Una mancanza momentanea di coscienza è alla base di “Nota nella notte” di Federico Calafati.
Il mondo in cui il protagonista è proiettato ci appare come un Ade dai tratti sia infernali che paradisiaci. Lucciole, fiori, aromi ma anche insetti disgustosi che aggrediscono, divorano. C’è pure un vago accenno a una “cosa”, non ben definita, ma che ricorda molto la droga e i suoi effetti.
Coma dunque, o forse stato di coscienza alterato. C’è l’immancabile incontro con una figura - sempre presente nell’immaginario maschile - dispensatrice di sesso spontaneo e non richiesto, dalla quale, dopo averne goduto, occorre fuggire per riconquistare la consapevolezza, la coscienza di sé.
C’è il filo di una canzone che tiene avvinti al passato, alla realtà, e accompagna attraverso il processo di redenzione, di purificazione e ritorno alla vita.
Risultato di un danno temporaneo alla corteccia cerebrale, o esperienza ai confini della vita?
L’autore ci racconta un’odissea della mente, quasi un viaggio dantesco, dove luce e tenebra si alternano; emozioni inebrianti si intrecciano a percezioni sensoriali, esaltazione e angoscia evocano una realtà “altra”, non metafisica o ultraterrena, un mondo parallelo di forme e d’identità, di forte efficacia allusiva.
E in questo percorso inaccessibile alla comprensione, una sola domanda: perché?
Ma le coordinate logiche sono stravolte, solo i sensi si esasperano: colori, suoni, odori. La melodia sconosciuta, note che si rincorrono e rotolano, intorpidisce e poi scuote la mente. C’è un messaggio, ma è oscuro; soltanto alla fine apparirà decifrabile.
Vissuto inquietante, spazialità e temporalità vaghe e indefinite. E poi l’incontro, la luce arancione che si fa linee, forme, sagome, carne, sangue: una “struttura composta”, direbbe Freud, che rimanda a tutte le angosce esistenziali. E infine l’incontro carnale, uno stream di coscienza, uno sdoppiamento tra corpo e pensiero, tra veglia e sonno, tra vita e morte.
Un racconto insolito. Cronaca di un coma, potremmo sottotitolarlo. E la forza, la suggestione delle immagini, ci fa sospettare possa trattarsi di un’esperienza vissuta.
Il ritmo è incalzante, pressante, trasmette angoscia e provoca emozioni forti. Peccato ci sia stata scarsa cura a refusi, accenti, apostrofi. Forse l’ansia di fissare le memorie ha distolto l’attenzione dalla correttezza formale
Patrizia Poli e Ida Verrei
Nota nella notte
Vuoto. Tutto era vuoto.
Nessun suono, e l’oscurità ad inghiottire tutto.
La mente era un abisso nero senza fondo, dalle pareti ripide e scivolose.
Poi un formicolio, il tocco leggero e sinuoso di uno spettro senza forma. Era la brezza, stracolma di vita fino a scoppiare, un’isola brulicante in quell’oceano denso di morte.
Risvegliava ciò che toccava, solleticava corpo e coscienza, fino a quel momento fusi in un nulla vuoto e desolato.
I muscoli erano intorpiditi, e avvertiva il suo respiro flebile come non mai. Gli pareva di non essere mai stato sveglio fino a quel momento, percepiva il suo corpo come totalmente nuovo, unammasso di carne che sfuggiva al suo controllo.
Con uno sforzo immane aprì gli occhi, e ciò che vide fu l’oscurità.
Nessuna stella a ornare il cielo, niente luna a dargli conforto.
“Perché? ” si chiese.
Non si chiese dov’era, nééfosse lì. L’unica domanda che riusciva a porsi era la più semplice, perché. E gli sembrò l’unica a proposito, in quel momento.
Poi, una luce sferzò il buio, e rapida come era venuta, scomparve nel vuoto. Interminabili secondi seguirono.
Poi un’altra saetta dorata sfrecciò nella luce, per sparire come la prima. Una terza seguì qualche istante dopo, e poi una quarta; roteavano dal basso verso l’alto, si lasciavano cadere verso terra o si avvolgevano in voluttuose spirali, disegnando ombre danzanti.
Pian piano l’aria cominciò a rischiararsi, e il contorno delle cose divenne visibile, anche se non completamente. Erano lucciole, capì improvvisamente.
Piegando la testa in avanti, riuscì a scorgere qualcosa in pìù. Era disteso su un giaciglio sopraelevato, morbido ma gelido; guardando il torace scoperto, un brivido di terrore gli percorse la schiena.
Un sottile nastro nero partiva dal pettorale sinistro, e senza averne la certezza, capì subito: lambiva il punto dove si trovava il suo cuore. Il nastro si arrotolava e si dipanava verso l’alto e andava verso sinistra, perdendosi poi nell’oscurità.
