Questa foto qua sopra è stata scattata sul Mekong, vicino a Kratie.
La metto all’ inizio così faccio fuori subito la mia cartuccia fotografica migliore e non se ne parla più.
Si, perchè la Cambogia non ha queste incredibili bellezze, a parte Angkor, a parte appunto qualche scorcio del Mekong, ma se si arriva da un viaggio come il nostro con gli occhi così abituati a vedere cose incredibili si potrebbe anche rimanere delusi. Insomma qui non c’è il Perito Moreno o il salar de Uyuny.
Ma noi non siamo delusi, anzi, la Cambogia ci piace sempre di più, soprattutto nella seconda parte del viaggio, il suo bello è ai bordi delle strade, al bordo del fiume, nei mercati e nei ristorantini improvvisati, nei suoi miliardi di motorini sempre stracarichi di tutto e nelle baracche che pullulano di bambini, il suo bello è la gente e l’ atmosfera che riesce a creare.
Arriviamo a Kratie e, oltre ad incontrare nuovamente i nostri amici baschi Ander e Inma, facciamo la nostra prima conoscenza con la madre di tutti i fiumi, sua lentezza il Mekong. Questo enorme e placido fiume perennemente color caffelatte nasce in Tibet, attraversa la Cina e va a lambire tutti gli stati della penisola indocinese, dando vita e fertilità a questa enorme vallata dove si concentra quasi tutta la popolazione di questi paesi.
La cittadina in se non ha nulla di speciale, ma l’ atmosfera lenta e soporifera che si respira la rende un posto ideale dove fermarsi, da qui infatti si può partire per escursioni in bicicletta lungo il fiume, ormai è il nostro mezzo preferito anche se le bici che troviamo pesano sempre un quintale e non sono proprio l’ ultimo ritrovato dell’ ingegneria ciclistica.
La prima gita la consumiamo su un’ isoletta in mezzo al fiume proprio di fronte alla cittadina e, anche se Kratie non è proprio una megalopoli, bastano 5 minuti di barca per giungere in un paradiso rurale dove tutto sembra immobile e la vita si consuma fra campi di riso, mucche e famiglie che semplicemente stanno sedute ad osservare la vita e il fiume che scorrono lentamente. Pedalare fra le piatte stradine sterrate dell’ isola è un piacere, ci si dimentica del tempo e delle ansie, spesso ci fermiamo con i bambini eccitatissimi nel vedere i rari turisti, altrimenti mangiamo angurie in qualche banchetto al bordo della strada dove scambiamo conversazioni mute con i locali a base di sorrisi e gesti; proprio in una di queste soste facciamo un incontro surreale con una sciura all’ apparenza folle che ci parla fitto fitto in lingua Khmer anche se non capiamo una mazza.
Lei se ne sta li con i suoi 4 o 5 denti storti completamente rossi e ci sorride quando vede che non capiamo, lei però capisce tutto e se la ride; se la ride quando chiediamo acqua a sua figlia la quale ci prepara invece un pappone a base di ghiaccio, latte condensato e sciroppo alla frutta; se la ride quando la figlia a metà beverone aggiunge in ognuno dei nostri bicchieri una cucchiaiata di strane cosine gelatinose che non voglio sapere cosa fossero e a cui non possiamo sottrarci; se la ride soprattutto quando tira fuori dalla tasca una serie di barattoli e ci prepara il suo intruglio preferito il quale consiste in queste bacche rosse, una foglia non bene identificata sulla quale viene spalmata un’ altra pappetta bianca non identificata, del tutto si fa un pacchettino e ce lo si infila in bocca, tutti e tre allegramente.
Succhiamo sorridendo per qualche minuto e poi lei ci insegna la cosa più divertente di tutto questo “rituale”: senza nemmeno girarsi dall’ altra parte si mette a sputare saliva rossa per terra e ci invita a fare lo stesso, noi la seguiamo a ruota fra le risate di tutti, soprattutto quando sorridiamo e mostriamo che anche noi siamo diventati dei “denti rossi”, e giù tutti a sputare rosso e a ridere, vista da fuori doveva essere davvero una scena surreale.
Finito il meeting antropologico ci rimettiamo a pedalare e la Katia, che fino a poco prima aveva paura di essere stata in qualche modo drogata, si scopre contenta di essere stata drogata perchè dice di sentire una nuova energia nella pedalata, il termine che usa è “ringalluzzita”, la sua velocità di crociera passa dagli 8 ai 9 chilometri all’ ora.
