I laCasta da Monopoli s’inseriscono nel vasto panorama dei gruppi che attingono alla fiamma nera del blackened hardcore, genere che io amo alla follia. Sono rimasto da subito molto affascinato dalla cover di questo loro debutto, dal chiaro sapore mistico/religioso, poi sono stato completamente spazzato via da ciò che suonano. Il loro hardcore è un fascio di nervi imbevuto di sludge e metal, immerso in un’atmosfera malsana, in cui tutto è caratterizzato da una pesantezza quasi palpabile. I possenti riff di chitarra, vibranti, sfuggenti, che accelerano e di colpo si fermano in stacchi monumentali, costituiscono l’ossatura di un pugno di brani d’incredibile spessore e attitudine. Sì, perché di attitudine e di fede in quello che si sta facendo ce n’è davvero tanta. La cosa che m’ha colpito di più è l’estrema naturalezza con cui un gruppo così giovane ha saputo incidere delle canzoni così profonde, che vanno a scavare direttamente nel nostro subconscio, portando a galla la parte più nera che c’è in ognuno di noi. La voce è una catarsi gutturale, un urlo lancinante in mezzo al deserto dei sentimenti, direttamente alle porte dell’oblio umano più nefasto e apocalittico. Basso e batteria sono i grandi sacerdoti del culto dei laCasta: marziali e implacabili nel dettare i tempi di un percorso in direzione dell’annientamento totale del corpo e dello spirito. C’è una consapevolezza dei propri mezzi totale e sospetto che questo sia solo l’inizio per questa band. Sei pezzi monolitici, in grado di aprire quelle stanze della nostra mente che credevamo chiuse per sempre, con tutte le loro paure e angosce. Una piccola grande gemma.
Dischi 2015, autoproduzioni, lacasta