In “Solo poche parole” di Edvige Sordillo due mondi corrono paralleli, due vite, due solitudini, un comune sogno proibito. È ricerca di occhi che si sfiorano ma non si incontrano: due diversi destini li conducono lontano, verso strade che divergono. Più amara quella dell’uomo, già tracciata, in parte già vissuta, disseminata di delusioni, frustrazioni che trovano ristoro solo in fantasie consolatorie. Ancora tutta da percorrere quella della donna, ma in salita, con ostacoli intravisti che fiaccano la volontà e inducono a un’acre rassegnazione.
Interessante l’idea di ciò che ciascuno dei protagonisti rappresenta per l’altro. Per il solitario, infelice, e un po’ meschino professore, la ragazza incarna il desiderio di riscatto sociale. Per la giovane straniera, l’uomo rappresenta la cultura, gli studi che le sono stati negati.Ognuno, tuttavia, tristemente, conosce il proprio posto nel mondo.E l’elegante paltò, “ben chiuso con la piccola mano”, diventa simbolo dell’illusorio per l’uomo, ed “ebbrezza del nuovo” per la donna, sogno di uno stato irraggiungibile.
Un racconto la cui originalità sta tutta nel linguaggio che sembra uscito da un’antologia di poesia scolastica, usato, però, per narrare una storia di moderna immigrazione, dove stupisce imbatterci, ancora con quella parlata nelle orecchie, in oggetti della nostra vita attuale.
La prosa è fortemente ritmata, addirittura le frasi fanno rima fra loro.
Patrizia Poli e Ida Verrei
Trovate il racconto nell’archivio del Laboratorio di Narrativa.
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