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Laboratorio di Narrativa: Giovanni Modica

Creato il 13 settembre 2012 da Patrizia Poli @tartina

Patrizia Poli

PIÙ VELOCE DELLE PAROLE

‘ … Asfalto morbido, tenere pietre / vivo nell’Eden … ’ - Chissà che brano è.
Dev’essere un cantante nuovo, pensa lui. Mai apprezzate queste commistioni tra hip hop e melodia … Questa voce, però non è male.
Dalla piccola finestra al di sopra delle scale del fast food la luce elettrica esterna evidenzia la pioggia che non da tregua.
Appoggiato a una colonna del piano superiore, il ragazzo sorseggia quel che resta della sua birra fino a osservare, dal fondo trasparente del bicchiere, l’immagine ingrandita delle tante persone che a quell’ora affollano il locale del centro, mischiando le loro confuse voci alle note della radio fin quasi a coprirle.
Dall’alto vede aumentare sempre più questo flusso di clienti che all’ingresso tingono i loro volti di beatitudine nel trovarsi al riparo dal gelo e dalla pioggia battente.
Ha quasi l’impressione che il grande calore interno sia dovuto più al fiato della rozza e informe folla che al potente impianto di riscaldamento.
Ogni volta che assiste a questo scenario di voci, guance arrossate e guanti che si sfilano, non può evitare di notare il contrasto di sempre…
Fuori, quando piove nel freddo e nel buio, un’atmosfera straniante, quasi di abbandono; la gente c’è e conversa, ma non si sente mezza parola, e nemmeno i passi sull’asfalto. Tantomeno il soffio del vento, dato che in questa città l’aria è impetuosa quasi esclusivamente in primavera. Presenti solo due suoni, che paiono dietro un vetro anche stando sotto i portici: l’inesorabile ticchettio delle gocce, sempre regolato alla stessa misura, senza cali né impennate fino alla fine, e il rumore delle macchine, mai tanto sinistro come nella pioggia; specialmente nel momento del suo dissolversi in lontananza.
Davvero un senso di immobilità simile a quello della neve, ma del tutto privo del suo potere rasserenante.
Nel riparo del locale, invece, la luminosità, il chiasso e la moltitudine, fisiognomicamente mostruosa come sempre.

Un cliente lo spinge violentemente con la spalla per infilare i suoi bicchiere, tovagliolini usati e copri-hamburger
nell’apposito spazio accanto alla colonna , facendogli a sua volta urtare una ragazza di passaggio.
La quale si ritrova con il proprio bicchiere di birra quasi del tutto svuotato ai danni delle sue scarpe e della parte bassa del suo giaccone.
“Scusa”, sussurra lui con imbarazzo. Un timido quando si vergogna fatica a fare uscire le parole, soprattutto quando ha di fronte una persona che lo guarda male; “un ragazzo mi ha urtato e io ti sono venuto contro . Ti ho fatto rovesciare la birra sul giaccone, te la pago”
“La birra perduta è l’ultimo dei miei pensieri!”, risponde la bassa e bionda ragazza.
“Eh, è vero. È il lavaggio del giaccone che dovrei pagarti!”
“Non ti preoccupare. Non sono così pezzente da accettarlo. Al massimo puzzerò di birra tutta la sera, ma pazienza. Nuove esperienze!”.

