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Laboratorio di Narrativa: Alba Coglitore

Creato il 28 settembre 2011 da Patrizia Poli @tartina

 

Struggente tema dell’elaborazione del dolore attraverso la fantasia, “Mia madre era bionda” di Alba Coglitore è un timido e appassionato tentativo di colmare il vuoto dell’abbandono materno, vuoto che accompagna tutta la vita, in una tormentata, ma anche dolce, ricerca di immagini sostitutive, una sorta di meccanismo di difesa che rappresenta il rifugio, il sostegno per una crescita solitaria, senza “baci con gli occhi”, senza “un odore di sapone da bucato”, sognati, percepiti con la mente e con il cuore, ma mai vissuti. L’autrice ci racconta un percorso di bambina abbandonata, le strategie di sopravvivenza alla solitudine, e lo fa con tratto delicato, senza indugiare nell’autocommiserazione, anzi, con la leggerezza di chi ha saputo costruirsi con creatività un vissuto sostitutivo. Fino a quando, ormai adulta, sente una “briciola vivente” muoversi dentro di lei. E allora nasce un bisogno nuovo, l’urgenza di capire “perché” e “chi”, la voglia di dare un volto a quei capelli biondi, rossi o bruni… e c’è il tentativo di compiere una ricerca reale. Ma anche la paura di perdere i sogni: raccontare alla nuova creatura chi era la nonna? Oppure trasmetterle le dolci fantasie di visioni oniriche, compagne di tutta una vita? Solo la gravidanza infonde alla protagonista il coraggio di porsi domande fino ad allora rimosse e accantonate. IL racconto ha un periodare lungo che scandisce le diverse fasi.  Ogni periodo coincide con la descrizione di una madre immaginata e con una differente decisione: se incontrare la madre vera o non incontrarla, se sapere o non sapere. La madre bionda è la madre-madre, che dà “i baci con gli occhi”, la rossa è la madre-sorella, esile e sbarazzina, la mora è quella che non c’è.  Le tre immagini si fondono in un’assenza ricreata e ricomposta, vivono nell’istante di una bugia: “aspettavo l’arrivo di un’altra bambina per rivivere quel momento in cui mia madre c’era”. Il racconto si nutre della tensione fra il bisogno di sapere e il desiderio di rimanere aggrappati alle proprie confortanti, comode, illusioni. La scrittura è piana, lineare, la narrazione strutturata secondo i canoni del racconto classico, con un incipit che volutamente distoglie dall’idea centrale, ma che poi, con gradualità, con abile esposizione, conduce al pathos del racconto.

Patrizia Poli e Ida Verrei 

Trovate il racconto nell’archivio del Laboratorio di Narrativa.

http://www.facebook.com/groups/169307813081701/

 


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