Una storia piacevole e non banale tutta incentrata sul rapporto autore personaggio e sul significato metanarrativo di creazione, un dialogo lieve e surreale. Quasi una sfida, un gioco di reciproche provocazioni. Wania Viola riesce con pochi tocchi a creare ambientazione, atmosfera, trama e carattere in modo non convenzionale, grazie all’interazione diretta del personaggio con l’autore.
Si parte con la descrizione del tempo atmosferico, il classico “era una notte buia e tempestosa”, ma qui la situazione è rivisitata in chiave ironica e torna nel finale circolare. Si procede poi col tentativo di descrizione fisica, con ciò che sta a monte della storia, con possibili sviluppi della trama. Poi ci si arresta, dubbiosi.
Potrebbe apparire il solito blocco dello scrittore che si trova solo con le creature della sua fantasia, ma non è così. È in realtà il momento magico e sofferto della creazione, quando il personaggio assume un’identità, si materializza, prende il sopravvento sull’autore e lo incalza a proseguire, a definire, ad adattare la finzione letteraria alla realtà, lo sollecita a scrutare nel verosimile, a colmare lacune e vuoti, a cercare soluzioni alternative. E, in un pirandelliano gioco delle parti, riesce a prevalere; a mettere in crisi il suo autore, a porlo di fronte ai suoi limiti: “ammettilo… non sai come andare avanti… So che non puoi fare a meno di raccontare di te. Ed io finirò per assomigliarti, in un modo o in un altro…”
L’Autore, qui, più che demiurgo e onnipotente, sembra indeciso, perplesso, quasi ostaggio della sua ancora indefinita creatura, ma il potere è sempre suo. Se il personaggio gli diventa estraneo, nemico, ostile, può distruggerlo, eliminarlo, sostituirlo: “Basta… cambio personaggio, cambio storia, cambio mestiere, magari, ma non voglio avere più niente a che fare con te…” E si riappropria della propria autonomia creativa, dando vita a nuovi personaggi con cui lottare, confrontarsi, misurarsi.
Il racconto, originale, gustoso, scritto col ritmo giusto e con brio, soccombe tuttavia al classico errore, quello cioè, di concludere la storia troppo in fretta, di non svilupparla e non trarne un significato, “una morale”, se non quella di mostrare, in fieri, il travaglio stesso di chi scrive.
Patrizia Poli e Ida Verrei
La creazione
Autore: Non riesco ancora a definire il tuo carattere. Sei sfuggente.
Personaggio: In verità questo è un problema tuo. Forse non sei capace di definire caratteri.
A: Non voglio darti ascolto. Oggi è una bella giornata e non intendo accogliere le tue provocazioni. Dunque, vediamo. Sei in crisi con Claudio. Se tu fossi generosa, non staresti tanto a sottilizzare sul suo comportamento. Probabilmente gli avresti già perdonato la scappatella. E poi faresti bene a pensare alle tue di scappatelle.
P: Allora, secondo te, dovrei accettare di vivere con Claudio e di lasciar perdere ogni chiarimento.
A: Ecco, ci sono, potreste andare per qualche giorno nella casa di campagna. In mezzo al verde ti sentiresti più rilassata, diventeresti più ottimista e tutto si aggiusterebbe. Mi pare credibile.
P: E da dove esce questa casa di campagna? Io non possiedo case in campagna. Neppure case, se è per questo.
A: Hai ragione. Infatti non l’ho ancora scritto. I tuoi genitori hanno una casa in campagna e a te piace molto. Già, dovrò dedicare un capitolo apposta all’argomento. Mi pare importante dare un po’ di spazio alla tua famiglia.
P: Ma io non conosco la mia famiglia. Sono affezionata ai miei genitori? Questo non l’hai ancora precisato.
A: Tempo al tempo, mia cara, tempo al tempo. Oggi sei uscita di casa presto. Sei graziosa con il vestitino a righe e i capelli raccolti. Ti dona anche quel filo di trucco sulle palpebre. C’è il sole e tu sei sorridente, quasi radiosa.
P: Perché?
