Laboratorio di Narrativa: Cristina Prina

Da Patrizia Poli @tartina

Sembra essere ricorrente nell’immaginario collettivo degli scrittori il ricorso alle strofe di canzoni famose come fonte d’ispirazione per i loro racconti. Forse perché la musica ci accompagna sempre a sottolineare le emozioni, o forse perché gli autori temono di “osare” da soli, di spiccare il volo senza un sostegno già consolidato cui aggrapparsi.

Anche in “Alberi infiniti” di Cristina Prina troviamo parole tratte da “Il cielo in una stanza” (Gino Paoli). Gli alberi infiniti sono ciò che sta fuori della camera dove si consuma l’infedeltà, che non è solo adulterio, ma, soprattutto, tradimento della fiducia, dello slancio, della passione.“Non fare mai l’amore con un PC sul comodino…” potrebbe essere l’insegnamento di questo breve racconto. Ma l’intento dell’autrice non è lanciare messaggi, quanto piuttosto aprire uno squarcio sul mondo di una donna che ha un segreto inconfessabile. Una storia di vita: l’amore, la passione, il tradimento. E le percezioni si dilatano, si deformano, si esaltano, in una tempesta di opposti stati emotivi ma anche epidermici, sensoriali. Cosicché la mente offuscata non coglie i segnali, o non vuole; e il piacere della trasgressione annebbia lo squallore.

Fino alla rivelazione finale, che squarcia il velo e restituisce la dignità, estrema risorsa femminile. Il disgusto per la scoperta porta alla delusione e la delusione si traduce in libertà dalla schiavitù dell’eros, dal giogo dei corpi avvinghiati, dalla doppiezza dell’inganno, dal senso di colpa che opprime e schiaccia come il soffitto viola della stanza.

Patrizia Poli e Ida Verrei

ALBERI INFINITI

Uscì dall’Hotel Continental intorno alle 15,30. Fuori, un sole incredibilmente tiepido per essere febbraio. Alzò il bavero del cappotto nero e non per ripararsi dal freddo. Era un goffo tentativo di nascondersi: aveva trascorso le ultime due ore in una camera d’albergo, con il suo amante.

Percorse lentamente i circa duecento metri che la separavano dalla sua auto, opportunamente parcheggiata in una via laterale, poco frequentata. Ripensava al tepore di quel letto appena lasciato. A Gianluca, al suo profumo. Se lo sentiva ancora sulla pelle, residuo indecente di una follia. Lui era questo, per lei. Un amore senza senso, da viversi senza troppe domande. Tra quattro mobili, qualche quadro arrangiato alle pareti rivestite di carta a righe improbabili e quel soffitto dal colore assurdo.

Assorta e vagamente inquieta, Stefania era quasi giunta alla sua auto quando un particolare attrasse la sua attenzione. Sul parabrezza, tenuto fermo dal tergilunotto, un biglietto. Affrettò il passo, curiosa. Giunta all’auto, prese il foglietto. Il tempo di cercare gli occhiali nella borsa di cuoio marrone e lesse: “Viola”.

Restò con il foglietto stretto nella mano destra, per qualche minuto. Chi può avermelo scritto? – si domandava – E cosa significa viola?

Passò rapidamente in rassegna i possibili mittenti, scartandoli tutti per via della scrittura, femminile e sconosciuta. Uno scherzo – si disse, infine. Questa ipotesi la rincuorò. Ripiegò in due il biglietto, lo infilò in borsa e, finalmente, montò in auto e partì, diretta a casa.

Nei giorni seguenti, però, Stefania cominciò a sentirsi irrequieta. E se si trattasse di Alessia? – si era chiesta, quella mattina. Gli incontri con il suo amante erano stati solo un paio ma, tutto sommato, la moglie di lui poteva aver sospettato qualcosa e aver seguito il marito. Quindi aver atteso l’arrivo di Stefania per piazzare il biglietto, dopo averla vista entrare in albergo.

Ma certo … non può che essere andata così. Devo avvertire Gianluca e mostrargli il biglietto.

