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Erik Lamela ha firmato il quinquennale da un milione e mezzo l'anno che sta dando libero sfogo all'immaginazione del popolo giallorosso, sognante in vista della luna di miele a Riscone di Brunico dal 15 al 26 luglio. Celebrato dai giornali e da YouTube, profumatamente pagato dalla Roma - si parla di 10 milioni, più eventuali bonus - ma in pratica sconosciuto alle nostre latitudini.
Tutti parlano di un fenomeno, di un prodigio che a 19 anni dà del «tu» al pallone, ma con queste premesse il rischio di bruciarlo è concreto. Perché, al giorno d'oggi, Lamela non è affatto matura. Anzi, acerba com'è, la sensazione è che la Roma abbia sbagliato a coglierla così presto dall'albero del River Plate, ma d'altronde non aveva scelta: maturare in B Nacional, seconda divisione argentina, per giunta in una squadra allo sbando, sarebbe stato troppo complicato. Non che farlo nella nuova Roma di Luis Enrique e DiBenedetto sia più facile.
La piazza romanista, notoriamente tra le più calde d'Italia, rischia d'incenerirne il piede sinistro, sua unica fonte di sostentamento calcistico. Perché oltre al dribbling ed all'insolita conduzione della sfera, il bagaglio tecnico del «Coco» è ancora piuttosto povero: poco incisivo sotto porta, riluttante all'invenzione per il compagno. Ricorda, non sul piano tattico, Alexis Sánchez: oggi chiacchieratissimo uomo mercato dell'Udinese in procinto di trasferirsi al Barcellona, un tempo inutile dribblomane, transitato per il River Plate proprio come Lamela. Il «Niño Maravilla» ha impiegato due stagioni d'Italia per esplodere, bisogna concedere del tempo anche all'argentino, senza schiacciarne il talento sotto la pressione di dover essere la reincarnazione di Totti: così facendo, Luis Enrique potrà svezzarlo nel migliore dei modi, consegnando alla Roma un grandissimo calciatore.
Rischio opposto, è che Lamela venga aprioristicamente considerato un bidone. Argomentazione principe di chi già lo considera il nuovo Fábio Júnior è la seguente: si fosse trattato di un vero campione, non avrebbe permesso la retrocessione del River Plate. Peccato che, in Argentina, a retrocedere siano le squadre con la peggior media punti delle ultime tre stagioni, e Lamela abbia preso parte solo all'ultima. Eppoi, al giorno d'oggi nessun calciatore è in grado condurre al successo la propria squadra senza l'adeguata assistenza dei compagni: Leo Messi, il migliore del mondo, sta affogando in un'Argentina che pure gli mette a disposizione Tévez ed Agüero, Cambiasso e Mascherano. Figuriamoci se un diciottenne circondato dagli Affranchino e dai Ferrero poteva riuscire in un'impresa simile.
Ultima avvertenza, niente paragoni con il coetaneo Neymar. Stravincerebbe il secondo, come - all'alba degli anni duemila - avrebbe stravinto Michael Owen se messo a confronto con Samuel Eto'o. Occhio quindi a non bruciare Lamela, che non è né un fenomeno né un bidone, ma può diventare entrambi, a discrezione del popolo romanista.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
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