In “Di queste notti insonni” Pia Deidda ricostruisce in modo magistrale un ambiente arcano e rurale. Una piccola, minuscola, donna è la protagonista di questo racconto delicato, incentrato su un “femminile” d’altri tempi e altri luoghi, ma ancora vivo nella memoria di società patriarcali.
In una camera, in uno spazio notturno illuminato solo dalla luce fioca di un lume a olio e dal rosseggiare delle carbonelle di un braciere, si consuma un’esistenza grama, un’inconsapevole rassegnazione, simbolo di un’antica rinuncia al riscatto. Nastassia e Bartulu, una donna e un uomo: lui, solo una massa umidiccia e maleodorante sotto la trapunta, sui tre materassi del letto a baldacchino… un russare, un gorgoglio, uno sbuffo, un grosso naso rosso solcato da capillari… Lei, quasi evanescente, con i piccoli piedi freddi, raggomitolata tra la preziosa biancheria profumata di lavanda, unica consolazione in quel suo povero mondo fatto di coercizione e di dominio. Ed un pensiero… quasi un ambito sogno, in quel presente oscuro e senza prospettive: la morte come soluzione, come cambiamento. Ma è solo una fugace idea, un balenio nella mente… “Per tutto c’è tempo”.
Il lettore sente il freddo dello stanzone, delle lenzuola ghiacce, dei piedi illividiti, la ruvidezza della camicia da notte, l’umidità delle calzette di lana appese ad asciugare.
Al centro del racconto, troneggia la descrizione del letto a baldacchino, “alto e regale”, simbolo di un amore gelido e mancato, di “incolori e ghiacce notti”. La protagonista, tuttavia, lo riveste di “pizzo e frangette a pippiolini”, di ricami e racemi, seguendo il volo della sua fantasia, della sua arte, della sua vitalità tarpata.
Il braciere, che compare all’inizio del racconto, torna nella chiusa, a completare un cerchio che tiene in sé tutta la vita della protagonista, fino a un desiderio di morte che non è neanche un vero impulso a farla finita, ma è solo un’assenza di azione, di slancio, è un vuoto totale per il quale, ahimè, c’è sempre “tempo”.
Il linguaggio mescola parole semplici, ripetute a rafforzare la concretezza di oggetti comuni, come il legno, la tela, la brace, ad altre più desuete e scelte.
Patrizia Poli e Ida Verrei
Per leggere il racconto
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