Intervista di Marino Magliani
Lamberto Garzia, Shiai e Ai. Combattimento e amore, in uscita con Effigie
Dalle postfazioni di Milo De Angelis e Giuseppe Conte:
MILO DE ANGELIS: Lamberto Garzia scrive il libro della sua vita – un libro unico in questi anni di poesia – e scrive anche un ideale di uomo e di poeta: amore frontale in piena luce, impeto aristocratico che non perdona la viltà, rifiuto della donna domestica, visione eroica del legame tra le anime. E, sullo sfondo, la fine della giovinezza che inquieta e minaccia: “lottiamo, lottiamo la lotta estrema dell’estremo oriente/lottiamo, perché io possa rimanere giovane in te”
GIUSEPPE CONTE: Questo di Lamberto Garzia è un libro unico e per molti aspetti straordinario. Conversando con il grande Adonis ci capita spesso di dire che la poesia è la prima, eterna forma di globalizzazione buona, e questo libro ne è la magnifica prova. Passato e presente, Oriente e Occidente vi si fondono in maniera perfetta, il giovane cavaliere Lambert, un tempo innamorato della poesia del ciclo bretone e carolingio, occidentali per eccellenza, qui si cimenta con un amore rituale, guerriero, crudele e glorioso come quello del Giappone dei samurai e delle arti marziali più rigorose. Non c’è più barriera. Il linguaggio stesso, e questa è la originalità scardinante e scandalosa del libro, si biforca e si raddoppia, l’italiano, un italiano lirico e conciso, quasi stilnovistico, si mescola al giapponese non in un patchwork confuso, ma in una sequenza che ha qualcosa di matematico, di ineluttabile.
Intervista all’autore:
1. A giorni sarà presente nelle librerie per i tipi EFFIGIE – collana “le Ginestre”, Shiai e Ai (Combattimento e Amore). Quanto hai impiegato per la stesura?
- Fra il documentarmi cartaceo, l’atto creativo vero e proprio e limature su limature, dieci anni, più o meno dieci anni.
2. Shiai e Ai avrà le postfazioni di due importanti poeti e critici, Giuseppe Conte e Milo De Angelis, ed entrambi hanno voluto sottolineare “l’unicità del libro” in relazione a questi anni di poesia; è un lusinghiero riconoscimento…
- Certo che lo è, mesi addietro mi sono commosso nel leggere i loro generosi scritti, troppo generosi per certi versi.
3. Troppo generosi?
- Certo, mica bisogna montarsi la testa e andare in solluchero credendo di sfilare imbellettato sul “red carpet della letteratura de noantri”, anche se di una cosa sono consapevole, consapevolezza che difenderò a katana sfoderata verso i detrattori, perché ce ne saranno di detrattori; molti attuali critici, non proprio tutti per fortuna, leggono con i paraocchi, e molti poeti sembrano scrivere in un continuo “copia e incolla”.
4. A quale consapevolezza accennavi?
- Che credo di aver scritto il libro più coraggioso e più importante degli ultimi vent’anni – libro in versi, si intende, e nel panorama letterario esclusivamente italiano.
5. Affermazione audace
- Non il più bello od esteticamente riuscito, ma il libro più coraggioso e più importante… “Vi sera stata forma solenne nell’accostare degli uomini/la loro conturbante nudità verso la carta di riso:/come nella nobile scherma d’oriente il kiai/sempre precede e dichiara l’attacco di shinai”.
6. Con poche parole, come definiresti Shiai e Ai?
- Shiai e Ai è una epica del cuore e del corpo raccontata attraverso un linguaggio frammisto di termini desunti dalle Arti Marziali giapponesi, da uno shintoismo ondivago, da un bushido posticcio, dal Kojiki, da una esperita carnalità dirompente/lacerante e da una metrica volutamente e categoricamente occidentale, in parte influenzati dalla sensualissima pittura del periodo Edo (Ukiyo-e), da Ryoi Asai (Racconti del mondo fluttuante), dal monaco (eretico) e poeta buddista Jkkyuu (Raccolta della nube folle), dai moderni Roland Barthes (L’impero dei segni) Osamu Dazai (Lo squalificato e Il sole si spegne) e da Kenij Nagakami (Mille anni di piacere) con i suoi burakumin, i discendenti degli ETA (gli essere umani al di fuori della scala sociale, i sublimi adorabili fuori casta), nei quali mi rispecchio occidentalmente e fraternamente appieno… “Il buraka d’occidente è essere nato povero fra i poveri,/ decentrato nell’anima alla vita,/ nell’urbanistica alla città,/ nell’amore al vero amore…”
7. Nello scrivere Shiai e Ai, da come hai precedentemente detto, sembrano non essere presenti influenze da parte di poeti o narratori italiani contemporanei…
- No, nessuna, ma questo non vuole dire che non ammiri autori nostrani, autori che continuo a leggere con alterna avidità da anni; certo sono pochi, “pochi ma buoni”… E degli autori vicino alla mia età ne stimo incondizionatamente due diversissimi tra loro e diversissimi dal sottoscritto: il fiorentino Alessandro Ceni e il romano Claudio Damiani…