“Dai, almeno la birra, te ne offro un’altra”
“Tu sei gentile, ma io sono già in ritardo, e …”
“Va bene, allora scusa ancora”.
Mentre lei cerca di pulirsi con un fazzoletto bagnato, il ragazzo estrae il proprio cellulare dalla tasca e digita un numero.
Pare non gli risponda nessuno, ma continua ad attendere sperando che la persona cercata si faccia viva. Evidentemente non crede alla sua assenza.
La sventurata, asciugatasi alla meglio, comincia a scendere le scale a passo molto svelto e guardando l’orologio con apprensione. Sente la voce di lui che, ancora col telefonino all’ orecchio, la saluta.
Si volta e risponde gentile, mostrandosi nuovamente per nulla arrabbiata.
Al cellulare continua a non rispondere proprio nessuno, finché il ragazzo con un gesto di stizza richiude l’apparecchio e si accinge seccato a scendere anche lui le scale.
Arrivando al piano inferiore, vede ancora la sua ‘vittima’ mentre sta per uscire dal locale in fretta. Molto in fretta. Sembra proprio che stia per perdere qualcosa a cui tiene molto.
Sta già per aprire la porta quando lui la raggiunge e, fregandosene che lei possa prenderlo per uno che vuole maldestramente provarci, le dice: “Senti, visto che sei in ritardo, se vuoi ti posso dare un passaggio con la macchina”.
Si aspetta una risposta negativa … Perché mai una ragazza sola dovrebbe fidarsi di uno che non conosce?
Per questo motivo la risposta lo sorprende: “Senti, tu hai la faccia di uno di cui ci si può fidare. Accetto giusto perché rischio che le mie amiche smettano di aspettarmi e vadano insieme alla festa senza di me. Dobbiamo andare in via Turati 4 entro quaranta minuti da adesso. Mi stanno aspettando in casa, e poi da lì partirò con loro per il luogo della festa. Se fossi in qualche modo motorizzata non correrei mai questi rischi”
“E se non avessi l’abitudine di togliere il coperchio di plastica ai bicchieri dei fast food non correresti il rischio che qualche imbranato ti faccia rovesciare la birra addosso!”, scherza lui aprendole la porta del locale.
“Eh, bravo! Come se non avessi visto che anche tu l’avevi tolto… Come tutti, poi. Mi chiedo perché continuino a mettercelo. Forse lo fanno perché sanno che ci sono imbranati che possono far macchiare la gente!”
“Tuccè”
“Si dice ‘touchet’”.
Richiusa la porta alle loro spalle, vengono subito aggrediti dal freddo tagliente e dalla desolante atmosfera di immobilità che li circonda. Prima di superare il portico e affrontare la pioggia, la ragazza infila i suoi guanti e si premura di coprirsi anche la testa con una strana cuffietta prelevata dal suo zainetto.
Vicina a lui figura come la lettera ‘i vicino alla ‘l’, data la sua bassezza di fronte alla notevole statura slanciata del ragazzo. Lui pare che non si preoccupi troppo della pioggia, e riceve sui suoi capelli castani corti quel bombardamento di gocce come niente fosse, quasi ci fosse abituato. Si limita a lamentarsi per il giubbotto troppo leggero con cui è uscito di casa. Percorrono le tristi strade del centro schivando i pirati della strada e le pozzanghere che si formano nelle innumerevoli buche dell’asfalto.
L’immondizia vistosamente accumulata accanto ai cassonetti si intride d’acqua, contribuendo ad evidenziare il degrado urbano.
“Senti, la macchina ce l’ho all’inizio di via Dell’Arte. Spero non sia troppo lontana dal posto che dobbiamo raggiungere, dato che mi rendo conto che vicinissima a qui non è… ”
“Va benissimo lo stesso, tanto in auto poi lo recuperiamo comunque, il tempo perduto. Faccio sempre prima che ad aspettare l’arrivo di un autobus di sabato. Se non sai dov’è via Turati, te lo spiego io, non ci vuole molto… Beh, mi chiamo Annalisa. Lisa per i nemici”
“Vorrai dire per gli amici …”
“No. Io mi chiamo Annalisa, e tutti quelli che mi abbreviano il nome mi stanno sulle palle. Sono già abbastanza corta io, non c’è bisogno di accorciarmi anche il nome”
“Ah, ho capito. Io mi chiamo Dagoberto”
“Dai!!!”, esclama lei guardandolo sorpresa dal basso.
“No, mi chiamo Vittorio. Vittorio per i nemici, gli amici e quelli medi. E … Cosa fai tu, studi?”
“Sì, alle magistrali. Tu?”
“In teoria studio all’Università, ma in pratica non faccio niente”
“Beh, cosa c’entra… Se è per questo anch’io! Ho diciannove anni, ma starò lì almeno fino a ventinove”
“Strano. Le ragazze sono bravissime negli studi”
“Beh, io sono una ragazza ma mi fa schifo studiare. Ma adesso fammi indovinare: tu hai venticinque anni e studi fuoricorso economia!”
“No, ho ventun anni e faccio lettere”
“Strano, stavolta non ci ho preso. Sai, io mi diletto a indovinare tutto di una persona guardando la sua fisionomia. Sono molto brava, anche se ancora le mie amiche non credono alle mie capacità”
“E le altre volte ci hai preso sempre?”
“No, questa sarebbe stata la prima”.

I due, per raggiungere la macchina, cercano di scegliere il più possibile le vie dei portici. Ma a volte di scorciatoie protette proprio non ce n’è, e sono costretti a correre da un punto all’altro della strada in cui si trovano o a camminare con una spalla radente al muro accontentandosi dell’avara protezione delle ristrette sporgenze di un tetto otto metri al di sopra di loro.
Ma mentre Vittorio corre più per scaldarsi che per proteggersi dalla pioggia, Annalisa Lisa-per-i-nemici lo fa sperando invano di evitare che i suoi capelli biondi si trasformino in strisce scure appiccicate su fronte, orecchie e guance.
“Che clima, eh?”, dice lui, “Insopportabile. Esalta tutto il peggio delle strade. Senti che tanfo che fa quel cassonetto aperto, adesso che è bagnato. Ci hai fatto caso? Le stesse strade che di giorno, magari anche col sole, sembrano strette, di notte, con la pioggia e col freddo sembrano larghe tre volte di più, forse anche perché c’è meno gente. Tutto diventa più distante, e non solo le colonne e i lampioni. Anche le cose astratte, come le parole. Mentre paradossalmente con la nebbia le cose sembrano più vicine; proprio perché le vedi solo quando sono effettivamente vicine, mentre prima sei in una nube!”
“Ti piace la nebbia? Allora sei stato sfortunato a nascere qui: freddo e pioggia in abbondanza, neve e nebbia quasi mai! Io invece non lo disprezzo del tutto, questo clima che abbiamo nella nostra città, e l’alienante commistione di elementi che vi crea: anche lo squallore, in fondo, ha un certo fascino”, risponde lei cercando di non calpestare il lavoro di un madonnaro dai colori quasi cancellati dall’acqua e dai passi della gente.
“Sì, forse hai ragione: in fondo un certo fascino ce l’ha”.
Mentre parla, il ragazzo segretamente si chiede come mai Annalisa si sia fidata di lui; ha la faccia da bravo, ma insomma ….. Fosse stato un violentatore pronto a portarla in un posto isolato? Mah, forse sarà semplicemente una che vede la vita meno nera di come la vede lui.
In un momento di silenzio fa un nuovo tentativo al suo cellulare. Ancora nessuno.
È la prima strada veramente lunga e pericolosa che i due si trovano a dover attraversare, e lei, arrivata all’inizio delle strisce, compitamente si ferma in attesa del via libera del semaforo.
Vittorio, invece, è partito, testa bassa e occhi stretti, così in fretta da accorgersi solo al di là della strada di non essere stato seguito dalla ragazza. E senza nemmeno avere sentito il “Che fai, sei pazzo?”, gridatogli da questa mentre era a metà corsa. Una macchina sfrecciante lo rimprovera vistosamente col clacson.
“Dai, attraversa lo stesso!”, la esorta dal portico di fronte lui, continuando a stringere gli occhi irritati dalla pioggia.
Lei nega col dito. Finché col verde passa anche lei di corsa.
“E madonna, quanto timore! Sei pure in ritardo… Non vuoi raggiungere in tempo le tue amiche?”
“Sì, ma voglio sopravvivere, soprattutto. Ti stavano per investire”
“Sì, ma tanto poi non succede mai. Io faccio sempre così, rischio sempre. Sono un pedone spericolato, come se i semafori non esistessero”
“Solo chi sta sulle ruote può permettersi di essere spericolato”, gli risponde lei segretamente augurandosi che in vettura sia meno incosciente.
“Tuccè”.

