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Lago D’ Aral: un bel disastro

Creato il 11 luglio 2010 da Cren

Lago D’ Aral: un bel disastroMi spedisce un amico.

Caro Ermanno, sono Victor, oggi voglio raccontarti la mia storia, dato che finora ti ho detto poco di me. Vivo a Moynaq, in Karakalpakstan, repubblica autonoma dell’Uzbekistan, un tempo ridente cittadina sulle rive del Lago d’Aral, il quarto lago più grande del Mondo, oggi ad oltre 80 km da quello che resta delle sue rive, dopo che cinquant’anni orsono il lago ha cominciato a morire e a ritirarsi lentamente, ma inesorabilmente. Come me, del resto.  Ti scrivo con le mie ultime forze rimaste, ho poco da vivere, ormai, i miei polmoni hanno respirato per decenni la sabbia del fondo del lago, contenente pesticidi, antrace e chissà quale altra diavoleria gli uomini hanno gettato nel lago che ora non esiste più. Tu che scrivi per web e riviste potrai diffondere questo mio messaggio ed informare l’opinione pubblica di quanto sta accadendo in questo lembo dimenticato di Asia.

Mio padre faceva il pescatore, come tanti, qui da noi. Ricordo ancora quando salivo da bambino sulla sua barca, orgogliosa e maestosa come lui, solcare le acque non sempre tranquille del lago, spesso agitato dai forti venti che spirano incessantemente da nord / nord-ovest. Avrei voluto seguire le sue gesta, replicando un gesto antico, che da generazioni si ripeteva come un destino ineluttabile, cui nessuno del mio popolo avrebbe potuto sottrarsi. Il lago d’Aral, del resto, era sempre stato generoso con i pescatori delle sue rive, che raramente tornavano a casa a mani vuote. Ora la sua barca è adagiata sul fondo prosciugato del lago salato, insieme ad altre centinaia di pescherecci, scheletri arrugginiti che testimoniano del più grande disastro ambientale per causa umana che la storia ricordi. Tutto iniziò negli anni ’50, in piena guerra fredda, quando i burocrati dell’U.R.S.S. dovevano contrastare ad ogni costo gli Stati Uniti d’America in ogni campo, anche per quanto riguardava la produzione di cotone. Fu allora che le autorità sovietiche ordinarono di deviare il corso dei due principali immissari del Lago d’Aral, il Sir-Dar’ja e l’Amu-Dar’ja (conosciuto in precedenza come Oxus): e così il deserto del Turkmenistan, molti chilometri più a sud, riprese a fiorire dagli anni ‘60, ma il Lago d’Aral venne condannato a morte.

Dal 1960 ad oggi, il Lago si è ridotto oggi del 90 %, mentre la superficie coltivata a cotone è aumentata solo del 20 %, a causa della progressiva desertificazione dell’ambiente e della crescente salinizzazione del suolo, che viene sempre più contaminato dal sale, dai pesticidi chimici e dai fertilizzanti che le autorità fornivano a piene mani agli agricoltori, per cercare di incrementare i raccolti di cotone che, ironia della sorte, si dimostra di qualità mediocre. Perché tu possa comprendere le dimensioni di quanto è accaduto, pensa che è come se un lago grande una volta e mezza l’intera Pianura Padana, dove vivi tu, si fosse quasi del tutto prosciugato. A cinquant’anni di distanza, i risultati di tale disastro sono i seguenti: Il clima, non più mitigato dal lago si è notevolmente irrigidito: le piogge si sono fatte sempre più rare e d’inverno, i gelidi venti siberiani portano la temperatura anche a -35 °, mentre d’estate, il torrido vento del deserto può fare arrivare la colonnina di mercurio prossima ai 50 ° centigradi. I dati sono ancora più sensazionali, se si considera che qui siamo soltanto al quarantatreesimo parallelo, più o meno come la vostra Firenze. Tutti i principali porti pescherecci si sono ritrovati a distanze sempre crescenti dal lago, che un tempo vantava 24 – 25 specie di pesce ed ora soltanto 2 o 3, anche a causa del notevole aumento della salinità dell’acqua.