8. E dei poeti che hanno iniziato a pubblicare dalla seconda metà degli anni settanta, una tabula rasa?
- Devo premettere, tranne in alcuni rari e ben specifici casi, che sono una decina d’anni (il tempo della stesura di Shiai e Ai) che di questi autori non leggo – e non per questioni di merito o demerito – libri interi, se non qualche sparuta lirica colta qua e là sulla rete o scaglie di volumi inviatemi sottobanco in allegato Word dopo essere state scansionate; è stato come un volere scientemente decentrare con umiltà la mia anima e collocarla in spazi altri, più vitali più oscuri, e forse – lo si spera e senza spocchia – più epifanici. Detto questo e ritornando alla tua domanda, dei poeti di quella generazione ammiro essenzialmente due, agli antipodi tra loro: Giuseppe Conte e Milo De Angelis, che ho ovviamente continuato a leggere, e non sulla rete, acquistando le loro pubblicazioni.
Lamberto Garzia (foto privata)
9. Proprio nessun altro scrittore ti ha spinto ad andare in libreria e comperare un libro?
- Ma qui il discorso tenderebbe a farsi complicato, se solo io mi addentrassi in tediose riflessioni di “teoria poetica”; si complicherebbe tutto, anche se ritengo doveroso ricordare un libro di Valentino Zeichen, che molti anni fa avevo acquistato alla libreria Feltrinelli di via del Baduino a Roma: Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, un libro potente, uno dei libri più belli che siano mai stati scritti sul Tempo e sul suo trascorre, ma è anche il libro più bello (senza distinzioni tra poesia e prosa) e visionario scritto su e per la Città Eterna…
10. Rivolgendoti a un ipotetico lettore, sapresti o vorresti indicare almeno tre poesie del libro in grado di fare da lanternino?
- Al di là della quasi dolce obbligatorietà di leggere il Glossario, indicherei “Affettata fantasia retrò”, dove il termine “affettata” ricompare in altre pagine attraverso sinonimi come artificiosa, leziosa, costruita, sbrodolata ed imbellettata: termini essenziali per comprendere il libro, credo; poi ” Vaniloquio di wodk e sale” (voluto ossimoro etnico/etilico), dove a parlare, e questo accade pochissime volte, è il protagonista maschile del libro (l’uomo d’occidente), e infine non saprei, ma se proprio devo, suggerirei “Lo Shoji, il riso e la carne”…
AFFETTATA FANTASIA RETRO’
Nell’ultimo amplesso l’uke uomo d’occidente
supplicherà al tori donna d’oriente di eseguire
recisa su di lui un sankaku estremo:
sarà così che nell’affettata speculazione della morte
si incideranno i sigilli eterni dell’Amore?
Note:
UKE: colui che subisce l’azione, la parte “passiva”. (Arti Marziali)
TORI: colui che esegue e conclude l’azione, la parte “attiva”. (Arti Marziali)
SANKAKU: strangolamento efficace che si esegue nella lotta a terra con le gambe. (Judo)
SIGILLI/O: nello Shodo (l’arte della calligrafia giapponese) l’atto dell’imprimere uno o più sigilli è, insieme alla firma dell’autore, la parte terminale dell’opera interessata.
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VANILOQUIO DI WODKA E SAKE DELL’UOMO D’OCCIDENTE
È stato il sorteggio a metterci uno di fronte all’altro,
e non la mia fiamma per l’Estremo Oriente,
perché se il destino avesse decretato una donna dei fiordi
o giovani rose uzbeche sarebbe stato uguale: in me Amore
non è la vostra fola della tartaruga e della cicogna bianca
che fanno fuga nel luogo dove l’amore mai non muore,
ma uomo bianco d’occidente che tiene fra le mani un topo
scuoiato e di entrambi il cuore.
Note:
La “donna dei fiordi” rimanda alle figure femminili presenti nell’opera di Henrik Ibsen.
Le “giovani rose uzbeche” rimandano alle figure femminili di Omar Khayyam.
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LO SHOJI, IL RISO E LA CARNE
Presi da terra una manciata di riso
e lo tenni stretto a pugno nella mano
fino a farlo diventare caldo e colloso…
Mi avvicinai allo shoji e in uno spazio rettangolare
della washi feci ideogrammi della parola “seme”,
attingendo con l’indice all’impasto di vita…
Dall’altra parte filtrava una luce di primavera
e odore di mandorlo in fiore ma non il suo muscoso
di uomo d’occidente, e tanto meno del suo corpo
l’ombra o della sua carne il gradevole indecente…
Note:
SHOJI: pannelli che dividono i vari ambienti della casa tradizionale giapponese, realizzati in carta di riso traslucida montata su telaio in legno.
WASHI: raffinata carta giapponese.