“Dovremmo fare in tempo”, dice Vittorio porgendo alla ragazza il suo telefonino, “Intanto, a scanso di equivoci, prova a chiamare le tue amiche. Se le avverti di un possibile leggero ritardo, ti aspetteranno pure!”
“Giusto, adesso le chiamo. Dammi. Hm … Com’è che si accende? Ah, sì”.
Annalisa digita cinque sonori tasti dell’apparecchio, chiedendo poi: “Quali sono pure le ultime due cifre del numero della Cinzia?”
“??? E a me lo chiedi?”
“Ah, già, che scema! Sai perché? Perché le ultime due cifre non me le ricordo mai, e sono così abituata a chiederle a qualche amico del gruppo, che mi è scappato di chiederle anche a te! … Funziono automaticamente, io”
“Va be’, comunque puoi immaginare che non le so”
“Certo, certo. Adesso vado per tentativi”.
Si risente il suono dei tasti del telefonino, e poi: “Pronto, Cinzia? Mi scusi”, “Pronto, c’è Cinzia, per favore? Ah, mi scusi, ho sbagliato”, “Pronto? Oh, finalmente ti ho trovata! Sto arrivando da te accompagnata, ma forse un minimo di ritardo lo faccio lo stesso. Come ‘Chi ti ha invitata?’ ? Come non mi… Ho capito: non sei Cinzia, vero? Hai la stessa sua voce”.
Dopo altre dodici telefonate, Annalisa depone le armi: “Vittorio, grazie. Ci rinuncio. Proprio non mi ricordo, e mi sta venendo anche il dubbio che il problema non siano le ultime due cifre … Ma che sbaglio le prime cinque! Questi numeri a sette li odio!”
“Ma scusa, invece di tentare di indovinare, perché non chiami qualche altra persona che vi conosce e non te lo fai dire da lui, o lei? Non fare complimenti, tra dodici e tredici telefonate non c’è molta differenza”
“Adesso tutto il mio giro è in quella casa di cui non ricordo il numero”.
Anche questo portico è finito, ma per fortuna almeno stavolta il tratto in cui tocca bagnarsi è breve. Prima di prendere la rincorsa Vittorio dà un altro suggerimento: “Annalisa, il numero potresti cercarlo nell’elenco di un bar aperto”.
“Ci avevo pensato anch’io. Ma se sei così bravo da trovare un bar aperto a quest’ora sono disposta anche a dirti che pronunci bene il francese”.
Fanno insieme la breve corsa a testa bassa e poi lei continua la sua considerazione: “… Certo lo si potrebbe cercare, ma perderemmo ancora del tempo. Tanto vale andare direttamente lì”.
Lo stridio delle gomme sulle strade bagnate è la compagnia costante dei due ragazzi. Il commento sonoro ai loro discorsi e l’intermezzo nei loro silenzi.
“Oddio!”. L’esclamazione della ragazza sorprende Vittorio, che la guarda senza capire dove sia il motivo di allarme.
Lo sguardo di lei è perso in una vetrina in cui si è involontariamente specchiata voltando l’angolo. Non regge alla vista della devastazione che il maltempo ha compiuto sui suoi capelli.
“Come sono messa! E devo presentarmi a una festa così!!! Per cambiarmi era tutto pronto a casa della Cinzia, ma coi capelli come faccio? Non c’è mica il parrucchiere, dalla Cinzia!”
“Dai, su! Ricominciamo a camminare, che quasi ci siamo”.
Si avvicinano alla fine del marciapiede appena percorso.
“Alt!”, dice lei sbarrandogli la strada con un braccio.
“Che c’è ancora?”
“Bisogna attraversare una strada lunga: non si fanno i pirati della strada a piedi in mia presenza. Mi spaventa, non voglio vedere morti sulle strisce!”
“Va bene, va bene … Aspetto”
Nell’attesa del via libera l’attenzione di Annalisa è di nuovo attirata da una vetrina, ma stavolta non per la propria immagine riflessa: “Vittorio, vediamo se tu riesci a spiegarmi una cosa che nessuno è mai riuscito a farmi capire”, dice osservando la libreria di fronte a sé.
Lui si avvicina alla vetrina piena di volumi in cui campeggia la scritta: ‘Le ultime novità sulla filosofia new age’.
“Ah, la famosa ‘new age’! Adesso ti spiego tutto: vedi, la ‘new age’ è il mezzo per scoprire le vere potenzialità dell’uomo e l’insieme delle indicazioni per esplorare e sfruttare al meglio le capacità di quello straordinario strumento conoscitivo che è la mente. Capito?”
“No”
“Insomma: è ciò che ti aiuta a scoprire cosa tu vuoi realmente dalla tua vita e da te stessa, ed è ciò che soprattutto ti insegna a conoscere i segreti della tua forza di volontà. Ti faccio un esempio: lo vedi quel semaforo?”
“Sì”
“Adesso è rosso. Ma se tu osservandolo ti concentri al massimo e pensi molto intensamente: ‘diventa verde, diventa verde. Perché io voglio che tu lo diventi’, beh… Vedrai che alla fine lo diventerà”.
Annalisa fissa la luce rossa al di là della strada corrugando la fronte in segno di grande concentrazione. Il semaforo diventa verde.
“Cacchio, ha funzionato! Bella, la new age!”
“Hai visto? Attraversiamo, adesso”

