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Labyrinth (1986): Recensione

Creato il 06 gennaio 2014 da Mcnab75

Labyrinth poster

Labyrinth
Gran Bretagna/USA 1986
di Jim Henson

Sinossi

Sarah è davvero stanca dei pianti del fratellino Toby e invoca Jareth, il malvagio re degli gnomi, pregandolo di portare via il bambino. E Toby scompare sul serio. Sarah, spaventata e pentita, decide di andarselo a riprendere affrontando insoliti, pericolosi e difficili ostacoli di ogni genere per ritrovarlo presso Jareth, al di là della città di Goblin. Alla fine Sarah si risveglia e vede Toby che dorme beato nella sua culla. È tutto finito. Ma Sarah ha ancora in bocca il sapore dell’angoscia e della paura e, al tempo stesso, del fascino dell’avventura. (Fonte: IBS)

Commento

Ci sono film che da ragazzino hai amato, e che poi non vedi da anni, complice la bizzarra programmazione dei palinsesti televisivi italiani.
Labyrinth, per esempio, mi è sfuggito per almeno un decennio buono. Ricordo di averlo visto in un inizio primavera attorno ai primi anni del 2000, su Rai 2. Forse era durante le feste di Pasqua. Bizzarro come certi dettagli rimangano fissi in un punto indefinito della nostra memoria.

Settimana scorsa ho trovato il DVD a prezzi da grandi sconti e l’ho comprato.
Rivederlo è stato un bel trip. Senz’altro abbiamo a che fare con un film visionario e fantastico – nel senso letterale del termine. Labyrinth è una sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie prima di Tim Burton, con meno CGI e più follia.
Sì, perché quel che ricordavo poco del film con la magica accoppiata David Bowie + Jennifer Connelly è la trama ricca di poetici nonsense, come una vera e propria fiaba.
Henson, il regista, si è tenuto lontano dai sviluppi classici di un fantasy e ha prodotto una storia allegorica, arricchita da velleità artistiche non indifferenti.

labyrinth_dove_tutto_possibile_david_bowie_jim_henson

Il culmine di queste ultime si ha col castello del Re dei Goblin (Bowie), chiaramente ispirato all’arte e alle geometrie non convenzionali di M.C. Escher.
Ma tutta la concezione del Labirinto è visionaria e ipnotica. L’effetto è poi amplificato dalla colonna sonora, che comprende molte canzoni di Trevor Jones, rigorosamente strumentali, come Into the Labyrinth, Sarah, Hallucination, The Goblin Battle, Thirteen O’Clock e Home at Last, e cinque canzoni di David Bowie, Magic Dance (chiamata anche Dance Magic), Chilly Down, As the World Falls Down, Within You, e il singolo realizzato per il film, Underground.

Il film è ricco di letture palesi e nascoste. Si va da un’evidente ode all’amicizia a un allegorico richiamo al passaggio dall’età infantile a quella adolescenziale. In questo secondo caso occorre dire che la scelta di Jennifer Connelly si rivelò particolarmente efficace, visto che il suo personaggio riflette alla perfezione questo sviluppo.
Ci sono poi richiami meno palesi, soprattutto nei confronti di una consapevolezza “esoterica” di se stessi, ricercata attraverso prove che ci allontanano dal quotidiano (la realtà) per farci affrontare l’imprevisto (simboleggiato dal fantastico).
Il Labirinto stesso, che tutto distorce, rappresenta la realtà in perenne mutamento. Per percepirla occorre avente mente e occhi aperti. Caratteristiche che vengono più volte sottolineate nel corso del film.

Interpretazioni a parte, Labyrinth rimane un caposaldo della cinematografia del fantastico degli ultimi 50 anni, o forse di sempre.
Mi piace chiudere con una riflessione. La giovane Sarah è molto, molto diversa dagli adolescenti bellocci che giocano ai predestinati nei fantasy young adult che vediamo ora al cinema. In lei c’è un’ingenuità, una giovinezza che oramai sembra persa per strada. Era un bel periodo della vità: né più bambini né adulti.
Poi qualcuno se l’è portato via.

Labyrinth-Jareth-e-Sarah

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Alex Girola – follow me on Twitter

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