Gli telefonò, proponendogli di incontrarsi al Continental ma, questa volta, decise di recarvisi con un mezzo pubblico e di arrivare in anticipo. Probabilmente Alessia si era informata sul loro conto presso la portineria. Voleva saperne di più. Quindi, verso mezzogiorno, salì sul 144 e scese di fronte al Continental. Trovò lo stesso portiere della volta precedente. “Sì, signora - le rispose, infatti - la donna che mi descrive è stata qui. La ricordo bene perché mi ha fatto una strana domanda. Mi ha chiesto di che colore erano i soffitti delle nostre stanze. Le sembra una cosa da domandare?”

Viola … sì. Il soffitto è viola. Come quello della canzone di Paoli. Stefania ebbe un piccolo tuffo al cuore.Qualcuno sa di noi. Ma perché farmelo sapere?

Liquidò il portiere con una scusa e, finalmente, si recò in camera ad attendere Gianluca. Quando lui arrivò, gli mostrò immediatamente il biglietto chiedendogli se riconosceva quella scrittura e se sapeva spiegarsi l’accaduto.

Stranamente, non lo vide sorpreso come si aspettava. Confermò che quella era la scrittura di Alessia ma senza enfasi, senza timore. Stefania era interdetta e cominciava a sentirsi nervosa. “Ma insomma – esclamò infine – dì qualcosa … che ne pensi?”

-Rilassati – le rispose Gianluca, vagamente enigmatico – ci penso io ad Alessia. Ora godiamoci il pomeriggio. Vieni qui, fatti abbracciare …

Stefania, seppure perplessa, si abbandonò a lui. Mentre erano l’una tra le braccia dell’altro, bussarono alla porta. Sentì Gianluca irrigidirsi sopra di lei, lo vide alzarsi, dirigersi verso la porta, aprirla e, dopo una trentina di secondi, richiuderla e tornare sul letto, con un’espressione indecifrabile. “Allora … – gli chiese – chi era? Che succede?”

-Era Alessia – le rispose.

-Alessia? – Stefania impallidì – Beh? Cosa è venuta a fare? Insomma, Gianluca … parla!

“Dai un’occhiata … - le disse, inserendo un cd nel suo pc già pronto sul comodino.

Stefania avvertiva un sapore amaro in bocca, mentre si avvicinava allo schermo per osservare da vicino quelle immagini che ritraevano due corpi nudi, avvinghiati in un amplesso. Erano loro due, senza alcun dubbio. “Che significa?” – gli chiese, ormai terrorizzata.

Gianluca, al contrario, appariva assolutamente tranquillo. Compiaciuto, quasi. “Significa che sei in trappola. Ma puoi uscirne. Basta pagare”.

Stefania cominciava a capire, ad assemblare pezzi. Ripensò a quel soffitto viola, a Gianluca che aveva voluto tornare in quell’albergo, nella stessa stanza, al pc sempre acceso che sembrava li spiasse. Lavoro – diceva lui – devo avere sempre tutto sotto controllo. Un ricatto. Altro che emozioni, poesia, sesso. Un ricatto in piena regola. Lui e sua moglie, d’accordo. Quella del biglietto era stata solo una provocazione, il sadismo di una donna comunque gelosa.

-Quanto? – gli domandò, bruscamente.

-40.000 euro – rispose Gianluca.

Stefania, ormai disgustata e senza parole, lo fissò a lungo. Poi, in silenzio, si rivestì. Andò in bagno, si spazzolò i capelli e, senza dir nulla, uscì.

Stavolta l’aria era pungente. Alzò il solito bavero, mise le mani in tasca e, incredibilmente, si ritrovò a canticchiare … “Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti … “

Parlerò con Fausto – pensava intanto, dirigendosi verso la fermata dell’autobus – gli confesserò tutto. Forse riusciremo anche a ritrovare un dialogo. Sì, andrà tutto bene, ne sono sicura.

Si sentiva libera. Ignobilmente ferita. Tremendamente impaurita.

Ma libera.

Cristina Prina

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