“Senti, ma… Già da prima pensavo a una cosa che non capisco. Ti sembrerò insolente, per questa domanda. Se vuoi puoi benissimo rispondermi di farmi i fatti miei!!”, dice il ragazzo con un sorriso.
“Ormai che hai iniziato, dimmi”
“No, pensavo …ma che amiche hai? Vanno alla festa senza aspettarti?”
“Beh, devo ammettere che non hanno tutti i torti. Sarebbe il mio millesimo ritardo. Hanno detto che stavolta non volevano arrivare alla festa tardi per colpa mia”
“Ah, te la sei cercata!”, risponde lui prima di un breve silenzio, per poi riprendere: “Comunque sei fortunata, stasera. Ho il tempo di accompagnarti giusto perchè non risponde ancora nessuno al mio cellulare; ero d’accordo con un mio amico che gli telefonassi per incontrarci col gruppo in un posto che ancora non so, ma al suo cellulare non risponde nessuno, deve averlo scordato spento. Adesso devo aspettare che se ne accorga. E intanto posso portarti là”.
“Ma allora siamo sulla stessa barca!”
“Eh, sì”
“Non lo sapevo”.

Lui riprova ancora al suo telefonino. Niente.
Finalmente via dell’Arte! Ormai ai due basta girare l’angolo per trovarsi di fronte alla macchina di Vittorio.
L’angolo è stato girato.
“Beh, qual è la tua?”, chiede Annalisa guardando le vetture parcheggiate.
Il ragazzo assume un’aria incredula, rispondendo con un filo di voce: “Era qui. Non c’è più!”
“Ma te l’hanno rubata?”
“No, stavolta il carro attrezzi non ha perdonato. Lo vedi questo parcheggio? È condominiale, anche se non sembra”, e le indica il cartello di rimozione forzata, “tutti i sabati sera la metto qui. Quando mai il sabato sera arrivano i carri attrezzi?”
“Cazzo, proprio stasera!”, commenta lei con aria disperata, “e adesso sono ancora più lontana di prima! Ora è sicuro che non arrivo in tempo. Forse non avessi allungato la strada per venire con te alla tua macchina , a piedi facevo ancora in tempo…. Ma ormai sono quasi convinta che le mie amiche stiano già per uscire”
“Mi dispiace, davvero. Mi sento un pirla”, dice con un sorriso imbarazzato, “Ma provaci comunque, se cammini svelta forse le trovi ancora”
“See!!!…”
“Ma scusa, allora perchè non vai direttamente alla festa, lì non ci sarà nessuno che non ti aspetta”
“E che figura ci faccio? Tutte ci vanno o col proprio ragazzo o con le amiche e io mi presento da sola? Non posso certo andarci con te. Ah, proprio adesso mi sta venendo un’idea: chiamo dal tuo cellulare Tommaso, un mio amico. Non è del mio giro, figurati che non conosce nemmeno la Cinzia!!! Ma so che è presente anche lui, alla festa. Posso farmi venire a prendere qui da lui. Potevo pensarci prima!”.
Ancora un’ultima speranza è appellata all’abusato apparecchio del ragazzo.
Si rifugiano di nuovo al riparo dell’ acqua, il solito suono di tasti, e poi: “Pronto, Tommaso!… La sorella ? …. Ah, l’ha lasciato a te… No, è che ho un disagio per l’arrivo alla festa. Infatti… Va be’, grazie lo stesso”. Chiude il telefono, “era la sorella”
“Ma come, questo lascia il suo cellulare alla sorella?”, dice lui ridendo.
“A quanto pare. È proprio una serata sfigata”
“Già. Non si può nemmeno dire ‘manca solo che piova’”.

I silenzi fra i due diventano sempre più lunghi, e l’ossessivo tintinnio della pioggia diventa del tutto protagonista, rotto non più dalle loro voci ma ora solo ed esclusivamente dalla saltuaria ma perenne scia di rumore delle auto in corsa. Si ha la falsa sensazione che l’unico altro suono capace di spezzare l’egemonia dei due suddetti sia proprio quello dell’apparecchio di Vittorio, per l’ennesima volta in funzione; l’amico di lui è sempre irreperibile: “non da la linea. Mi fa incazzare”.
Ora sembra proprio che i due non abbiano più nulla da dirsi.
Stanno fermi per qualche istante guardando entrambi nella stessa direzione, ovvero un punto qualunque della strada buia di fronte a loro, mentre ai loro piedi l’acqua che scivola dai lontani tetti spioventi forma dei lunghi rivoli permettendo così al maltempo di entrare fin sotto il portico.
L’aria assorta di lei viene distolta dalla voce del ragazzo, che la invita ancora ad andare lo stesso alla sua festa: “Io non capisco quelle che ragionano come te; in fondo cosa c’è di male. Sii anticonformista, vacci da sola!”
“Ma io sono una grande conformista. E poi se mi vedono arrivare in ritardo da sola non dicono che sono un’anticonformista, ma una sfigata”
“Merda!… I miei amici sono migliori, non ragionano come i tuoi”
“Ma no, i miei fanno bene a pensarla così”.
Anche lui decide di fare il suo ultimo tentativo col suo amico, poi: “basta! Non riprovo più, se vuole mi chiama lui. Se no domani mi sente”.
Vittorio e Annalisa si guardano in faccia. E lui: “È andata così. Beh… Ciao, allora”
“Ciao”.
Ma poi lei, invece di andarsene: “senti, sono le 10 e 45 e sono da sola. Visto che non hai trovato il tuo amico… Se mi accompagni, anche se solo a piedi, fino alla mia zona, mi fai un favore. Devo attraversare strade malfamate da sola, visto che stasera non c’è nessuno che mi possa accompagnare. Sai,via Roncocesi… Mi faresti da scudo”.
Lui ci pensa su, ma per poco: “… Va bene, dai! Tanto ormai la serata è partita”.
S’incamminano. Ormai Annalisa mostra di non preoccuparsi più di tanto dei suoi capelli devastati dal maltempo e, forse anche stanca di correre, attraversa le strade con maggiore lentezza. Vittorio invece comincia a manifestare segni di insofferenza per il troppo freddo accumulato nella serata.

