Lovecraft non sarebbe Lovecraft se non avesse saputo genialmente reinterpretare - addirittura riscrivere - la storia dell’uomo piegandola alle necessità della propria concezione filosofica.
Il sognatore di Providence è fautore di una personale Scienza, parallela a quella ufficiale, seppure, in prima analisi, radicata in quest’ultima. Egli crea una propria antropologia, una propria archeologia, una propria storiografia a cui assegna il compito di esplorare le pieghe nascoste della realtà che le scienze “ufficiali” lasciano nell’ombra dell’inspiegabile e dell’ “inconcepibile” (per usare un termine caro ad Arthur Machen, maestro del terrore che si annida nel mito e idolo di Lovecraft). L’immaginaria Miskatonic University di Arkham (una delle poche al mondo a conservare una copia dell’abietto Necronomicon) è proprio il simbolo del bisogno di una scienza rinnovata che sappia accogliere la plausibilità di quegli elementi soprannaturali necessari alla scoperta dell’orrore cosmico, il quale, altrimenti, continuerebbe a giacere obliato e incognito nella parte più profonda delle cose. La sommersa città-sepolcro di R’lyeh, dove il morto Cthulhu attende sognando, è la metafora di queste forze arcane che ribollono sotto il pelo della “luminosa superficie delle cose”, per parafrasare E.T.A. Hoffmann, il primo a stabilire che dietro l’apparenza rassicurante dei fenomeni quotidiani si nascondono frammenti del prodigioso e dell’incomprensibile (anche se Hoffmann conferisce al poeta-veggente il potere dell’intuizione e fruizione del soprannaturale, e non allo scienziato. Chi ha letto “L’uomo della sabbia” o “La casa disabitata” sa di cosa parlo).
Quando lo scienziato si libera dei propri preconcetti accademici e intraprende, senza gli occhiali del pregiudizio (gli Occhiali di poeiana memoria), un’indagine approfondita del reale, scopre che la storia, rispetto a come tramandata dalle fonti classiche e dalla mitologia, è affatto divergente. Lovecraft prende nelle sue mani l’amato mondo classico (talvolta poeticamente trasfigurato: vedi L’albero, in cui vengono tratteggiate le delicate figure degli scultori del monte Menalo, Kalos e Musides) e lo reinterpreta in chiave cosmica. Il racconto I ratti nei muri è il capolavoro assoluto della reinterpretazione della mitologia classica in chiave cosmica. In questo celebre racconto, gli studiosi capeggiati dal proprietario della tenuta di Exham Priory, Walter Delapore, scoprono, nei sotterranei della casa, un antico altare fra rovine di epoca romana. Le epigrafi rivelano che in quel luogo, secoli addietro, sorgeva un tempio dedicato ad Ati (o Atthis), lo sposo eunuco della dea Cibele, il cui culto sanguinario era stato importato dalla Frigia nel III secolo a.C. Non bastasse, sotto l’altare gli esploratori scoprono l’esistenza di un ulteriore passaggio, che conduce ad una enorme caverna. In essa rinvengono degli edifici di epoche diverse: alcuni tumuli dell’età della pietra, un cerchio di monoliti dell’età del bronzo, un edificio romano, uno sassone e un edificio inglese di epoca relativamente recente. Tutto intorno, per metri e metri, giacciono innumerevoli ossa di creature semi-umane spolpate e divorate. Si scopre infine che, senza soluzione di continuità, dalla preistoria fino al XVII secolo, gli occupanti di quel luogo avevano praticato sacrifici umani e cannibalismo, sotto l’influsso di ciò che nelle parti più profonde della caverna si celava, e cioè il dio Nyarlathotep, il celebre Caos Strisciante, il Dio Esterno del pantheon lovecraftiano il cui piacere è condurre alla follia gli esseri umani. Si intuisce dal racconto che Atthis non sarebbe stato altro che uno dei nomi con cui, nel corso della storia, Nyarlathotep era stato adorato.
Come si vede, l’orrore si cela nella storia e nel mito ufficiale e si manifesta a coloro che abbiano il coraggio (e la sfortuna) di scavare nel profondo.