Suggerirei inoltre di leggere l’intero lavoro come se fra le poesie e i nostri occhi si fosse interposto un piccolo shoji: adattare la vista, l’udito e l’anima a una certa trasparenza, traslucidità; e l’aver parlato anche di “udito” è perché, se uno riuscirà a immergersi/immedesimarsi nei testi, potrà riuscire a cogliere nello strusciare dei kimoni e dei corpi nudi (maschili e femminili) una particolare, insinuante sensualità sonora, o dolore… “Mi proponesti di fare la danza lasciva/della dea voluttuosa che fuori dalla grotta/di Amaterasu calò le sue vesti fin oltre la peonia rossa;/e negli altri dei alla rappresentazione primordiale/accorsi un salire crescente di selvatica eccitazione…//Come la tua quando improvvisai la danza/e nel traslucido dello shoji una fude-sabaki/bianca su carta di riso…”
11. Nel libro, il personaggio maschile (l’uomo d’occidente), nel suo caotico, ambiguo, artefatto agire negli spazi della quotidiana esistenza e dell’eros, sembra avere una impostazione, oltre che libertina, marcatamente libertaria …
- Probabile che in questo potrebbe assomigliare all’autore, un libertinaggio “malinconico”, un non rettilineo incedere libertario tra feroci consapevolezze e meschine contraddizioni di uomo d’occidente…
“Al di là dello shoji il fruscio seducente del mio kimono/ era come selce contro selce per fare scintilla al tuo ardore/ e non una donna da scorticare rivoltandogli pelle e cuore “.
12. La tua poesia sembra essere desacralizzata…
- Credo che non sia desacralizzata, anzi il “sacro”, se inteso nell’accezione del verbo “sacrare”, mi affascina molto, e molto mi piace accostare il termine hagnòs a quello di “sacro”. Il mio modo di fare poesia è “demistificato”, o forse è meglio dire che non è una “poesia mistica”, poiché ritengo che tale atteggiamento sia essenzialmente dettato da una tensione o un interesse verso le religioni monoteiste, che a me ,pur rispettandole, e conoscendole nei loro superbi testi canonici, poco attraggono, mentre gli autori calamitati verso le religioni politeiste tendono ad una “poesia spirituale”, che è ben altra cosa..
13. Quindi la tua è o si avvicina a una poesia spirituale…
- Ritengo quasi categorico dire proprio di no; ma di certo non è mistica. Non è un merito ma neanche un demerito…
14. Stai lavorando ad un’altra raccolta in versi?
- No, e malgrado dovesse venire quella che si tende a chiamare ispirazione, e ne dubito, categoricamente no, la poesia a me sfibra, scortica, brucia, è come prendere analisi attenta di un vulcano attivo non dall’esterno del cono ma dall’interno della sua camera magmatica… E poi tale ustione è anche dovuta, presumo, all’aver lavorato contemporaneamente alla “rivisitazione/rivoltamento” del mio lavoro ventennale Autoritratto con rosa gialla, che racchiude i libri La Chanson de Lambert e Leda, con l’aggiunta di altri testi e la variazione dei titoli delle raccolte o sezioni – ad esempio, Leda è ora titolata La lingua del falco.
15. Come vedi la situazione delle Arti in genere?
- In questo ventennio sono saliti alla ribalta politici che nulla hanno a che fare con la Polis, persone miserevoli, che hanno sconfinato nella più melmosa indecenza.
In questo ventennio sono venuti alla ribalta artisti (poeti, narratori, “pittori”, personaggi del teatro e del cinema) e giornalisti/saggisti di mediocre valore, paludosi. E, cosa paradossale, sono quasi tutti ostili, giustamente, al deprecabile “berlusconismo”, paradossale e sconcertante – oppositori che, tra gli spazi della giusta resistenza sociale e feroce indignazione, ne hanno tratto vantaggio, forse involontariamente, ma a conti fatti ne hanno tratto vantaggio, eccome…
Su questo ventennio bisognerà farne una pacata riflessione “estetica”, oltre che spietatamente “etica”… ed è stata attraverso una mia particolare e “marziale” riflessione “estetica” che ho deciso di restarne fuori, decentrato rispetto alla palude, all’ambiente letterario… ma i conti si dovranno pur fare, e si faranno.
16. Vuoi intendere che è stato un trarne profitto stando dietro le barricate?
- Più o meno è così, è una classica peculiarità italiota, ma alcuni, come ho già detto, lo hanno fatto involontariamente, dettati dalle più pure delle intenzioni, ma è così, così è stato…
17. E, oltre alla poesia, nessun narratore di valore?
- La narrativa la leggo per passione e logicamente non è che legga tutti i romanzi che escono nella penisola, ma a me piace molto Valerio Evangelisti, scrittore eclettico lontano anni luce dal minimalismo nostrano, Eraldo Affinati, l’autore realmente “etico” italiano, e ovviamente Aldo Busi, che usa tutte le parole del mondo, quando vuole.
18. E il cinema?
- Trovo bravi il primo Sorrentino e Matteo Garrone, e che per altro è un amico di vecchia data.
19. L’arte figurativa, plastica, performance, installazioni?
- Essenzialmente Mimmo Paladino, ma molto di più Ettore Spalletti; e, fuori dall’Italia, anche se ha abitato tanti anni a Roma, lo svizzero Donato Asmutz, che ora risiede a Parigi, un carissimo compagno di “furibonde” notti capitoline, un’intelligenza critica che si avvicina a quella del pescarese Spalletti…
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