Stavolta si può proprio camminare senza fretta. Annalisa potrebbe anche fermarsi a guardare le vetrine, tutte le donne lo fanno. Ma lei stranamente no, neanche adesso che non c’è più alcuna fretta. Sarà un tipo diverso, pensa Vittorio.
All’improvviso il ragazzo vede, al di là della vastissima via principale, una sagoma familiare apparire e scomparire dietro le macchine sfreccianti. Si ferma con sguardo molto sorpreso per guardarlo meglio. Pur se in lontananza, non si può sbagliare su certe fattezze. Pare sia in compagnia di altri due ragazzi che non riesce però a inquadrare al meglio.
“Cosa c’è?”, chiede legittimamente Annalisa, ormai stanca e ansiosa di raggiungere casa sua nonostante non sia ancora tardi.
“Ma quello è Carlo, quello che ho cercato al telefono per tutta la sera. Adesso glielo dico”. Poi, dopo aver preso la rincorsa con il fiato: “Carlo!”, grida attraversando, “Cosa hai fatto al tuo cellulare, pppirla!!!”
Quello si volta e risponde: “Cosa vuoi, chi sei te!”.
“Ah, scusa. Ti avevo scambiato per un mio amico”, risponde non senza sforzo Vittorio.
L’altro, visibilmente contrariato per essersi preso gratuitamente del pirla, non sembra disposto ad accettare le sue scuse, e non senza buoni motivi: “Mi prendi per il culo? E allora come fai a sapere il mio nome?”
“È un caso, caro! Anche quello che conosco io si chiama così”
“E il mio cellulare rotto? Sei informato, sulle persone che non conosci!”.
Uno dei due amici del malcapitato funge da paciere sdrammatizzando con una battuta: “Dai, ha sicuramente sbagliato, chi darebbe del pirla ad uno di noi tre!”.
Placata la situazione, Vittorio riattraversa la strada per raggiungere Annalisa, che lo accoglie ridendo come una pazza: “Che figura”
La sensazione di volersi dissolvere e diventare un tutt’uno con la pioggia per poter sprofondare sottoterra più agevolmente via conduttura fognaria, era qualcosa che Vittorio non aveva ancora mai provato: “hai sentito anche tu?”.
Lei annuisce con la testa continuando a ridere, spiegando poi: “gridavate”.
“Va be’, va be’. Lasciamo perdere. Piuttosto, senti. Visto che è ancora presto, perchè non beviamo qualcosa in un pub? Poi ti accompagno fin sotto casa”.
Lei si volta a guardare il ragazzo stupita per questa sua uscita a sorpresa, e presa alla sprovvista risponde senza troppo entusiasmo: “boh… Va be’, dai. Quella risata mi ha leggermente rivitalizzata”

“Finalmente al caldo!”, esclama il ragazzo sotto le luci soffuse del rustico pub scelto a caso fra i primi due capitati a tiro.
“ …E all’asciutto”, puntualizza lei togliendosi i guanti e la cuffia prima di sedersi.
In attesa che qualcuno venga a portare i fogli per le ordinazioni, Vittorio solleva un fianco dallo scomodo sgabello per infilarsi una mano in tasca. Ma ciò che estrae non è, come forse pensa Annalisa, il solito apparecchio. Bensì un pacchetto e un accendino.
“Ah, così sei un fumatore!”
“Sì, perchè, ti sembra strano?”, chiede lui accendendo incurante che possa dare fastidio alla ragazza.
“Non hai la faccia da fumatore”
“Poi mi spieghi qual è la faccia da fumatore. Comunque io non lo faccio per vizio, come gli altri, ma per un preciso motivo: sono troppo magro, vorrei mettere qualche chilo in più. E il fumo fa ingrassare”
“Veramente fa dimagrire”
“Al contrario: si dice che quando si smette si ingrassa, e io ho deciso di smettere. Ma come si può smettere se non si comincia??”
“Non fa una grinza…”.
Appena arrivano le carte, Annalisa controlla in fretta cosa c’è in lista e subito ordina: “due pina coladas”
“E tu?”, chiede a Vittorio il cameriere.
“Per lui una delle due pina coladas che ho detto io, ovviamente. Cosa vuoi, che me le beva entrambe io?”, risponde per lui la ragazza.
“Oh, grazie!! E se volevo qualcos’altro?”, le chiede Vittorio leggermente contrariato, dopo il ritorno in cucina del cameriere.
“Ma perchè, tu volevi qualcos’altro?”
“No”
“Allora ringraziami. Lo vedi che indovino tutto, io?”.
Iniziano a sorseggiare le bevande giunte tempestivamente davanti a loro.
“Certo che più sfigato di così non ci poteva capitare, questo sabato”, commenta lei come se non l’avesse già fatto.
“Eh, cosa vuoi… Ormai, come dicono i francesi: le gé son fè”
“Guarda tutti questi ragazzi ai tavoli intorno a noi. Mai visti prima, non sappiamo niente di loro, né loro di noi. Chissà cosa si dicono, non si capisce neanche questo. È come nel fast food o in qualunque altro posto: ora sono qui e poi magari non li vediamo più per tutta la vita. A due centimetri da loro per un’oretta e poi… Dispersi nel cosmo”
“Che vena malinconica, Annalisa!”
“È vero, scusami. Mi rendo conto che oltretutto non sono considerazioni molto originali, ma cose dette e ridette, nei libri e nei film. Cose che pensano tutti”
“… Sì, però sempre tutti tranne quelli che ti trovi intorno nel momento in cui a pensarlo sei tu ,ci hai fatto caso? Ti sembra forse che stia pensando alla stessa cosa, tutta questa gente?”
“Sai che hai ragione? Quando ci pensi tu, hai l’impressione che gli sconosciuti intorno a te parlino solo di basket… Magari, però, quel pensiero ce l’hanno ogni volta quando noi ce ne siamo appena andati”
“Ma sì… Può darsi. Pensiamola così…”