In più, in quella che un tempo era l’isola di Vozroždenie ha avuto sede per decenni un’installazione militare sovietica, dove venivano condotti esperimenti di armamenti chimico-batteriologici, utilizzando numerosi animali come cavie. Per effetto dell’abbassamento del livello del lago, oggi l’isola è collegata alla terraferma e nel 2002 è stato effettuato un primo intervento di bonifica, coordinato dalle autorità del Kazakistan e dell’Uzbekistan con l’ausilio di consulenti statunitensi, ma c’è chi sospetta che numerosi bidoni contenete antrace ed altre sostanze chimiche pericolosissime siano ancora stipati in alcuni bunker sotterranei: vero o falso che sia, rimane il fatto che tracce di antrace siano state trovate in un’area molto vasta della zona. Le colonie di ratti che un tempo vivevano sull’isola, contaminate dall’antrace, stanno migrando verso il deserto meridionale, con conseguenze disastrose sull’intera catena alimentare della zona. Molti bambini tra i residenti nella zona nascono malformati, la mortalità infantile è aumentata di circa 10 volte, la quasi totalità delle donne soffre di anemia, sono in aumento esponenziale i casi di tumore alla gola, di cancro al fegato, di tubercolosi, di malattie respiratorie, come quella che mi ha colpito e che mi affligge ogni giorno di più.

Polveri contenenti una mistura tossica di sabbia, sale e pesticidi e altri veleni hanno ormai raggiunto persino alcuni ghiacciai dell’Himalaya, a centinaia di chilometri di distanza. Diverse specie animali che vivevano in prossimità del Lago sono scomparse, e quello che era il quarto lago più grande del mondo è ora diviso in due bacini: quello più settentrionale, il “Piccolo Aral” e il resto del lago, di cui sopravvive un’esile striscia nella sua parte più occidentale. Nel 2005 le autorità kazake hanno avviato un progetto di riqualificazione della parte settentrionale del lago: è stata costruita una diga per isolarlo dal resto del lago e nel 2008 Il “Piccolo Aral” è stato ricongiunto al suo affluente, il Sir-Dar’ja, attraverso un rigoroso sistema di controllo degli sprechi di consumo d’acqua per le irrigazioni. Per noi uzbeki, invece, nessuna buona notizia: le piantagioni di cotone, infatti danno molto più lavoro di quanto non ne desse il lago ai nostri pescatori e recentemente alcune compagnie petrolifere hanno scoperto sul fondale ormai secco alcuni interessanti giacimenti di gas naturale. Non c’è più alcuna speranza di far rinascere quello che un tempo costituiva l’avamposto più orientale di quel grande Oceano che comprendeva anche il Mediterraneo ed il Mar Nero e che ritirandosi, lasciò sulla sua strada il Mar Caspio e il nostro povero Lago d’Aral. Oggi ci rimane soltanto il macabro e morboso turismo dei visitatori incuriositi dal lago in secca e dagli spettri d’acciaio consumato delle navi arenate nella crosta di sale.

Questa è anche la mia storia, perché anch’io mi sto spegnendo insieme al lago e tra pochi mesi me ne andrò silenziosamente, lasciando mano libera a chi è convinto che il business sia più importante dell’ambiente in cui viviamo. Ho deciso di lasciarti queste poche righe per dirti che non è così: la morte di Aral e di Victor saranno la testimonianza di quanto indissolubili siano la specie umana e il pianeta in cui vive. Ti lascio queste parole, come un messaggio in una bottiglia, insieme alle polveri di ciò che resta del Lago d’Aral, che vagheranno nel Mondo per ricordare la storia di un lago ucciso dall’arroganza dei potenti e quella di un bambino uzbeko, che da grande avrebbe voluto fare il pescatore . Victor

Questo è un articolo che comparirà sulla rivista BioEcoGeo, la storia è romanzata ma i fatti veri.



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