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Laboratorio di narrativa: nuovo racconto

Creato il 01 giugno 2011 da Patrizia Poli @tartina

 

“Cuore di mamma” di Liliana Tuozzo sta tutto in un gesto secco: l’abbandono e il suo contrario, il pentimento.

“Non bastava pensarlo, per poter morire, anzi, lei stava generando un’altra vita.”

La vita si genera anche contro volontà, nella madre gatta come in quella umana, ma l’animale ha un istinto inderogabile che non dà scelta, mentre la donna deve fare i conti con ragione e sentimento.

Se la giovane Jole, spaventata da un ruolo più grande di lei, appare come la protagonista, ciò che resta nel cuore del lettore non è tanto il suo tremore, il suo ventre gonfio, o il suo rantolo di dolore mentre affronta con disperazione un travaglio solitario, quanto piuttosto il filo amoroso che lega madre e figli; ed è  una tenera mamma-gatta, il leccare dolce i piccoli esseri indifesi nati dal suo corpo, che ci dà il senso di un sentimento che va anche oltre le emozioni. Ci sembra di vederli, i micini neonati,  li immaginiamo i batuffoli pelosi, accuditi e protetti nella loro cesta di paglia, con le piccole bocche spalancate e gli occhi ancora chiusi.

Il bambino strilla, i gattini miagolano, i suoni perforano le orecchie, straziano, accendono rimorsi.  I gesti della micia sono più naturalmente “umani” di quelli di chi lascia un neonato indifeso per strada. E ci viene voglia di ringraziarla quella madre tenerissima, perché ancora una volta dal mondo animale ci viene una lezione d’amore.

 

Patrizia Poli e Ida Verrei

 

   CUORE DI MAMMA

 

La ragazza era sola in casa quel giorno. Studiava in città e tornava al paese solo di rado. L’ultima volta era stato a Natale; con maglioni larghi e giacche pesanti aveva nascosto il ventre che si andava gonfiando sempre più.

Quando il suo lui aveva saputo che aspettava un bambino si era messo a ridere e non si era fatto più vedere.

Lei non aveva avuto il coraggio di abortire.

E adesso era tornata a casa, al suo paese.

- Basterà che mi vedano- aveva pensato.

Ma a casa non aveva trovato nessuno; i suoi erano assenti: chi per lavoro, chi per studio.

La prima fitta era arrivata all’improvviso, mentre era sul divano, allora si era stesa sul letto.

Mordeva il cuscino ogni volta che il dolore delle doglie si ripresentava.

-Ecco ora muoio. Così, finisce tutto -.

Ma tutto procedeva normalmente, non bastava pensarlo, per poter morire, anzi, lei stava generando un’altra vita.

Con un ultimo sforzo, soffocando le grida per il dolore lacerante che provava, diede alla luce un bambino. Un maschio.

Aveva partorito da sola, nella sua casa, di nascosto da tutti.

Confusa, impaurita, terrorizzata da quello che sarebbe successo dopo, decise di abbandonare il suo bambino.

Nessuno sapeva, nessuno avrebbe sospettato.

Era stremata, ma trovò la forza di lavarlo. Era così piccolo che aveva paura persino di toccarlo. Lo vestì con le mani tremolanti; infilandogli i panni che aveva preparato.

Il bimbo piangeva, anche lei piangeva. Lo avvolse in uno scialle e lo depose in una scatola. Poi uscì in strada.

Lasciò il suo fardello ad un angolo della via e lesta e dolorante ritornò verso casa.

Con le mani si copriva le orecchie per non sentire i vagiti del suo bambino che le straziava l’anima.

Stava per rientrare, quando una vicina la chiamò:

“ Vieni Jole, vieni a vedere ”.

Una gatta stava per terra, distesa su una coperta, circondata dai suoi gattini appena nati che miagolavano a perdifiato.

Li leccava ad uno ad uno, poi li afferrava per la collottola e li riponeva in un cesto, preparato in precedenza dalla sua padrona.

Jole non fiatava, era diventata pallida.

Quei miagolii le rimbombavano nella testa ogni attimo, fino a diventare insopportabili.

Il suo bambino era lì nella strada, solo.

 Buttato via come uno straccio inutile. Come aveva potuto?

-Forse sono ancora in tempo- pensò.

Con un’energia che non sapeva di possedere, ritornò sui suoi passi.

Corse verso l’angolo di strada, dove aveva lasciato la sua creatura.

La scatola era lì, intatta. L’aprì con frenesia.

Presto, doveva fare presto. Ogni istante, lontano da lui, era un attimo di vita sciupato.

Il piccino piangeva disperato, lo prese in braccio e se lo strinse al petto.

Avvertendo il calore della madre e sentendo la sua voce tenera e piena d’amore che lo chiamava, il bimbo s’acquietò.

La vicina la vide arrivare col neonato avvolto nello scialle.

Jole piangeva a dirotto. Non ebbe bisogno di parole per capire.

“ Vieni, ti porto in ospedale ”disse.

 

 Liliana Tuozzo


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