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“Lamento di Portnoy” di Philp Roth

Creato il 18 gennaio 2011 da Abo

“Lamento di Portnoy” di Philp Roth“Lamento di Portnoy” di Philp Roth
Lamento di Portnoy
Philip Roth, 1967
Einaudi, traduzione di Roberto C. Sonaglia
236 pagine, 10,50 euro

A 33 anni Alexander Portnoy è un uomo di successo, che si prodiga senza sosta per perorare le istanze dei più deboli nel suo ruolo di Commissario aggiunto per le risorse umane del comune di New York.
Alexander Portnoy ha però un’altra faccia, di cui si vergogna ma di cui non riesce a liberarsi: è ossessionato dal sesso.
A sentire il suo racconto (Lamento di Portnoy è un lungo monologo in cui il protagonista si racconta al dottor Spielvogel, suo psicanalista) le cause di questa dipendenza sono tutte da ricercarsi nella sua educazione.
Nato in una famiglia della media borghesia ebrea di Newark, sin da ragazzo gli è stato prospettato un futuro già segnato: trovare una brava ragazza ebrea, mettere su famiglia, vivere da timorato di Dio.
Portnoy ha ben presto però dimostrato insofferenza verso questo idilliaco quadretto: soffocato da una madre iper-apprensiva e da regole religiose che non sente sue, Alex ha provato un’irresistibile attrazione per le shikse, le ragazze non ebree, e a loro in gioventù ha dedicato una montagna di fantasie erotiche fatte di masturbazioni compulsive e instancabili.
Diventato adulto, le fantasie hanno poi trovato sfogo nella realtà.
La reazione di Alex non è però priva di tormenti interiori: in bilico tra la ribellione alle proprie radici e il rimorso, plasmato da un senso del melodrammatico ereditato dai genitori, Alex si sente involontariamente ridicolo:

Dottor Spielvogel, questa è la mia vita, la mia unica vita, e la sto vivendo da protagonista di una barzelletta ebraica! Io sono il figlio in una barzelletta ebraica… solo che non è affatto una barzelletta!

Ogni amplesso porta con sé un misto di autocommiserazione e rivalsa, ed è in questo territorio di mezzo che si collocano tutti gli aspetti della vita di Portnoy, un mancato senso di appartenenza che si potrebbe rissumere nel suo sentirsi ebreo tra i non ebrei, non ebreo tra gli ebrei, e odiare tuttti allo stesso modo:

Come riescono ad essere disgustosi gli esseri umani! Io disprezzo gli ebrei per la loro ristrettezza mentale, per l’ostentazione della loro rettitudine, per l’incredibile, bizzarra pretesa di quei trogloditi dei miei genitori e parenti di essere qualcoosa di superiore… ma quando si tratta di pacchianeria e ostentazione, di credenze che farebbero vergognare persino un gorilla, è praticamente impossibile raggiungere i livelli dei goyim. Che razza di rincoglioniti da quattro soldi sono costoro per adorare un tizio che, primo, non è mai esistito e, secondo, se è esistito, a giudicare da quel quadro era senza dubbio La Checca della Palestina […] Basta con Dio e con tutta questa spazzatura! Abbasso la religione e l’umana umiliazione!

Capace di repentini cambi di umore (mirabile il passaggio dal “ti amo, diventa mia moglie, madre dei miei figli” al “ah, adesso ti scopo, fottuta santarella ebrea!” che Portnoy riserva a una ragazza appena conosciuta durante un viaggio in Israele), terrorizzato dalle malattie veneree, scapolo d’oro che vorrebbe trovarsi una moglie ma si imbatte in donne che non ritiene degne: tutto questo è Alexander Portnoy.
Un uomo preda degli istinti, che solo nel vagheggiare momenti del suo passato trova sprazzi di pace interiore:

Ed è vero, no? – incredibile ma vero – che c’è gente che prova nella vita la disinvoltura, la fiducia in sé, la semplice ed essenziale sintonia con gli avvenimenti che io ero solito provare come esterno centro dei Seabees (squadra di baseball, NdA)? Perché, vede, non si trattava di essere il miglior esterno centro, bensì solo di sapere con precisione, fino al più piccolo particolare, come dovesse comportarsi un esterno centro. E c’è gente simile che cammina per le strade degli USA? Le chiedo: perché non posso essere uno di loro? Perché non posso esistere adesso come esistevo per i Seabees là all’esterno centro?

La sua storia, o per lo meno la parte che racconta al suo analista, si conclude con un viaggio in Israele, alla ricerca delle proprie radici. Se pensate che in Terra Santa troverà un equilibrio, ancora non conoscete Alexander Portnoy.

Di Philip Roth avevo sinora letto solo La macchia umana, uscito nel 2000 e portato sul grande schermo con Anthony Hopkins e Nicole Kidman come protagonisti.
Ricordo che il romanzo mi aveva conquistato per la qualità della scrittura, ma anche che lo avevo trovato piuttosto lento e pesante.
L’impatto con Lamento di Portnoy è stato quindi sorprendente: la lettura diverte e soprattutto scorre rapida. Trattandosi di un lungo monologo non è risultato da poco, che Roth raggiunge grazie al gioco dei salti temporali e delle associazioni libere, facendo cioè svolazzare il protagonista sulle macerie della propria vita, e facendogli descrivere senza filtri ciò che vede.
Già, senza filtri, perché al proprio analista si dice tutto, anche le cose che più imbarazzano. Aspettatevi quindi argomenti più che espliciti, confessioni proibite, e dichiarazioni programmatiche come questa:

Forse è tutto ciò che sono realmente: un leccatore di figa, una bocca schiava del buco femminile. Lecca! E così sia! Forse la soluzione più saggia per me è vivere a quattro zampe! Strisciare attraverso la vita ingozzandomi di passera, lasciando che a raddrizzare i torti e a fare i padri di famiglia siano le creature erette!

Se linguaggio e temi non vi scandalizzano, riderete di gusto.
Lamento di Portnoy è uno di quei romanzi che coincidono con il proprio protagonista, con la sua visione del mondo. Nella sua sessualità bulimica, nell’autoironia amara, nella messa in discussione dei principi con cui si è cresciuti, senza per altro proporne di alternativi, Portnoy somiglia molto a un altro ebreo di rottura: Woody Allen. E non mi stupirei se questi avesse attinto a piene mani dal libro molte delle tematiche che lo hanno reso noto.

Pro:
- La Scimmia, una delle poche donne con cui Portnoy riesca a stabilire una relazione duratura ed esilarante.
- La madre di Portnoy, una donna che si aspetta sempre il peggio. Se il marito rincasa con 5 minuti di ritardo, lei ha già immaginato i tragici titoli dei giornali che ne descrivono la morte cruenta.

Contro:
- Parecchio scurrile; a me i termini sporcaccioni divertono un sacco, ma potrebbero infastidire qualcuno, quindi siete avvertiti.

La citazione:
Sogni? Magari lo fossero stati! Ma io non ho bisogno dei sogni, Dottore, ecco perché non ne faccio: perché al loro posto mi ritrovo una vita del genere. Con me tutto accade alla luce del giorno! Lo sproporzionato e il melodrammatico, ecco il mio pane quotidiano!


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