Dal punto di contatto tra pelle e stoffa, si sprigionava un calore piacevole, torbido ed intenso. Intorno a lui il gelo e l’oscurità della notte, lacerata a tratti dalle fioche luci delle lucciole. D’un tratto si accorse che la stanchezza si stava impadronendo di nuovo di lui; avvertiva un forte desiderio di dormire, e per un istante pensò di farlo. Sarebbe stato così semplice abbandonarsi a quel torpore, richiudere le sue sensazioni dietro un muro e lasciarsi andare. Poi una singola nota suonò nella sua mente, limpida e incredibilmente potente.
Avvertì un brivido solcargli la schiena, e una sensazione di piacere diffondersi lungo il suo corpo, cancellando il torpore. Alla prima nota ne seguì un altra, e poi un altra ancora.
Era l’inizio di una canzone, anche se non aveva idea di quale; gli parve che la melodia nascondesse qualcosa, forse qualcosa di importante. D’un tratto il punto dove la stoffa si fondeva con la pelle cominciò a prudergli, dapprima leggermente, poi sempre più.
Finalmente si sentiva lucido, era consapevole di se stesso ad un nuovo livello. Poggiò la mano sul lungo nastro, e lo accarezzò con le dita.
Un dolore cieco e pulsante cominciò a diffondersi dal punto di contatto, un dolore che sapeva di pazzia.
Quasi senza pensarci, afferrò la stoffa e tirò forte. Il nastro si strappò dal suo petto, portandosi via piccoli brandelli di pelle.
Il dolore fu squarciante, e lui cadde di lato, sulla terra fredda e spoglia.
Il buio lo inghiottì completamente, mentre il dolore gli dilaniava le carni. La melodia scomparve, e il panico lo invase come una scarica elettrica; si abbandonò sul terreno, sentendo la ruvida superficie raggelargli la pelle. Chiuse gli occhi, e si lasciò andare.
Sentì la sua coscienza allontanarsi pian piano, mentre anche il dolore cominciava a svanire.
Poi, nel buio desolante, il suo cuore si fermò.
Quando si riebbe, l’oscurità era svanita; il cielo era solcato da una violenta luce arancione, mille volte più intensa di quella del più acceso crepuscolo; intorno a lui una landa desolata, spoglia; un’unica strada ciottolata, lunga a perdita d’occhio e sempre uguale. Si sentiva spossato, stanco, eppure vivo come non mai.
Udì un tonfo, e poi un altro.
Dopo qualche secondo di silenzio, il suono si ripetè, lontano ma perfettamente distinguibile.
Doveva mettersi in marcia.
Osservò l’orizzonte, una linea sfuocata e nebbiosa, e capì che era il suo obiettivo. Doveva raggiungere la fonte di quel suono, su questo non aveva alcun dubbio.
Mettere un piede davanti all’altro gli apparve enormemente difficile, ma sapeva che doveva farcela, ad ogni costo. Camminò senza sosta, ignorando le fitte di dolore e stanchezza che gli percuotevano il corpo implacabili ; la strada sembrava sempre uguale, e presto gli sembrò di star camminando all’infinito.
Ad un tratto, in lontananza, scorse un bivio davanti a sè
Sulla destra il sentiero era sterrato, sconnesso; a sinistra vide invece una stradina stretta, ma curata e tappezzata di un’erbetta sottile e umida di rugiada.
Senza nemmeno pensarci, scelse la strada a sinistra, e vi si incamminò rapido. Accelerò il passo; per la prima volta gli pareva di avere una meta, pur senza avere idea di dove stesse andando.
Un dolce aroma impregnava l’aria, un odore tanto indefinito quanto gradevole; intorno a lui, i colori sembravano essersi fatti più intensi; l’erba era diventata di un giallo sgargiante, ed alberi di un marrone così chiaro da sembrare beige si stagliavano contro un cielo azzurro pastello. Sì sentì bene, al sicuro per la prima volta da quando si era svegliato. In fondo al sentiero intravvide una casetta completamente bianca, circondata da un prato stracolmo di fiori di ogni colore. Quel bianco abbacinante ferì i suoi occhi, ma lui non se ne curò; si sentiva così bene, così dannatamente bene da non poter pensare ad altro; doveva raggiungere la sua meta.
Pochi passi, e si trovò sulla soglia; i fiori intorno a lui emanavano ora un profumo sempre più intenso, e lui si sentì inebriato; i suoi pensieri si fecero più impalpabili, e gli divenne difficile concentrarsi su qualcosa in particolare; si lasciò andare e basta, e aprì la porta senza bussare.
