Lalelakatia e la montagna incantata

Creato il 11 aprile 2010 da Lalelakatia

Dopo aver fatto vedere i pinguini alla Katia ci rendiamo conto che più a sud di Ushuaia non possiamo andare e, visto che il freddo inizia ad essere davvero bastardo, invertiamo la marcia e iniziamo a risalire il cono sudamericano, prossima tappa El Chalten un piccolo paesino patagonico che avevamo saltato scendendo.
Decisamente non facciamo i salti di gioia all’ idea di risaltare su un bus, oltretutto non è uno dei soliti bus cama super comodi, la strada è tanta e noiosa e il mio turbo-raffreddore che mi sono preso nell’ alluvione alle torri del Paine non mi molla. Ci illudiamo di arrivare a destinazione in una botta sola, ma leggenda vuole che se mangi il calafate (una specie di mirtillo) tornerai di sicuro a El Calafate, noi l’ abbiamo mangiato e continuiamo a finire in questo paese, anche questa notte dobbiamo passarla qui in attesa del bus, per fortuna direi, visto che il mio malanno esplode nella notte con un 39 di febbre e rumori di ferraglia arrugginita che arrivano dai bronchi e non sarebbe stato bello se fosse successo in stazione o sul bus.
Ci svegliamo presto, mi copro in maniera vergognosa e facciamo le ultime 3 ore di viaggio per El Chalten.
Il paesino non è ancora una meta inflazionata come El Calafate, è molto più piccolo e rilassato, certe strade ancora sterrate, pochi negozi e spesso nessuno per strada.
A questo punto vi chiederete cosa ci facciamo in questo paesino in mezzo al nulla patagonico. Bene, il villaggio sorge ai piedi di alcune fra le montagne più belle e più mitiche del mondo: il Cerro Fitz Roy e soprattutto il Cerro Torre, l’ urlo di pietra, la montagna impossibile.
Affascinati dalle storie su questa montagna non potevamo non venire a vedere di persona questa torre di granito che per decenni ha ossessionato scalatori di mezzo mondo e così tante vite si è portata via.
L’ impresa non è del tutto scontata: io sono a letto in delirio da tachipirina, l’ estate sta finendo e le possibilità di avere un giorno di bel tempo diventano sempre meno, si dice che al Cerro Torre ci sono 300 giorni di brutto tempo l’ anno, quindi l’ unica cosa che possiamo fare è stare in attesa in un microscopico ostello ad ascoltare le storie di questi luoghi dal propietario dell’ albergo ex guida di montagna, e ad ascoltare il vento che qui non smette mai di ricordarci chi comanda in queste terre.
Ci vorranno 3 giorni e poi, l’ ultima mattina che ci eravamo dati come termine, ci svegliamo presto e ci affacciamo davanti al Fitz Roy completamente rosa per l’ alba e un cielo azzurro a fare da sfondo! Anche questa volta la Pachamama ha ascoltato le suppliche della Katia, o forse si era rotta le palle di sentirla.

il fitz roy all' alba dalla nostra finestra

Per me è dura anche infilarmi gli scarponi, ho ancora tutte le ossa a pezzi e fuori non c’è esattamente una temperatura piacevole, ma perdere questa occasione vorrebbe dire perdere ogni probabilità di vedere la montagna.
La prima mezz’ ora è davvero dura, ho le gambe pesantissime, tossisco continuamente e sono in un lago di sudore, poi, in cima ad una collina, succede il miracolo che mi conferma quanto il corpo è solo un’ appendice della mente: c’è un signore che ci ha superato nella prima parte del sentiero che se ne sta gigione in cima alla collinetta con un sorriso stampato e compiaciuto, io penso che mi sta prendendo per il culo perchè arranco ma, appena lo raggiungo, mostro anche a lui tutte le mie otturazioni nel mio classico “woooaaawww”, i brividi della febbre diventano pelle d’ oca e anche sulla mia faccia si stampa lo stesso sorriso, quello che ho davanti è questo:

Il resto del sentiero diventa una passeggiata, il Cerro Torre è davanti a noi per tutta la camminata ad infondere energia, le gambe adesso vanno che è un piacere e la fatica non si sente. Attraversiamo boschi surreali di alberi grigi e contorti, attorno a noi solo silenzio e bellezza, fiumi azzurri e montagne incantate sullo sfondo.
Arriviamo alla Laguna Torre ai piedi del ghiacciaio, siamo solo in 4 e questo rende tutto ancora più magico, oltretutto appena arriviamo il vento cessa di colpo, quell’ immensa torre di pietra è lì davanti a noi senza nemmeno una nuvola che ne avvolga la cima, tutto sembra perfetto oltre ogni aspettativa, mi giro a guardare la Katia e mi domando se veramente ha qualche canale preferenziale di comunicazione con Madre Natura, se così fosse dovrei stare attento a come mi comporto che quella mi scatena contro qualche uragano…

iceberg di montagna

Nelle ore successive scatteranno diverse sessioni di “delirio fotografico” intervallate da momenti di contemplazione e ok, anche da dei panini al formaggio. Non contenti di essere arrivati alla laguna, proviamo a spingerci ancora più su, fino a dove un comune mortale può arrivare prima di inoltrarsi in un delirio di burroni, crepacci, ghiacciai e slavine. Ci fermiamo al belvedere Maestri, il punto in cui Cesare Maestri stava ore ad osservare la montagna e a coltivare la sua personale ossessione, siamo soli e non smettiamo di subire il magnetismo del Torre, continuiamo a guardarlo rapiti cercando di capire le sensazioni provate da scalatori pazzi e utopisti che prima di noi sono stati su questi stessi sassi a studiare un modo per prendere la cima dell’ urlo di pietra.
La storia dell’ alpinismo sembra ormai aver chiarito che la mitica prima drammatica ascesa al Torre di Cesare Maestri è un falso e la sua figura è stata offuscata, guardando questa montagna però io non posso che avere simpatia per quest’ uomo pazzo e ossessionato che ha sfidato qualcosa di più grosso di lui e di qualsiasi scalatore dei suoi tempi e, semplicemente, ha perso, ma perdere contro questo prodigio della natura ci può anche stare, come dice la saggia Katia “la montagna non l’ ha voluto”.
Torniamo felici e contenti al paesino totalmente sazi di bellezza, la natura non smette di stupirci in questo viaggio, ci stiamo rendendo conto di quanti luoghi incredibili e differenti sono nascosti fra gli angoli di questo pianeta, stiamo sviluppando sempre di più una coscienza ecologista da “visto coi propri occhi” che è ben differente dal precedente ecologismo televisivo, ora quando sentiamo del ghiacciaio che si ritira o dell’ animale che si estingue oppure della foresta che viene distrutta, non è più solamente un’ immagine su uno schermo ad essere in pericolo, ad essere in pericolo ora è qualcosa che abbiamo visto e toccato con occhi e mani e sapere che potrebbe scomparire ci sembra una violenza diretta sui nostri ricordi. Spero davvero che ci sia un cambio di rotta nelle coscienze delle future generazioni, ma vedere ragazzotti che gettano le batterie usate nel bosco come mi è successo al parco del Paine in una natura pressochè perfetta non mi da tanta fiducia.
Polpettoni ecologisti a parte il giorno successivo non ci va così bene e il trekking per andare a vedere da vicino il Fitz Roy si concluderà in mezzo alle nuvole e al freddo senza riuscire a vedere una mazza, ma non ci lamentiamo e ci godiamo ancora un po’ i bellissimi boschi alle sue pendici.

il cerro fitz roy solo da lontano

anche con il brutto tempo i paesaggi sono mozzafiato

i picchi esistono davvero e sono pure sclerotici

il bosco incantato

Il nostro tempo in Patagonia è finito ci manca solo un piccolo dettaglio non da poco per lasciarla in gloria: la ruta 40.
Una delle più mitiche strade del mondo che attraversa tutta l’ Argentina dall’ alto in basso è ancora una via selvaggia e ostile, quasi tutta sterrata nella sua parte patagonica, una striscia quasi sempre dritta e in mezzo al nulla, ogni tanto intervallata da qualche lago glaciale o da qualche montagna innevata sullo sfondo e sempre, ma sempre, spazzata da un vento che ti confonde le idee… parecchio.
La prima ora è bellissima, la seconda ora è ancora bellissima, tralaltro appena ti stai per annoiare il bus si ferma e scendiamo a vedere un povero armadillo solitario che cammina per la ruta e probabilmente si chiede “cazzo hanno da rompere le palle questi?”, la terza ora è sempre bella ma insomma, il paesaggio è questo e non sembra cambiare, alla quarta se fosse un viaggio breve diresti “ok è stata una bella esperienza”, alla quinta ti rendi conto che sei solo all’ inizio e un’ inquietudine si diffonde fra gli ingenui passegeri del bus che avevano pensato di fare i brillanti facendo la ruta 40 e non un’ altra normale autostrada; fra la sesta e la decima sembra che abbiano messo degli schermi attacati ai finestrini del bus che passano la stesse 4 immagini in loop con sempre lo stessa steppa e gli stessi cespugli. Proprio mentre sto facendo il nodo al cappio per impiccarmi al portabagagli del bus e morire con dignità, l’ autista ci avvisa che siamo arrivati… a metà strada, ci si ferma, si dorme nel paese più inutile del mondo e domani si ricomincia.

road to nowhere

ce ne ha da camminare...