Il numero di bicchieri sul tavolo dei ragazzi raddoppia, così come la loro voglia di andare a ruota libera. Soprattutto da parte di Annalisa, la cui voce aumenta sempre più di tono: “Non farci caso, spesso quando bevo dico cose risapute credendo di esprimere pensieri nuovi e profondi”
“E allora? Diciamole pure liberamente, le cose risapute, se le condividiamo! Vorrei sapere chi ha stabilito che ci si debba vergognare di dire una cosa che si pensa solo perchè qualcuno l’ha già inflazionata prima. Se ti viene in mente una cosa, è giusto che la tiri fuori. La spontaneità non dovrebbe mai essere filtrata da nessun ragionamento, né tantomeno da ridicole forme di autocensura”.
“Beh… Sottoscrivo in pieno”, risponde lei.
Segue un silenzio di oltre un minuto tra i due. Annalisa si guarda intorno finendo la sua bevanda, mentre Vittorio continua a fumare la sua sigaretta con aria assente.
Ma la ragazza non vuole fare durare oltre questa pausa, e ricomincia a parlare. Questa volta senza freni, come se l’attesa di prima non fosse stata altro che una ricarica al suo motore. Ormai non segue più un filo logico, ma in compenso sembra che si stia divertendo molto nell’ascoltarsi, convinta anche che il suo interlocutore la segua ancora con interesse.
Parla con gli occhi socchiusi ma fissi e lucidi e con la testa leggermente chinata a destra, mentre passa disinvoltamente dal tema delle sue presunte particolari capacità intuitive a quello delle risse allo stadio nello spazio di centoventi secondi.
“Complimenti! È un discorso molto intelligente”, commenta Vittorio.
“Grazie”, risponde lei non capendo lo sfottò del ragazzo, “sei tu a ispirarmi certe considerazioni!”
“Ah sì?”. Vittorio non si sente molto orgoglioso di questo complimento.
“Sì, perchè tu sei intelligente quanto me, e mi fai sentire in vena di filosofeggiare”.
“Lo sai, Annalisa, io ti devo ringraziare. Perché questa sera mi hai fatto scoprire una cosa nuova che non sospettavo: la filosofia e’ contenuta nella pina colada”.
Annalisa scoppia a ridere vigorosamente, spingendo così a una vistosa ilarità anche il sempre meno compassato ragazzo.
Di colpo lei si alza dallo sgabello e tende un braccio in direzione dell’attaccapanni al di sopra della testa di Vittorio, che le chiede stupito: “Cosa fai ?”.
La ragazza non risponde, solleva in parte un soprabito per trovare dietro di esso il giubbotto di lui e infilare così una mano nelle sue tasche.
“Ma cosa cerchi, nelle mie tasche, il cellulare?”
“Sì. Bisogna farla pagare, a quelli che stasera ci hanno lasciati ‘a terra’!”
“Ma no, cosa vuoi fare… ! E poi non è colpa di nessuno, l’hai detto anche tu… ”.
Il dito di Annalisa preme tre soli tasti dell’ apparecchio: “ … Pronto, 113? Voglio denunciare la scomparsa di mia sorella Cinzia Morella… ”
“Ma no, sei scema?”, cerca di interromperla Vittorio allungandosi nel tentativo di sfilarle il telefono di mano.
“Lasciami parlare! …Sì, non si fa più vedere né sentire da cinque giorni. Abitiamo in via Tuscolo 3a; adesso gliela descrivo …”.
Il ragazzo riesce finalmente a strapparle il cellulare di mano e lo porta subito al suo orecchio.
Annalisa si torce dalle risate, dicendogli con voce rotta dall’ilarità: “Ma non hai visto che era spento, quando ho fatto il numero? Non sono mica così deficiente da fare sul serio una cosa del genere”.
“Pronto, 113?”, finge ora lui, “venite a prendere una pazza al pub ‘Rockambulesque’ di via Mazzini”
“Ma dai, era tanto per scherzare. Sei un permaloso!”, dice lei prima di cambiare discorso: “Senti, però ora mi servirebbe sul serio, un telefono. Quando sono uscita mia sorella minore stava male, e voglio sapere come sta adesso. Certo stavolta potrei usare quello del locale, ma… mi diverto di più coi cellulari, io”.
Vittorio vorrebbe proprio dirle che sta esagerando, ma si autocensura e le porge il suo apparecchio con aria di sufficienza: “Tieni ,divertiti”
“Grazie… pronto? Ciao, cercavo te. Volevo sapere come stai adesso. Ah, sono contenta … Ma certo che sto bene anch’io … Ah, ho una voce strana? Comunque sto bene anch’io, sì. Ciao”.
Passa il tempo. Dopo avere tanto scherzato, Annalisa comincia a recuperare una parte della sua vena malinconica: “Ora voglio farti una domanda: cosa farai nella tua vita futura?”
“Non lo so, mi piacerebbe fare il giornalista… Ma so già che mi accontenterò di qualcos’altro. Perché questa domanda?”
“Così. Ci siamo conosciuti e abbiamo passato una serata assieme. Quindi ho pensato che fosse giusto dire qualcosa in più di noi stessi, tanto per aprirci un tantino anche sul personale. Beh, anche se tu non me l’hai chiesto, te lo dico lo stesso, cosa voglio fare io: la maestra elementare”
“E’ una cosa che dovrebbe fare solo chi ha un buon carattere. E tu ce l’hai, un buon carattere, si vede subito. Credo che sarai una brava maestra. Ma adesso andiamocene, che ti devo ‘scortare’ fino a casa”.
“Va bene”.
Vittorio si alza per primo dalla sedia e precede Annalisa nel pagare alla cassa. Lei si prepara a ricoprirsi bene prima di affrontare nuovamente l’aggressivo freddo esterno.