Spalancato l’uscio, si ritrovò in un altro mondo. Un’oscurità abbagliante invase il suo campo visivo; le pareti sembravano intonacate con la pece, e strane frasi erano scritte su di esse nello stesso bianco accecante che ornava la facciata della casa. Parole incomprensibili, ma che gli sembrarono piene di significato fino a scoppiare; un brivido gli percorse la schiena, mentre la sensazione di tranquillità evaporava da lui con la stessa rapidità con cui lo aveva invaso. Dalle finestre un pò di luce cercava di fare capolino, ma veniva inesorabilmente risucchiata dall’oscurità delle pareti.
Una figura discese le lunghe scale, così luminosa che era impossibile focalizzarsi su di essa con lo sguardo. I suoi passi erano leggeri come la brezza autunnale, e il suo odore irresistibile, se ne rese conto anche da quella distanza. Prese coraggio e diresse lo sguardo verso l’eterea figura; aveva un lungo vestito bianco, impalpabile come sabbia.
La sua pelle era liscia ed abbronzatissima, in aperto contrasto con la veste chiarissima; le sue forme risaltavano stuzzicanti, ben poco nascoste dalla trama sottile e quasi trasparente dei vestiti. Le si avvicinò, senza conoscerla ma sentendo che quella donna gli apparteneva da sempre; la baciò a lungo, sentendo il suo corpo che si fondeva con quello di lei.
Un brivido scese lungo la sua schiena, e per un effimero istante avvertì chiaramente di star sbagliando tutto. Si sentiva vulnerabile, come mai era stato prima.
Quando si staccarono, la donna non spese un’unica parola; rimase a fissarlo intensamente, scandagliandogli l’anima.
Erano finiti a letto, e lui quasi non riusciva a ricordare come.
Le sue lunghe dita stringevano la cosa. Qualera il suo nome? Non lo ricordava, ma sapeva con certezza cosa voleva dire.
La accesero; l’odore era libidinoso, gridava eccitazione e lo conturbava come niente era mai riuscito a fare. La prese in mano, e inspirò con forza; un fumo caldo e piacevole gli solleticò la gola, e immediatamente avvertì se stesso lasciarsi andare. Si sentiva un ammasso informe di emozioni e sensazioni, incapace di controllare i suoi pensieri
Stare disteso con lei lo faceva sentire perso. Era una bella sensazione, si sentiva rilassato, stordito, tutto il suo corpo fremeva sonnolento, come se bastasse la sua presenza accanto a lui per eccitarlo incontrollabilmente.
Ma non era vero. Lo aveva avvertito chiaramente quando i loro corpi si erano incontrati, sfiorati nel modo più intimo che si potesse concepire; il momento gli era sembrato perfetto, si era abbandonato del tutto; un fuoco inestinguibile lo aveva avvinto, dilaniando le sue carni con ferocia, ma lasciando i suoi sentimenti freddi e impassibili. Era strano, sentirsi così bene e sapere quanto quello fosse sbagliato; non era a suo agio, per quanto il suo corpo gli gridasse il contrario.
In quell’istante nella sua mente la musica ricominciò a suonare; una manciata di note, così attraenti e così giuste; sentì qualcosa dentro di lui che si rompeva, e una tristezza inestinguibile si impadronì di lui. Ma la sentiva giusta, parte di lui molto più di quel torpore così eccitante ma così debilitante.
<<Me ne vado>> affermò con un sussurro, guardando negli occhi la donna; le sfere infuocate dei suoi occhi lo scrutarono con tenerezza, e d’improvviso si sentì perdere di nuovo; era la stessa sensazione di abbandono che aveva provato ai piedi di quel letto, lacerante ma molto più suadente questa volta.
La donna non disse niente, continuò solo a fissarlo; si sentiva vulnerabile, nudo come in mezzo ad una tempesta, attratto da quello sguardo tanto da perdere cognizione di sè; esistevano solo quegli occhi, nient’altro aveva senso. Ma la musica nella sua testa, quella non smise; era come un frastuono discordante, un oceano di emozioni tradotte in note; la sua mente scoppiava di felicità e dolore insieme, e gli sembrò che quello fosse l’istante più importante della sua vita; era tutto lì, tutto il significato che aveva cercato, ora era sotto i suoi occhi.
Sorrise, e improvvisamente distogliere lo sguardo gli sembrò la cosa più naturale del mondo, la più facile.
Fuori, la luce era scomparsa, lasciandolo di nuovo nell’oscurità.
Seguì ancora le vibranti fiammelle. Splendevano nel buio, portando speranza
L’oscurità avvolgeva di nuovo tutto; come un tappeto ovattato, aderiva soffocante alla terra brulla, mascherando tutto di nero pece. Un vento freddo gli solleticava la schiena, raschiando via la determinazione che con tanta fatica era riuscito a trovare; camminava a passi rapidi, senza mai guardare indietro, per paura di cosa avrebbe potuto trovare dietro le sue spalle.