Il giorno dopo si replica il film per chi non era sicuro di aver capito bene come sono fatti i cespugli della Patagonia. Altre 10 ore di sterrato in mezzo al nulla che cerco di far passare più velocemente dormendo più che posso e chiacchierando con dei simpatici italiani incontrati sul bus (fortunatamente non erano tutti israeliani come al solito).
Arriviamo a sera a El Bolson che tecnicamente è ancora Patagonia, ma di kilometri verso nord ne abbiamo fatti parecchi e scendere da bus in maglietta senza che ci sia quel maledetto vento che ci ha ossessionato per un mese e mezzo ci fa tirare un sospiro di sollievo e ci fa capire che stiamo rientrando in zona temperata; abbiamo scelto questo paesino da microclima mite e dalle origine hippie per concederci un meritato riposo dopo le tante fatiche.
La scelta si rivela perfetta e con un po’ del solito culo troviamo anche una sistemazione incantevole in una casetta nel bosco all’ interno di una fattoria (qui chiamate chackra) lontano da tutto e da tutti. Il posto è magico e rilassante come forse nessun altro luogo, attorno a noi solo alberi da frutta, more, mucche, galline, cani e gatti. Qui regna il silenzio e anche il clima è splendido, trascorriamo le giornate oziando senza quasi mai andare in paese, la katia fa le grandi pulizie di primavera e lava ogni singola cosa ci sia nello zaino, zaino compreso, quando non sta lavando qualcosa da da mangiare alle galline e ai pulcini (i quali verranno ogni mattina a bussare alla porta) oppure lancia mele ad una mucca gigante; io raccolgo more e mele, ozio, riposo e la notte dormo per 13 ore dalla pace che regna.
Trascorriamo una settimana davvero rigenerante che rischierà di essere rovinata da un personaggio psicopatico truffatore che proverà a infettare con la sua malvagità la pace della fattoria, ma la nostra diffidenza o probabilmente il nostro culo farà si che nulla di male ci succeda, anzi, avremo qualche storia da raccontare sugli strani personaggi che si possono incontrare a El Bolson.

vista dal nostro balcone

la mucca che terrorizzava la katia

la nostra casetta nel bosco

Ormai siamo agli sgoccioli, il nostro tempo in sud America sta scadendo, gli iniziali 4 mesi preventivati sono diventati 6 e ora davvero non possiamo rimanere di più, anche se tutti e due vorremmo stare qui ancora mooolto tempo. Rimane solo un appuntamento al quale non possiamo mancare: dopo almeno una settimana di contrattazioni telefoniche sul luogo della reunion, finalmente ci accordiamo per ritrovarci a Mendoza per i saluti finali con colei che a singhiozzo ci ha accompagnato per quasi tutta l’ America latina, la Beronica di Brescia.
Sono solo un paio di giorni, ma non potevamo andare via dal continente senza salutare dal vivo una delle persone con cui ci siamo trovati meglio durante il viaggio, sia per me che per la Katia sembra di conoscerla da sempre, stesso feeling e stesso senso dell’ umorismo; trascorriamo 2 giorni a spettegolare su ogni persona possibile, a mangiare alfaiores, a fare foto sceme e a fare progetti surreali sul futuro. Alla fine purtroppo ci dobbiamo lasciare e lei dice che ci rivedremo fra un bel po’ in Italia, noi ne siamo tanto sicuri, ci aspettiamo di incrociarla di nuovo in qualche modo durante questo viaggio; quello che è certo è che di sicuro la rivedremo in futuro e di sicuro ci troveremo a nostro agio come se non ci vedessimo solo da un giorno.
Per noi invece è arrivato il momento dei saluti ad un continente che credo ci rimarrà impresso dentro, nonostante i sei mesi trascorsi in queste terre ci sembra di averne assaggiato solo l’ antipasto, ci sarebbero ancora innumerevoli cose da vedere, popoli da conoscere e bus da prendere, quasi ci sfiora l’ idea di abbandonare il nostro giro del mondo e di cercare il primo bus per il Brasile per risalire tutto il sud America dal lato opposto, la tentazione è forte, ma alla fine ci ripromettiamo di ritornare qui per finire il lavoro in un viaggio futuro, ora ci aspettano altre avventure in altre terre lontane, non siamo nemmeno a metà dell’ opera e i piani continuano a cambiare, l’ unica cosa che non cambia è il nostro fermo intento a verificare davvero l’ effettiva sfericità del pianeta.

Lale


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