Usciti a testa bassa per sopportare meglio lo sbalzo di temperatura, i ragazzi non trovano minimamente diminuita la pioggia che avevano sopportato fino a poco più di un’ ora prima. In compenso il freddo sembra aumentato ancora, ma forse è solo un’impressione. I pochi gruppetti di persone in giro a piedi passano vicino a loro con la vitalità di fantasmi in pieno giorno.
Nessuno aspetterebbe mai fermo per venti minuti l’arrivo di un autobus in una serata come questa, nemmeno se avesse un ombrello. Così né a Vittorio né ad Annalisa viene in mente di proporre la cosa benché via Roncocesi non sia affatto dietro l’angolo.
Da quando sono usciti dal locale non si sono più scambiati una parola, chiedendosi forse entrambi a cosa stia pensando l’altro in quel silenzio.
Sola fortuna in tanto disagio, le strade semibuie che portano alla zona di Annalisa sono interamente coperte dai portici, o meglio da un unico lungo portico spezzato solo ogni tanto da qualche breve tratto da attraversare. Il ragazzo dimostra di avere imparato ad aspettare il segnale del semaforo, anche se solo per assecondare Annalisa.
Davanti e dietro di loro nessuno, mentre alla loro sinistra si intravedono nella penombra solo i poco artistici graffiti sulle serrande abbassate dei negozi. Unici elementi a testimoniare la vita intorno rimangono le solite macchine che passano, sempre più rade, alla loro destra.
Via Roncocesi è iniziata da un pezzo, ma il numero 112b della ragazza ancora è un miraggio. D’improvviso cominciano ad apparire fugaci intorno a loro alcune sagome che sembrano esaminarli con lo sguardo pur avendo i volti parzialmente coperti dall’ombra.
Altri venti minuti a passo svelto e si trovano davanti ai due portoni del 112: uno vasto e dall’ aspetto ordinato, l’altro stretto e con i nomi dei campanelli scritti a penna. Annalisa si ferma davanti al secondo.
“Finalmente”, commenta lui, “adesso capisco perché non hai voluto prendere un taxi. Per arrivare fin qui avresti dovuto spendere trentamila lire, quasi come per andare in via Turati”
“ .. E io stasera, dopo la birra al fast food, ero rimasta giusto con le ventimila che ho speso al pub. Mai uscire con pochi soldi solo perchè si deve andare a una festa! … Beh, Vittorio, io ti ringrazio tantissimo. Non avrei mai pensato che una persona sconosciuta fino a poche ore fa sarebbe stata tanto gentile!”
“Niente, niente. Ciao”
“Ciao”.
Vittorio non le chiede né il numero di telefono né il cognome. Non vuole far credere di essere uno che ci prova, perchè Annalisa proprio non gli interessa come ragazza. E poi, chissà per quale motivo, pensa che tanto non significherebbe la nascita di un’amicizia.
Lei accende la luce all’interno del portone e chiude.
Lui si volta e si incammina per ripercorrere in senso contrario la stessa strada.
Per la fretta di tornare a casa Annalisa ha sostenuto un passo svelto a cui Vittorio ha dovuto star dietro, quasi come quando dovevano raggiungere la macchina.
Ma quest’ultima ‘marcia’ è servita, se non altro, a fargli sciogliere addosso buona parte del freddo accumulato, dandogli la falsa impressione che il termometro abbia subito qualche lieve variazione.
Dopo pochi passi si rende conto di non essere poi così stanco come sarebbe naturale e di non avere ancora la minima voglia di tornare a casa nonostante la pioggia battente non accenni a diminuire.
Tornato in pieno centro, si sente finalmente libero di potere attraversare le strade da ‘pirata’ senza essere rimproverato. Dopo averlo fatto un paio di volte, arresta il suo passo e si ferma con aria pensierosa sotto le gocce torrenziali.
All’improvviso si sente spinto da un’incomprensibile curiosità: decide di andare in via Turati 4, il luogo della festa perduta di Annalisa! Che, vista l’ora, di sicuro sarebbe ancora durata per molto tempo. Sa di poter fare in tempo ad arrivarci prima che finisca benché non sia motorizzato e la meta non si trovi affatto dietro l’angolo. Ormai può continuare a camminare anche tutta la notte, se vuole: conoscendosi, sa bene che la stanchezza la sentirà tutta insieme il giorno successivo.
Sua intenzione è fare uno scherzo simpatico che in fin dei conti non è nemmeno uno scherzo. Semplicemente vuole prendersi una libertà, una libertà insensata ma non offensiva. E poi perchè non farlo, visto che non vedrà mai più quella ragazza?
Si rimette in marcia. Pensa che a passo veloce dovrebbe essere lì entro poco più di venti minuti.
Passo dopo passo ,finalmente si trova davanti al 4 di via turati ,che consiste in una villa a due piani con un solo campanello al citofono. Ci ha messo diciassette minuti esatti, praticamente un record, data la distanza.
Suona per prendersi la sua innocente libertà.
“ … Chi è?”, risponde dopo qualche istante una non giovanissima voce femminile.
“Sì? Volevo solo avvertirvi che Annalisa non è venuta alla vostra festa perché un suo amico l’ha fatta ritardare troppo! Non prendetevela ancora con lei, domani!”
“Annalisa?”, risponde ancora la voce al citofono, così assonnata da non riuscire nemmeno a parlare con chiarezza, “non conosciamo nessuna Annalisa, qui”
“Come sarebbe? Non c’è qualcuno che sta dando una festa, lì? O è finita?”
“No, no… Qui non c’è e non c’è’ stata nessuna festa. Buonanotte”, taglia corto la voce infastidita prima di mettere giù.
Vittorio rimane di sasso.
Eppure è sicuro di averlo capito bene, l’indirizzo…

