numero limitato di esemplari. Le vicende della guerra di successione spagnola spiegano la scarsità delle emissioni e degli esemplari.
Sulle orme di Filippo V, Carlo III (1708-1718), che diverrà imperatore d’Austria col titolo di Carlo VI, durante il suo regno in Spagna continua la politica monetaria impostata da Carlo II, battendo a proprio nome, col titolo di Carlo III, uno Scudo d’oro e un nominale da 2 Reali e Mezzo, e dal 1712, col titolo di Carlo VI, gli stessi due pezzi accompagnati dai tagli inferiori di rame da 3 e da 1 Cagliarese. Con queste monete si chiude la lunga serie monetale dei sovrani spagnoli.
L’Età Sabauda
1720-1842
Il trattato dell’Aja del 1720 sancisce il passaggio della Sardegna sotto la sovranità dei Savoia, che la ricevono dalla Spagna per mano dell’Austria.
Vittorio Amedeo II (1718-1739) lascia immutato il sistema monetario sardo, ancora basato sulla «lira sarda» instaurata quattro secoli prima da Giacomo II d’Aragona. Nel Regno di Sardegna si ha quindi una doppia monetazione, quella sarda e quella piemontese, che obbliga, tra territori di uno stesso Stato (isola e terraferma), ad un cambio della moneta in base ad un preciso tariffario, quasi si trattasse di due Stati differenti.
Le prime monete coniate da Vittorio Amedeo II, nel 1724, sono i 3 Cagliaresi e il Cagliarese di rame, cui fanno seguito, nel 1727, le due monete d’argento da 1 Reale e da Mezzo Reale: le quattro monete non sono altro che i vecchi nominali del periodo spagnolo. Anche il contenuto d’argento fino del Reale e del Mezzo Reale non subisce sostanziali modifiche, perché la parità metallica della lira (1 lira = 20 soldi = 4 reali) aveva subito solo una minima variazione.
Sotto Carlo Emanuele III (1730-1773) arriva in Sardegna la riforma monetaria che era stata già attuata in Piemonte - come, del resto, in molte altre parti d’Italia e d’Europa - allo scopo di razionalizzare e semplificare i rapporti di valore tra i vari tagli. Nel 1768 vengono ritirate tutte le vecchie monete battute nell’isola prima dei Savoia - tra le quali figuravano ancora i pezzi d’argento di Carlo V e persino il Reale di Ferdinando V, coniato ben 250 anni prima e vengono immessi nella circolazione i pezzi di nuovo conio. A riforma compiuta il sistema dei tagli si compone di dodici valori, rapportati tra loro in modo semplice, dei quali 3 sono in oro: Carlino, Mezzo Carlino e Doppietta; 3 in argento: Scudo, Mezzo Scudo e Quarto di Scudo; 3 in mistura: Reale, Mezzo Reale e Soldo e 3 in rame: 3 Cagliaresi, 1 Cagliarese e Mezzo Cagliarese.
I tre nominali d’argento (scudo = 10 reali, 1/2 scudo = 5 reali, 1/4 di scudo = 2 reali e mezzo) introdotti con la nuova riforma hanno un contenuto d’argento fino sensibilmente inferiore a quello teorico dei pezzi corrispondenti di Carlo II (scudo e mezzo scudo), di Filippo V e di Carlo d’Austria (quarto di scudo). Il fatto non deve sorprendere: infatti, allo scopo di poter cambiare alla pari i vecchi tagli con i nuovi, si tenne conto non del peso teorico ma del peso effettivo delle vecchie monete, che si era ridotto per l’usura subita in molti decenni di circolazione.
Sotto Vittorio Amedeo III (1773-1796), negli ultimi decenni del Settecento, il rapporto di valore tra oro e argento cambiò a favore dell’oro. Pertanto la Doppietta, che valeva due scudi d’argento, cioè 20 reali, passò al valore di 21 reali (5 lire e 5 soldi). In proporzione variò la tariffa del Mezzo Carlino e del Carlino: quest’ultimo passò dal valore di 100 reali (25 lire sarde) a quello di 105 reali (26 lire e 5 soldi).