Più avanti scopriremo che quello che abbiamo ingerito si chiama betel ed è effettivamente una specie di droga, ma così blanda che difficilmente se ne possono scorgere gli effetti, a parte la bocca rossa. E figurati se ti regalano mai qualche droga buona… maledetti spacciatori!
vita da mucca
vita da ciclista
vita isolana, niente auto
Sempre nell’ ambito del nostro tour ciclistico della Cambogia facciamo un’ altra gita questa volta seguendo il fiume per andare a vedere un posto che dovrebbe essere la più mirabolante attrazione turistica del luogo: i delfini del Mekong.
Ovviamente non li vedremo, un po’ perchè l’ idea non ci eccita così tanto, un po’ perchè giunti sul posto ci chiedevano 7 dollari a testa solo per stare sul bordo del fiume e aspettare di avere culo per vederli. Eccheccazzo! 14 dollari per sedersi sul bordo del fiume? ma il suolo vicino ai corsi d’ acqua non dovrebbe essere del demagno? con quei soldi qui in Cambogia puoi avere una fornitura di riso per un mese!!
Vabbè la giornata sarà ugualmente una delle più ricche visto che già la strada in se per arrivaci regala splendidi paesaggi e incontri stimolanti, e poi è gratis!
Innanzitutto durante il percorso si vedono spaccati di vita vera cambogiana, ovvero in mezzo alla strada, visto che sembra che tutte le persone trascorrano qui la loro vita: giusto una capanna dove dormire e vendere qualche cianfrusaglia al bordo della via e poi giù tutti in strada a cazzeggiare: bambini soprattutto visto che l’ età media da queste parti sembra essere fra i 5 e i 7 anni, rarissimo vedere un anziano (chiedete perchè a pol pot), ma anche adulti che si dedicano a qualche specie di agricoltura (non intensiva che ci si stanca troppo) o che trasportano le cose più improbabili e più grosse possibile in motorino.
Andiamo a vedere anche un tempio, ovviamente in cima ad una montagna con migliaia di gradini, un tempio minore, mica roba Unesco, ma proprio qui scorgiamo dei lati del buddismo parecchio interessanti visto che all’ interno si possono ammirare dipinti riguardanti l’ origine di questa religione, o per lo meno come lo intendono da queste parti: teste mozzate, uomini scimmia, uomini con teste di gallo, uomini mangiati dai galli, uomini impalati e soprattutto lui, una specie di omino verde venuto dal cielo e vestito da budda.. vi dice qualcosa?
stranezze varie
menomale che il riflesso maschera un po'
il mitico omino verde
Per il resto della giornata saremo invece occupati con Soda (credo si chiamasse così e comunque mi piace pensare che questo fosse il suo nome) un ragazzo che ci bracca in mezzo alla strada e ci “attacca la pezza”; sa parlare abbastanza bene inglese ed è ansioso di comunicare con dei gringos, noi controlliamo la nostra agenda degli impegni e decidiamo che per oggi possiamo disdire tutte le nostre riunioni.
Soda è un insegnante di francese, inglese e credo pure geografia, insegna queste materie alla scuola pubblica secondaria del posto e il suo stipendio mensile è di 50 dollari!!
Ovviamente non ci sta dentro ed è costretto a vivere in una stanzetta nel monastero dove consuma anche i suoi pasti a base di riso bianco, i monaci qui provvedono anche ad aiutare la scuola e tutto quello che ci gira attorno, in cambio chiedono solo di essere dei bravi buddisti; io continuo a chiedermi sempre come sia possibile che affianco alle baracche dove la gente vive si possano costruire questi barocchissimi templi dorati super luxury, ma tutto il mondo è paese.
Soda ci fa fare una visita guidata del tempio della quale capiamo mica troppo (ma anche qua c’ era l’ omino verde), il suo sogno è fare la guida turistica e ha anche un (uno solo) biglietto da visita stropicciato e bagnatissimo che non ci può dare, ma del quale possiamo copiarne il contenuto, ci fa conoscere tutti i bambini super casinisti della scuola e ci mostra la vita dei monaci scandita da preghiere, le immancabili ciotole di riso e poi giù tutti di meditazione; poi ci porta a mangiare, e qui scattano 5 minuti di paura.
Sarebbero le 5 di pomeriggio e noi non abbiamo mica tanta fame, ma vuoi offendere un cambogiano che vuole farti assaggiare le originali prelibatezze Khmer? lui lo chiama natural food.
E vada per il natural food..
Il “ristorante” in questione è un monotavolo al bordo della strada (ma va?) gestito da una sciura che per comodità chiameremo sciura Maria.
