I torinesi però sono carichi e vogliono tornare a casa con il bottino pieno. Nei sei anni di storia della società la crescita è stata costante, dal punto di vista numerico e del gioco; e anche se in questo periodo alcuni elementi sono fermi per infortuni e influenza, la formazione che scenderà in campo sarà assolutamente competitiva. “Questo potrebbe essere l’anno buono per un grande risultato” afferma Camillo, “gli avversari più forti sono Milano Bocconi e Roma Leones; ma noi siamo migliorati molto, ci stiamo allenando bene e giocheremo con massima determinazione anche perché rappresentiamo Torino”.
Milano detiene lo scudetto da tre stagioni, Roma è ben organizzata e allenata da Fabio Antonelli, guru del lacrosse italiano, ma l’anno scorso ha subito in Coppa Italia la prima sconfitta per mano dei gialloblu. Nella “serie A” sono inserite anche San Marino e i Painkillers Baggataway, una compagine nata da pochi mesi, con una rosa ampia ma inesperta. Oltre alla lega nazionale in cui milita il Torino Lacrosse esiste anche una lega promozionale, riservata alle 4 società nuove con numeri troppo esigui per competere nella categoria superiore.
“Il nostro sport è poco conosciuto ma si sta diffondendo” racconta Camillo Marchionatti, “per esempio la polisportiva Lazio (la stessa della squadra di calcio) ha deciso di creare una sezione lacrosse e questo ha sicuramente dato impulso al movimento”. In città i Taurus sono l’unico punto di riferimento per la disciplina al maschile; esiste anche una formazione femminile, le Edelweiss. Il reclutamento non si ferma mai e i ragazzi hanno avviato un progetto chiamato “Scuola Lax” per promuovere il lacrosse nelle scuole. “Ci diamo da fare e i risultati si vedono. All’inizio il materiale lo forniamo noi, poi chi prova si innamora di questo sport e prosegue”.
È successa la stessa cosa al coach torinese, in squadra dal 2012. Classe 1990, conosceva il lacrosse per averlo visto in tv e dal vivo, quando per il lavoro dei genitori aveva vissuto tra Stati Uniti e Australia; ma non sapeva che in città esistesse una realtà che lo praticasse, finché un amico già giocatore non gli propose di provare. Nel gruppo è forse quello che conosce meglio ogni aspetto del gioco, per questo gli è stato affidato il ruolo di coach. Con qualunque mezzo di informazione approfondisce la storia e le tattiche ed è in contatto, tramite skype e e-mail, con i ragazzi americani che sono passati per Torino. “Ci hanno dato una grossa mano” conclude Camillo, “spiegandoci le basi o alcuni dettegli e aiutandoci ad allenarci meglio. E continuano a darci consigli che “a distanza” proviamo ad applicare in allenamento”.