Iniziò a sentire strani rumori; per primo venne un fruscio basso e monotono, quasi impercettibile ma sempre presente nei recessi della sua mente; subito dopo cominciò ad avvertire un rantolo, il respiro singhiozzante di esseri senza nome. Lì immagino striscianti sull’erba molle mentre agonizzavano, mollicce lumache grondanti sangue; Cominciò a correre, e il suo battito prese ad accelerare, sempre più forte via via che l’intensità dei rumori cresceva. Erano reali o solo nella sua mente? Si rese conto che non voleva scoprirlo. Finché non ne avesse avuto la certezza avrebbe potuto fingere che erano un’invenzione della sua psiche sconvolta, niente che potesse fargli del male. Ma sapeva che una volta visti, la sua sanità mentale sarebbe stata risucchiata nella tenebra senza nome, persa per sempre; si vide correre per sempre nell’oscurità, preda inerme del terrore, senza possibilità di fuga. Altri suoni si affiancarono ai primi; pulsanti stridori che devastavano la sua mente, ormai ridotta allo stremo. Basse e deboli, risuonavano ancora le note della canzone, quasi inudibili ma di uno straordinario conforto. Parole senza senso strepitavano nella sua testa, incredibilmente affascinanti, forse proprio perché non ne distingueva il significato. Si abbandonò ad esse, e cominciò a capire. La consapevolezza lo travolse come una valanga, e fu allora che non ebbe più dubbi. I suoni che sentiva, i ricordi pulsanti che avvertiva sul fondo della sua coscienza, tutto acquisì un significato.
Corse ancora più forte, senza vedere la fine della strada davanti a sé
E se fosse stato quello il suo destino? Correre fino a perdere consapevolezza, abbandonarsi; ciò che aveva finalmente intuito appariva infinitamente più terribile, minaccioso fino all’inverosimile. Si accorse che i piedi gli dolevano, e i suoi polmoni urlavano,senza sosta, strepitando per lo sforzo di non esplodere. Lo aveva sempre saputo, pensò, ma non ne era mai stato consapevole; in qualche oscuro strato della sua mente, sepolto dietro barriere che probabilmente aveva costruito lui stesso, c’era il segreto. Il segreto supremo, ciò che lo separava dalla morte e che gli permetteva di restare così saldamente abbarbicato alla vita. Voltati, gli intimò la sua mente. Sapeva di dover affrontare ciò che era capitato, ma il terrore glielo impediva; era come ritrovarsi in una bara, chiuso in un’oscurità soffocante e privi della forza di fuggire..
Si voltò, e vide l’oscurità. Non c’era nulla, solo l’oscurità, fuori e dentro di sè. Ormai lo sapeva.
In quel momento le lucciole lo sorpassarono, sfrecciando nel buio; proiettili incandescenti, rilucevano nella notte, sussurrando che era ancora tutto possibile. Riprese a correre, questa volta non per paura ma per brama di scoprire cosa ci fosse alla fine di quella strada.
Ad un certo punto il terreno cominciò a cambiare; la terra divenne fanghiglia ,la solida roccia unincandescente fiume di lava pieno di brulicante vita. Sotto di lui comparvero migliaia di larve bianche come la neve; lui si rannicchiò in posizione fetale, attendendo che gli insetti gli salissero sopra. Dopo qualche istante, il fiume bianco lo travolse, travolgendolo con ondate di insetti mormoranti. Sentì la propria pelle divorata da morsi fiammeggianti, saette di dolore infuocato lambirgli le carni, per poi avvolgerlo continuamente. Si sentì come un’unica grande fiamma, migliaia di individualità fuse insieme in quell’oceano di presenze fuori e dentro il suo corpo.
Avvertì la sua coscienza sciogliersi, mentre il dolore si trasformava lentamente in piacere. Prima che tutto finisse, ebbe il tempo di dare un’ultima occhiata alla luna, una perla lucente incastonata nell’oscurità celeste.
Poi, finì tutto. Una seconda volta.
Ad un certo punto, ci fu solo la musica. Sempre quella canzone, solo che ora riusciva a capirne le parole. Cantavano di redenzione, di occasioni colte e di seconde possibilità. Poi, l’oscurità, per l’ultima volta.
Intorpidimento. Avvertiva solo questo. Gli sembrava di avere macigni al posto degli arti, protuberanze che il suo corpo non riconosceva e rifiutava di muovere.
<<Si è svegliato! >> sentì urlare, con voce stracolma di gioia. Non ricordava nulla di ciò che gli era accaduto mentre dormiva il suo lungo sonno, ma qualcosa gli era rimasto; nella mente, il ritmo della canzone vibrava inesorabile, ma non ne ricordava le parole. Rammentare quelle parole gli sembrò l’unica cosa importante; la canzone risuonava piena di energia ma al contempo vuota, come una lettera misteriosa e piena di potere, senza nulla scritto sopra. Ed era lui il destinatario.
Federico Calalfati