Ci sediamo tutti e tre e il “ristorante” è pieno, io metto le mani avanti e dico che non ho tanta fame e quindi prendiamo solo un piatto in due io e la Katia, la sciura Maria sorride e blatera qualcosa, lo dico anche a Soda e anche lui sorride, ci arriva 1 ciotola a testa ovviamente.
Il piatto lo prepara davanti a noi prendendo da vari ciotoloni: noodle di riso freddi, ginger, “cose” che nessuno sa cosa siano e brodo freddo, il tutto sorvolato dal consueto stormo di mosche, con almeno un paio di galline che camminano sotto e sopra al tavolo e corredato dalle immancabili bacchette per mangiare, no, non quelle monouso nella pratica confezione usa e getta, quelle in legno annerito usate da tutta la popolazione locale prima di noi e ogni volta sciacquate nelle limpide acque del fiume.
Vabbè io e la Katia ci scambiamo le solite occhiate preoccupate ma mangiamo tutto, cercando di evitare il contatto bastoncino-lingua (che già sono impedito a usarli, figurati con queste acrobazie); vorrei dire che almeno era buono, ma in realtà faceva abbastanza schifo, ma il meglio viene con i drink.
Vuoi mangiare cambogiano senza che ti arrivi sul tavolo qualcosa da bere incluso nel prezzo?
Dopo che viene poggiata una specie di teiera e 3 bicchieri sul tavolo va più o meno così:
Soda: glu glu glu..
Ale: glu glu..
Katia: occhio esaminatore sul bicchiere poi torna sulla ciotola senza bere
Ale: Katia non bevi?
Katia: ci sono dei pezzettini di qualcosa che galleggiano nell’ acqua
Ale: ma va… non è acqua, è the, non vedi che è marrone
Katia: ma sei sicuro, mica sembra the
Ale pensa: effettivamente non sapeva di the
Ale rivolto a Soda (speranzoso): che tipo di the è questo? natural the cambogiano?
Soda (sorridente): ma quale the? è acqua!!
A questo punto mi è chiaro che mi sono bevuto mezzo bicchierone di acqua del Mekong ora gli scenari sono due: o divento santo o mi becco la salmonella.
Ma il mio rito di iniziazione fluviale non è ancora finito.
Come se fosse il gran finale della gita che aveva pensato per noi a questo punto Soda ci porta tutti in riva al fiume per vedere il tramonto e farci un bel bagno.
La Katia credo che non lo farebbe nemmeno con una pistola puntata, io nuoto più o meno come un mattone, figuriamoci se entro in quelle acque limacciose e marroni con anche la corrente; decliniamo l’ invito, ma almeno lo accompagniamo in riva al fiume per il tramonto.
Ci sistemiamo su una specie di zattera dove vi è appollaiato un pescatore con la faccia da poco di buono, Soda si toglie la maglietta e in due secondi sta già nuotando come un bambino nel Mekong, con tanto di schizzi e tuffi; noi ci godiamo il momento che è davvero magico, i colori del tramonto sono proprio da immaginario indocinese, la pace, la lentezza, il silenzio interrotto solo da qualche urla di bambino che si tuffa, un incanto.
I miei secondi 5 minuti di paura arrivano quando ci rendiamo conto che si sta facendo tardi e quindi salutiamo Soda per incamminarci verso casa: per primo lui attraversa il ceppo di legno che fa da ponte fra la terra ferma e la zattera, poi tende una mano alla Katia che passa dall’ altra parte, quando arriva il mio turno poggio un piede, Soda mi da la mano, poggio il secondo piede e a quel punto sento formarsi il rumore un secondo prima nella mia mente, come se me lo sentissi, poi arriva il rumore vero, secco, implacabile nella sua velocità:
CRAAAAACKKK
alla fine era destino che dovessi avere questo rapporto intimo con il Mekong, per lo meno questo giro sono riuscito a non bere.
soda a mollo nel Mekong
io dopo esere stato a mollo nel Mekong
Ridiamo tutti (io un po’ meno) e dopo essermi ripreso e dopo aver salutato il buon Soda ci dirigiamo verso Kratie felici e contenti (io lasciando la scia d’ acqua) e con un cielo pauroso completamente rosso a farci compagnia.
Per tutti questi giorni trascorsi sulle rive del Mekong la Katia continuerà a ripetere di sentirsi a casa visto che per lei il paesaggio è incredibilmente simile alla sua città natale Pavia: la pianura (padana), il fiume (Ticino), le risaie, l’ umidità e le zanzare.
Mah.. lei può dire quello che vuole, ma io questi tramonti in riva al Ticino non li ho mai visti e oltretutto secondo a me a Pavia ci sono moooolte più zanzare!!
Lale
il fiume Ticino