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Laboratorio di Narrativa: Bio Hazard

Creato il 11 novembre 2012 da Patrizia Poli @tartina

gu912Trattandosi di un primo capitolo di romanzo, non possiamo addentrarci molto nei contenuti del testo di Bio Hazard, parleremo piuttosto dello stile che è caratterizzato da paragrafi composti di due righe, massimo tre, a loro volta suddivisi in proposizioni paratattiche snocciolate una accanto all’altra come grani di rosario. È come trovarsi di fronte ad una serie d’incipit, sullo stile di “Era una notte buia e tempestosa”, ma scritti tutti di seguito, sembra quasi che il racconto ricominci ogni volta da capo.

Non conosciamo il resto della storia, l’autore ci introduce soltanto nell’atmosfera di una serata d’inverno, vissuta dal protagonista con un misto di noia, stanchezza, malessere diffuso: un viaggio in macchina, il ritorno dal lavoro, probabilmente, comunque da qualcosa di faticoso, qualcosa che rende il percorso pesante e l’arrivo agognato. L’unica presenza tangibile, concreta, l’emicrania che dà la nausea, che martella, che invade e si ritrae come marea.

Se fosse l’incipit di un racconto, potremmo dire che non è dei più felici: il racconto va affrontato con immediatezza, è necessario che il lettore penetri di colpo in un mondo parallelo, che partecipi da subito alla storia, che i personaggi diventino familiari con poche battute: un dialogo, un gesto, un monologo interiore. In un romanzo è diverso, è concesso anche scivolare lentamente nell’atmosfera, nella narrazione, nella vita dei protagonisti di cui si racconterà. In questo senso, l’incipit che ci propone l’autore è accettabile, anche se, come sostengono molti addetti ai lavori, non si dovrebbe mai iniziare un romanzo con la descrizione di condizioni atmosferiche.

Tuttavia l’autore rivela una discreta abilità nel far percepire gli stati d’animo del protagonista, proprio attraverso la descrizione di percezioni, anche fisiche, di un tempo impietoso e di un viaggio che, giunto al termine, sembra segnare l’inizio di quanto accadrà successivamente.

La punteggiatura, le frasi brevi, con la scelta stilistica della paratassi, danno alla narrazione un buon  ritmo, di facile  e veloce immediatezza comunicativa.

Patrizia Poli e Ida Verrei

Capitolo I°

Pioveva. Un temporale come non capitava da mesi. La visibilità era prossima allo zero, i fari delle macchine sembravano pallide luci di candele.

Faceva freddo. Ogni tanto una folata di vento scuoteva gli imponenti alberi che costeggiavano il viale facendo cadere ancora più acqua sull’asfalto ormai saturo di pioggia.

I lampioni erano accesi, per fortuna. Adam prese un lungo sospiro, la stanchezza che aveva nelle ossa e nei muscoli era quasi dolorosa.

Una giornata come le altre, ma il freddo, la pioggia e un lieve, ma crescente mal di testa, rendevano difficili anche le cose più semplici. Accese la radio per non pensarci.

Il bagliore delle luci del cruscotto dava una sorta di conforto. Era piuttosto tardi, era stanco, voleva tornare a casa. I suoi amici lo avevano invitato a restare fuori, non stasera, era esausto.

Imboccò la strada provinciale sapendo che ci avrebbe messo più del previsto. Il traffico nell’ora di punta e la pioggia avrebbero reso il viaggio di ritorno più lungo del previsto.

Sbadigliando ancora, accostò al margine della strada. Si allungò per aprire il cruscotto, mai gesto fu più doloroso. Cercò affannosamente un analgesico per placare quel martello che gli stava scombinando l’umore. Inghiottì quella pasticca con la foga di un animale affamato. Dalla tasca dello sportello prese il termos, dentro c’era rimasta una lacrima di caffè.

Era freddo e amaro. Un brivido gli percorse la schiena. Un malessere generale rendeva quel temporale ancora più intenso. Accese il riscaldamento.

Il motore già caldo e il potente sistema di areazione fecero il resto. Reclinò il sedile per rilassarsi un attimo. La musica a basso volume, il vento e il ticchettio della pioggia erano nocivi come quella sensazione di spossatezza che gli aveva abbassato i riflessi.

Dopo aver chiuso gli occhi per alcuni istanti ed aver immaginato il bagno caldo che gli avrebbe ridato un po’ di energia,  rinfrancato da quel pensiero, affondò il piede sull’acceleratore.

Il potente V8 ruggiva con tutta la potenza di un treno a pieno vapore. Il mal di testa stava passando. Una breve vertigine, una lieve fitta alla schiena e si rimise in marcia.

La pioggia non voleva diminuire, il vento in compenso era calato. Giunto allo svincolo che l’avrebbe condotto verso casa, vide l’enorme coda di macchine che lentamente procedeva a passo d’uomo.

Era tutto bloccato. Sgranò gli occhi, non ci voleva credere. Con un ingorgo come quello ci avrebbe impiegato delle ore. L’ennesimo sbadiglio. Si accese una Marlboro.

Quel sapore era troppo forte, quasi nauseabondo, la spense. Dopo circa un’ora il traffico cominciava a defluire.

Arrivato alla fine della fila, davanti a lui si apriva la superstrada.

Dette gas lasciando il motore libero di respirare fino a che il limitatore non gli intimava di cambiare marcia.

Arrivato quasi ai centotrenta chilometri orari mise la 5° e lasciò che il cruise control  facesse il resto.

Man mano che la strada si faceva più nitida e la pioggia iniziava a cadere con meno intensità, anche il malessere di Adam andava migliorando.

Era quasi arrivato. Il cartello “blue bay” segnava l’ora con dieci minuti di ritardo. Le varie pubblicità ormai strappate, sbiadite, rendevano ancora più solitario quel cartello.

Canticchiando a bassa voce, tamburellando con le dita sullo sterzo, il viaggio giungeva al termine.

Bio Hazard



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