A: Perché!? Un momento, devo ancora pensarci. Mi stai mettendo fretta ed io odio la fretta. Ecco, ci sono: sei radiosa perché vai a trovare Claudio. Sono diversi giorni che non lo vedi per via della vostra lite e lui ti ha invitato a fare colazione insieme prima di andare al lavoro. A proposito, che lavoro potresti fare?
P: A me piacerebbe essere una giornalista.
A: Una giornalista. Potrei, ma non sono molto al corrente della vita dei giornalisti e non vorrei scrivere delle sciocchezze.
P: Pensi al lettore?
A: Certo. Uno scrittore scrive sempre perché qualcuno lo legga, altrimenti scrivere è un mestiere troppo solitario.
P: Non so, non me ne intendo. Allora, che lavoro vuoi che faccia?
A: Potrei darti meno anni, che so, diciannove o venti e dire che sei una studentessa, magari della facoltà di giornalismo.
P: Ma dai, non mi va di fare la studentessa. Potrei invece essere una hostess. Mi piace viaggiare. Claudio potrei averlo incontrato sul lavoro, potrebbe essere un pilota.
A: Che banalità! Sembra uno di quei romanzetti rosa che si vendono nelle edicole. Invece fai praticantato presso uno studio notarile. E Claudio potrebbe essere, che so, il figlio del notaio, o un altro praticante dello studio, o il tuo vicino di casa. Vedremo. Potrebbe essere anche un tuo vecchio compagno di scuola che non hai mai perso di vista. Insomma, ci penserò. E poi non è detto che si debba dire tutto di tutti.
P: Certo che anche tu non sei così originale. In ogni caso mi sento indefinita, incompleta. Anche il tuo famoso lettore potrebbe sentirsi disorientato nel leggere una storia priva di riferimenti precisi. Hai detto che esco e sono raggiante. Sono snella, alta, scattante; ho una massa fluente di capelli rossi che ondeggia ad ogni passo. Gli uomini si voltano. Leggo ammirazione e desiderio nei loro sguardi e mi sento lusingata. A proposito, prendo la macchina o i mezzi pubblici? Non so niente sui miei redditi. So che mi piacciono gli abiti costosi, i gioielli e le auto sportive, dunque devo dedurre che sto bene dal punto di vista finanziario. Non so ancora se mi piace ballare e se frequento le discoteche. Claudio potrei averlo incontrato lì.
A: E va bene, ci sono infinite varianti, un caleidoscopio di situazioni. Ma torniamo a te. Allora, sei per strada in una giornata di sole.
P: Ammettilo, non sai che cosa raccontare. Non sai come andare avanti. Certo, potresti prendere spunto dalla tua vita, ma è così piatta e scialba! Tuttavia so che lo farai. So che non puoi fare a meno di raccontare di te. Ed io finirò per assomigliarti, in un modo o in un altro. Che peccato! Potresti inventare le storie più affascinanti del mondo, potresti tenere il lettore ancorato alle tue parole, col fiato sospeso e la paura di perderne qualcuna. Potresti scrivere un giallo, per esempio. Io sarei l’eroina, la donna che induce il suo uomo all’omicidio, perché sono senza cuore, avida, immorale, arrivista. Una storia dei bassifondi, oppure una storia di sesso e droga. Un dramma della solitudine, anche. Sono sola, seduta sulla mia bergère nella camera da letto. Ho un libro in grembo, ma non ho voglia di leggere. Guardo assorta fuori della finestra il parco immenso, il prato ben curato. Ho una casa grande, troppo per me sola.
A: E perché saresti sola?
P: Perché! Ce ne sono migliaia di perché. La mia famiglia è stata sterminata dagli antiparassitari che ho mescolato alla minestra. Sono un mostro deforme e tutti mi evitano. Ho vissuto tutta la mia vita in un monastero tibetano e adesso continuo la meditazione a casa mia. Perché …
A: Basta, chiacchieri troppo, mi confondi, intorbidi le acque. Non avrei dovuto crearti. Ti volevo diversa, ma non riesco a farti venire fuori come voglio. Quasi quasi cambio personaggio, cambio storia, cambio mestiere, magari, ma non voglio avere più niente a che fare con te. Questa volta penserò a un personaggio maschile. Dunque, vediamo. Oggi è una bella giornata
Wania Viola