Nel piano di rilancio regionale susseguente alla fine della II Guerra Mondiale, vennero decisi degli interventi per il recupero del patrimonio archeologico sardo. Nel nord della Sardegna, in particolare, su interessamento diretto dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione e futuro Presidente della Repubblica Antonio Segni, giurista di fama e appassionato di archeologia, l’attenzione si focalizzò su una collinetta artificiale sita in prossimità della strada che collegava Sassari a Porto Torres e nota come Monte d’Accoddi. Per l’eminente politico sassarese, la collinetta avrebbe potuto nascondere un tumulo simile a quelli dell’Etruria, ma l’opinione più ricorrente tra gli studiosi era che si trattasse di uno dei tanti nuraghi della zona. Tale era il parere anche di un giovane archeologo sardo in servizio alla Soprintendenza di Bologna, Ercole Contu, che, vista la penuria di archeologi in Sardegna, fu richiamato suo malgrado nell’isola per avviare la campagna di scavo nel 1952. Dopo aver vanamente ricercato l’ingresso della camera a tholos del supposto nuraghe e aver perlustrato l’intero perimetro del monumento, il giovane archeologo si convinse che si trattava di una struttura interamente fasciata da un muro a secco, del tutto inedita non solo per la Sardegna, ma per tutta l’Europa, avente piuttosto i suoi corrispettivi nelle piramidi a gradoni e nelle mastabe egizie e soprattutto negli altari a terrazza (Ziqqurat) mesopotamici. Come questi ultimi, il monumento di Monte d’Accoddi, avente una base nel lato nord di 37,50 m e nel lato est di 30,50, era preceduto da una rampa d’accesso ascendente lunga 41,50 m e larga 7 m al principio e 13,50 m alla congiunzione con l’altare.
Gli scavi diretti da Ercole Contu, protrattisi fino al 1958, fecero emergere altre importanti risultanze archeologiche, oltre allo straordinario monumento megalitico. Nelle vicinanze dell’altare furono infatti portate alla luce numerose testimonianze che suggerirono l’ipotesi che tutta l’area di Monte d’Accoddi fosse stata, per un lungo periodo della preistoria e della protostoria sarda, un importante centro di culto nel quale affluivano fedeli da un vasto territorio, forse addirittura dall’intera isola. Tra i principali ritrovamenti furono da annoverare: una grande lastra in calcare di circa 10 mq, poggiante su tre supporti e munita di 7 fori, interpretata come tavola per sacrifici di animali; un’altra lastra in trachite di dimensioni più piccole; alcuni menhir, tra i quali uno in arenaria rossa e uno in calcare bianco, probabilmente simbolizzanti rispettivamente il principio maschile e quello femminile; due stele, una in calcare con decorazione a losanga e spirale e una in granito con stilizzazione di figura femminile; due pietre sferoidali, di cui la più grande in arenaria grigiastra, accuratamente rifinita e punteggiata di coppelle, interpretata come Omphalos (ombelico del mondo) o in chiave astrale. Adiacente alla rampa si sviluppava un villaggio di capanne, in parte risalente a un periodo antecedente all’inizio della costruzione dell’altare. Altri villaggi, con relative necropoli ipogeiche e domus de janas, sono disseminati in un raggio di pochi km dal santuario prenuragico.
La campagna di scavi condotta da Ercole Contu tra il 1952 e il 1956 non fu l’unica intrapresa sul sito. Difatti, tra il 1979 e il 1990, l’archeologo Santo Tiné dell’Università di Genova portò avanti una seconda campagna che, oltre ad approfondire il lavoro dell’archeologo sardo, ebbe come principale risultato la scoperta di un più antico altare a terrazza di alcuni secoli precedente quello portato alla luce da Contu ed in esso inglobato, probabilmente dopo un crollo. Questo altare arcaico aveva in cima al terrazzamento un tempio interamente intonacato con ocra rossa, con ogni probabilità il principale luogo di culto dell’intera struttura originaria. Il periodo di costruzione di questo primo altare, con una base di 23,80 m e 27,40 m e una rampa ascendente lunga 25 m e larga 5,5 m, è da attribuirsi alla fase matura della Cultura di Ozieri (fine del IV millennio a.C.), mentre la struttura inglobante si fa risalire alla successiva cultura di Filigosa (primi secoli del III millennio a.C.). Dal materiale rinvenuto nella zona si è stabilito che la frequentazione del sito sia iniziata con la Cultura di San Ciriaco, alcuni secoli prima della costruzione del primo altare, e si sia protratta per le successive culture di Ozieri, Filigosa, Abealzu, Monte Claro, Campaniforme e Bonnanaro e più sporadicamente fino al periodo altomedievale. Il rinvenimento della tomba di un fanciullo ascrivibile alla Cultura di Bonnanaro, nell’angolo sudorientale della Ziqqurat, ha fatto ipotizzare che in quel periodo l’altare fosse già in stato di abbandono.
Ad oltre sessant’anni dalla sua scoperta, il Santuario prenuragico di Monte d’Accoddi continua a meravigliare e ad interrogare studiosi e appassionati per le suggestioni derivanti dalle similitudini con più o meno coeve costruzioni del Medio Oriente. Tali somiglianze non necessariamente implicano una diretta parentela culturale tra monumenti così distanti, ma potrebbero essere piuttosto dovute a disposizioni strutturali degli esseri umani, i quali in presenza di analoghi stimoli e strumenti possono raggiungere risultati similari, anche in assenza di comunicazione tra le rispettive culture. Ad ogni buon conto, se l’origine del santuario è destinata a rimanere un enigma insolubile, la sua funzione appare ragionevolmente legata ai rituali legati alla fertilità e alla rigenerazione ciclica della natura. In ultimo, un cenno al toponimo: le diverse varianti con le quali è stato indicato il luogo nei documenti (d’Agodi, d’Agoddi, d’Acode, La Corra) ha generato diverse interpretazione (Kòdoro, nome sardo del terebinto; accoddi, luogo di raccolta; la corra, corno; persino dal termine sardo indicante il rapporto sessuale!), ma quella di gran lunga più accettata è la più antica documentata nelle carte catastali (Monte de Code, collina delle pietre), confermata anche nell’attestazione in spagnolo (Monton de la piedra), presente nella secentesca traduzione del medievale Condaghe di San Michele di Salvennor.
Approfondimenti
Ercole Contu L’altare preistorico di MONTE D’ACCODDI