Salita in casa, Annalisa si toglie il giaccone che puzza ancora leggermente di birra, e si accorge che in una tasca di esso c’è un oggetto in più. È il cellulare di Vittorio. Si sorprende molto per questo, stenta veramente a capire come ciò possa essere successo. Tenendo l’apparecchio in mano si siede sul letto cercando di capire.
Ora crede di cominciare a ricordarsi: l’aveva preso in mano lei nel pub per fare l’asina, ma poi, brilla com’era, se l’è intascato. Anzi no, l’aveva appoggiato sul tavolo dopo averlo usato… Poi Vittorio si è alzato per andare per primo alla cassa, scordandosi di riprenderselo. Sì, è così! Mentre lui pagava, Annalisa se n’è accorta e l’ha intascato per poi ridarglielo, ma evidentemente non era sufficientemente sobria per ricordarsi di farlo. E lui ancor meno di lei, visto che non ha sentito nessun vuoto sospetto nel giaccone!
Annalisa si spaventa, nel sentire di colpo squillare l’oggetto dei suoi pensieri.
È probabile sia quell’amico di Vittorio che si era reso irreperibile per tutta la sera.
Non sa se rispondere o meno. Alla fine vince, come sempre, la curiosità: “Pronto”
Chi si trova dall’altro capo rimane comprensibilmente spiazzato, ed esita prima di domandare: “non è il cellulare di Vittorio Bosco?”.
“ … Msì, penso di sì”, risponde Annalisa alla donna dalla voce matura con cui parla.

“Come ‘penso’?”
“Sì, sì, è questo”; la ragazza capisce che il non conoscere il cognome di Vittorio non è motivo sufficiente a dubitare, e continua: “penso che stia tornando a casa. Il cellulare è rimasto a me per sbaglio, me l’aveva prestato, e … Ma è lunga da spiegare. Ad ogni modo domani può venire qui a riprenderselo, sa dove abito”
“Ma… È successo qualcosa di strano?”
“Sì, non è riuscito a mettersi in contatto con l’amico con cui era d’accordo, così la serata gli è saltata”
“Ma che amico era?”
“Ma non lo conosco, io. Ma mi sembra si chiami Carlo”
“Carlo??? Senta, io non la conosco. Ma Vittorio lo conosco bene, visto che sono sua madre. E conosco bene anche il suo mondo, anzi il suo ‘non-mondo’. La sera non vede mai nessuno, e se avesse un amico, Carlo o non Carlo, lo saprei. Stasera, quando sono tornata in casa, non l’ho trovato. Non succede mai, davvero non so dove possa essere andato!… Ma scusi, lei chi è?”
“Mi chiamo Annalisa. Ho conosciuto suo figlio per caso in un fast food. Mi aveva offerto un passaggio in macchina per una festa”
“Macchina?”; la donna scoppia a ridere, e continua: “mi scusi se rido, ma mio figlio non ha nemmeno la patente”.
Annalisa è senza parole.

Sono passate dieci ore circa, e con loro anche la parte fiocamente luminosa di un’ennesima giornata dominata dal maltempo e dal freddo.
Il tardo pomeriggio è il momento più adatto per trovare le persone in casa. Vittorio sta per entrare nel portone del numero 112b di via Roncocesi. Non conoscendo il cognome di Annalisa, ha dovuto suonare a quasi tutti i campanelli, prima di individuarla e farsi da lei aprire.
Arrivato al terzo piano, trova la ragazza davanti alla porta di casa che gli tende l’apparecchio. Non si salutano.
Lui: “Solo perchè si è molto giovani bisogna vergognarsi di non avere un gruppo il sabato, o di non frequentare amici? Perché nascondiamo sempre la nostra solitudine? Ma chi ce l’ha insegnato! Non c’è niente di meglio”
“Credo che io e te siamo già diventati amici e non lo sappiamo”
‘ Vivo nell’Eden / asfalto morbido, tenere pietre … ’, alla radio del fast food la strana nuova canzone è ormai alle sue ultime strofe.
Ma il pensiero è sempre più veloce delle parole, e lui vede ‘Annalisa’ sbadigliare e uscire dal fast food da sola. Molto sola.
E senza la minima fretta.

Giovanni Modica


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