Magazine Diario personale
Ero sull'autobus e non c'era un posto libero a sedere. Anche in piedi, in effetti, lo spazio era poco, al punto che si doveva sollevare un po' il mento per respirare. L'aria era calda dentro, ma fresca fuori, in quel preciso punto dell'anno in cui nello stesso abitacolo possono coesistere persone in canotta e gente col cappotto. Rami ancora spogli, altri invece già pieni di boccioli o fiori colorati. Quattro o cinque giorni prima dell'inizio della primavera.
Accanto a me c'era un ragazzo africano. Di fronte due donne, una con un romanzo di Margaret Mazzantini aperto a metà, l'altra con un kindle, più difficile scoprire il titolo del libro che stava leggendo. Curioso vedere quei quattro occhi agganciati alle parole, ascoltare il suono del loro respiro sincronizzato.
Il ragazzo africano, un po' stanco, fissava il finestrino, con la giacca appesa su una spalla, né triste né felice. Ero a un passo dietro di lui, guardavo i riflessi della sua pelle. Poi la città che scorreva lenta al tramonto, in quel punto preciso nella sera in cui la luce si attenua, dolce, e non è giorno, e non è notte e molte cose si tingono di rosa. Compresi certi pensieri senza mèta, segreti come caramelle scartate in tasca, sciolte piano tra i denti e le speranze del pomeriggio.
Infine, di colpo, l'eterna sorpresa del posto che si libera. Di fronte a me, il ragazzo africano: il sedile era il suo, di diritto e senza possibilità di errore. Pazienza, va bene. Ho pensato. Ma lui esitava e si è spostato. Rimanendo poi immobile nella sua posizione. Scusi, gli ho chiesto. Si siede?
Lui ha risposto qualcosa, con un sorriso. Ho capito che mi voleva cedere il posto. No, no, ho fatto proprio segno di no: non è ancora il momento per me di farmi cedere il posto! Insomma, credo, suppongo, poco prima, a casa, sembravo all'incirca giovane, o per lo meno ne ero convinta. Ma perché non si voleva sedere? Insistevo con lo sguardo: lui ha capito di dovermi una spiegazione. Ha detto qualcosa che non ho capito. Poi di nuovo: ladies first. Prima le ragazze.
Che strana sensazione. C'è una prima volta per tutte le sensazioni. Ladies first. Non stavo pensando a niente in quel momento, ma quelle semplici parole mi hanno colpita, costringendomi a giocare a Indovina chi?
Chi sono? Ah, dunque attualmente sono di sicuro una ragazza cui un tizio cede il posto in quanto ragazza. Poi? Ho gli occhiali? Sì, qualche volta. Capelli? Castani. Sogni? Moltissimi. Ricordi? Qualcuno. Amore? Sì. Occhi? Aperti. Etc. etc.
Il gioco di dimenticarsi di se stessi, e poi di tanto in tanto, per caso, ricordarsene. Come un reset del computer, come guardarsi nelle vetrine, gli occhi degli altri qualche volta sono specchi.
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