Tutte queste monete restarono in circolazione fino al 1864, anno in cui vennero sostituite con le monete decimali del Regno d’Italia. E’ interessante conoscere come venne fissato il cambio e con quali nomi il popolo (nella fattispecie gli abitanti di Cagliari e della Sardegna meridionale) continuerà a chiamare, fino alla metà di questo nostro secolo, i tagli più usati delle nuove monete:
Carlino d’oro L. 50
1/2 Carlino d’oro L. 25
Doppietta L. 10
Scudo (10 reali) L. 4,80 Iscudu
1/2 Scudo (5 reali) L. 2,40 Mesu iscudu
1/4 di Scudo (2,5 reali) L. 1,20 Duas pezzas e mesu
Reale L. 0,48 Pezza
1/2 Reale L. 0,24 Mesu pezza
Soldo L. 0,10 Soddu
3 Cagliaresi L. 0,05 Pezza de tres o tres arrealis
Cagliarese (2 denari) L. 0,01 Arreali
1/2 Cagliarese (1 denaro) L. 0,01 Dinareddu o pizzulu
Quest’ultimo taglio fu equiparato al cambio, dato il suo minimo valore, al Cagliarese.
Questi valori, col tempo, furono “arrotondati”; s’iscudu si chiamò la moneta da 5 lire, pezza la moneta da mezza lira o 50 centesimi, mesu pezza quella da 25 centesimi, su soddu era la moneta da 10 centesimi, i 5 centesimi si chiamarono tres arrealis e così via. Da notare, infine, che il nome con cui si chiamò la moneta più piccola, pizzulu, non era altro che il pixol («picciolo»), il nome usato dal popolo, da Martino I - e cioè dalla fine del ’300 - in poi, per indicare tutte le monete minute.
Nel febbraio del 1793, sotto Vittorio Amedeo III, la zecca di Cagliari riprende la sua attività, dopo un’interruzione di molti decenni, per coniare un Reale su cui ricompare la leggenda INIMICOS EIVS INDVAM CONFVSIONE. Dalle note di un funzionario di governo, Matteo Luigi Simon, apprendiamo che questa è una moneta «sussidiaria», probabilmente necessaria per poter corrispondere la paga giornaliera alle migliaia di miliziani e di soldati arruolati in gran fretta per il temuto sbarco dei Francesi; anche se poi lo sbarco non ebbe successo e il bisogno di monete diminuì, la zecca cagliaritana continuo a battere questo tipo di reale fino al 1799, sotto Carlo Emanuele IV.
La zecca di Cagliari entrò nuovamente in funzione sotto Vittorio Emanuele I, quando si provvide all’emissione di una moneta da 1 Reale in mistura nel 1812 e da 3 Cagliaresi in rame nel 1813. Fu progettata anche una moneta da un Cagliarese, che però non fu prodotta. Con l’emissione della moneta da 3 Cagliaresi si chiude definitivamente l’attività della zecca di Cagliari, cosi come si chiude la storia della monetazione più propriamente «sarda».
Durante il regno di Carlo Alberto (1831-1849) circolavano ancora le vecchie monete tagliate sul sistema monetario sardo; siccome avevano preso il sopravvento, come massa circolante, le nuove monete piemontesi a sistema decimale (lira e centesimo) che si coniavano già dal 1816, quando si presentò l’esigenza di alimentare la circolazione minuta nell’isola con l’emissione di nuove monete di piccolo taglio, si decise di emettere una serie di monete di rame da 5, 3 e 1 Centesimo, che rientravano nel sistema decimale già in vigore nel Piemonte.
Fonti: testi sono stati presi dal libro di Enrico Piras: Le Monete della Sardegna, 1996, pp.121-249 ed. Banco di Sardegna e adattati per l'occasione da Marco Piga, mentre le monete appartengono tutte alla Ex Collezione Mario Forteleoni.
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