Losanna, dopo la vita facile e naturalistica del suo soggiorno crucco, si è dimostrata insieme molto cittadina e molto svizzera. La ‘povna l’ha visitata in una modalità browniana, muovendosi al suo interno così come nella vita di Chandra, della quale ha condiviso per tre piacevolissimi giorni e un pezzetto lavoro, impegni, esistenza e amici. Il risultato è un luogo cosy, interessante, pur se sicuramente molto piccolo. Rispetto alla capitale del cantone Vaud, la dirimpettaia Ginevra (che la ‘povna già conosceva per motivi di lavoro, nell’altro mondo), sembra più disinvolta ma anche più generica, di questo angolo di lago. La ‘povna ha camminato per la cité, visto la cattedrale, St. François, il sous gare, la città universitaria, il lago stesso; fatto la conoscenza di un museo insolito e bellissimo; comprato cioccolato, formaggi, e anche coltelli (perché i clichés sono importanti), mangiato crepes, thai, macedonie e qualche birra. Poi, ieri, ha preso un treno in direzione sud (che poi per lei sarebbe il nord), iniziando le manovre di avvicinamento a casa.
Così, oggi, dalla casa di Thelma, con un mano gratta il gatto Semolino sulla testa; intanto si prepara per andare a nuotare, ché non lo fa in modo serio da una settimana, e già le manca. Ma, fedele al settimanale appuntamento, prima di prendere il secondo treno, per la piccola città, definitivamente, partecipa con un altro Trollope al venerdì del libro.
Nonostante sia apparentemente più compatto (i.e. più breve), Lady Anna è narrativamente più sfilacciato di Orley Farm (altro libro non in serie di Trollope) nella conduzione della trama nel suo complesso. L’organizzazione a puntate si sente maggiormente, in alcuni punti, per esempio, e ovviamente ne risente un approccio di lettura integrale come quello odierno. Le ragioni sono probabilmente dovute anche al fatto che Lady Anna non nasce per essere un unicum, ma la prima parte di una serie. In realtà, nonostante l’autore lo amasse molto, l’accoglienza ambigua del pubblico determinerà la scelta di abbandonare l’ipotesi di un seguito – ciò che dona al romanzo un finale originale e suo modo sospeso. Una sospensione che in realtà ben si adatta alla natura socio-morale dell’argomento: la (ri)conquista di un’eredità, ma soprattutto di un rango, da parte di due donne, Lady Lovel e la figlia, appunto Lady Anna, sui cui diritti (legati alla legittimità del matrimonio della prima con un conte) spetta alla corte pronunciarsi. Nel mezzo, l’altra metà degli attori in causa (nella persona del legittimo erede al titolo di conte, e di tutti i suoi parenti, una delle famiglie più nobili e antiche di Inghilterra) e una girandola dei soliti, tipicamente inglesi e ottocenteschi, personaggi secondari. Spiccano i due aiutanti delle due donne durante il lungo periodo (venti anni) di pretesa a titoli e ricchezza, il sarto di Keswick e suo figlio, radicali progressisti, fieramente avversi all’organizzazione inglese delle classi, eppure feroci cultori di quell’altra divinità inglese che è il diritto, e proprio per questo disposti a sacrificare ogni cosa a favore delle due donne, perché alla fine sia “la giustizia” a trionfare.
Trollope, come nota giustamente Remo Ceserani nella postfazione, in tutto questo non prende una posizione assiologicamente chiara; parteggia, ma non troppo. Se si eccettua il cattivo conte pazzo (ma opportunamente morto prima dell’inizio della vicenda) che ha dato origine al garbuglio – una specie di Barbablù (del resto, sua figlia si chiama Anna) descritto con tratti mescolati da fiaba e da romanzo gotico – ogni altro personaggio possiede sfumature di senso del dovere, di ragione e di istinto che ne determinano in maniera che potrebbe essere condivisa, e in ogni caso plausibile, le scelte morali.
E’ il motivo per il quale, nonostante la causa sia pervasiva, in ogni parte del romanzo, e termini legali e avvocati si avvicendino nella storia continuamente, Lady Anna è un libro assai meno giudiziario di quanto sia comunemente detto, perché – là dove il gotico e la fiaba arrivano nel romanzo sociale e realista (oppure, fuori dai generi: là dove la riflessione socio-morale si fa di necessità acuta e problematica) – prevale il modo melodrammatico; ma (siamo pur sempre dentro Trollope) declinato già con il piglio riflessivo sulla società che lo caratterizza, e vi sono prese di posizioni (sulla natura della piramide sociale e delle classi, soprattutto) che non si possono risolvere in tribunale.
E’ quello che sembra pensare il vice-procuratore Sir William, personaggio secondario che assume sempre di più il ruolo di portavoce della visione autoriale nel romanzo, il quale, agendo progressivamente in maniera sempre più irrituale rispetto al suo mandato giuridico, riuscirà a proporsi come deus-ex-machina, sciogliendo non già il groviglio socio-morale, irresolubile, ma almeno, nel piccolo, le singole vicende evenemenziali dei personaggi in causa, arrivando a inventare, tessere e mettere in atto un plausibile scioglimento della trama.