L'ANELLO DI FERRO e UN CUORE NELLE TENEBRE
LE NOSTRE FANFICTION
Qualche giorno fa la Leggereditore ha pubblicato sul blog ufficiale le fanfiction che hanno vinto il concorso legato all'uscita dei romanzi UN CUORE NELLE TENEBRE di Roberta Ciuffi e L'ANELLO DI FERRO di Ornella Albanese. In attesa della premiazione delle vincitrici, che avverrà a Matera, abbiamo pensato di omaggiare sia le autrici, per il loro debutto in libreria, sia la Leggereditore, per la scelta di dare spazio alle autrici italiane e per le iniziative con cui coinvolge le lettrici, pubblicando sul nostro blog due fanfiction ispirate ai medesimi libri, scritte da due nostre bravissime blogger.
Maet, che già conosciamo come narratrice grazie alla fanfiction di "Slightly Dangerous", si è calata nelle atmosfere oscure di Un Cuore nelle Tenebre, e state pur certe che anche in questo caso saprà catturarvi e conquistarvi. Antonella, che ci ha deliziato con diversi articoli storici, tra cui vi ricordo il bellissimo "Sulle Tracce di un Lord", per la prima volta si è cimentata in un racconto, e non mancherà di affascinarvi e di trasportarvi nelle atmosfere de L'Anello di Ferro.
IL RICHIAMO DELLA FORESTA
di Maet
La carezza lieve del vento sulla pelle, il suolo rigido ed estraneo come giaciglio, il profumo intenso e penetrante degli alberi che pungeva le narici.
Melissa si svegliò di soprassalto con un gemito, sgranando gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco quanto la circondava. Gli arti, pesanti e intorpiditi, non rispondevano.
Un senso di vuoto assoluto e il panico del disorientamento le si intrecciarono dentro come un rampicante velenoso. Poi, con un lampo, frammenti sfocati di ricordi riemersero alla coscienza. L’attesa vana di Orlando nel grande letto a baldacchino, il rigirarsi ansioso e rabbioso tra le lenzuola di lino, il dormiveglia agitato. Quindi l’aveva colta la smania improvvisa che sempre più di frequente l’assaliva, forzandola ad alzarsi dal letto, benché sapesse di non doverlo fare. Ma il richiamo era stato troppo forte, qualcosa di potente e misterioso al contempo l’aveva attratta fuori dalla sua stanza, spingendola ad abbandonare Villa Gradioli. I suoi piedi piccoli e pallidi si erano mossi come animati di volontà propria, seguendo sicuri un sentiero noto solo a loro, in cerca di libertà. Libertà da un matrimonio con un uomo squallido, dal figlio mal riuscito che le aveva dato, da un titolo di marchesa completamente inutile e sprecato in quel lugubre paese sperduto tra i monti. Da un’esistenza che era solo una prigione di sbarre invisibili, più opprimenti di qualsiasi lega di metallo.
Adesso era in una fitta foresta, gli enormi alberi un’ombra nera che si stagliava contro il blu cobalto del cielo. Si trovava sdraiata, nuda, sotto un cumulo di foglie secche, che la ricoprivano quasi completamente come un manto color bronzo.
Una sensazione di spossatezza le pervadeva il corpo, ma era una sensazione non del tutto spiacevole, come se avesse fatto dell’esercizio fisico.
Il bosco era quieto e silente, quasi che anch’esso fosse stremato. Non la respingeva ed in un certo qual misterioso modo la accoglieva.
La terra sulla quale era stesa era quasi morbida e tiepida e odorava di primavera, anziché d’autunno.
Avrebbe dovuto andarsene, una parte di lei le suggeriva di farlo, ma l’altra le sussurrava di restare in quel luogo fatato, a contatto con la natura, lontano dalla perfidia degli uomini e dalla codardia delle donne. Se avesse abbassato le palpebre e chiuso il pensiero, Morfeo l’avrebbe celermente accolta tra le sua braccia. Sarebbe potuta rimanere lì, nascosta ed al sicuro, con le foglie morte come sorelle.
Nonostante il torpore percepì una presenza. Non si volse né tentò alcun movimento. Attese che l’essere si avvicinasse. Nessun suono ne tradì la vicinanza, eppure seppe che era lì.
Un grosso lupo nero la scrutava, col muso vicinissimo al suo volto. La notte non celava la sua forma snella ed allungata né il bagliore dei suoi occhi di un azzurro chiarissimo e luminoso. Doveva scappare, subito!
Ma non mosse nemmeno un muscolo, ipnotizzata dallo sguardo dell’animale.
Che la inchiodava al suolo.
Anche lui era immobile e la fissava. Poi prese ad annusarla, lentissimamente.
Dalla testa ai piedi e indietro dai piedi alla testa. Pareva avere tutto il tempo del mondo.
La sua paura cessò immediatamente, sostituita da una strana calma.
Il lupo non fece alcuna mossa aggressiva nei suoi confronti, anzi pareva studiarla.
Inclinò il capo da un lato e socchiuse gli occhi. Totalmente assorto da lei.
Rimase così per diversi minuti quindi avvicinò il muso al suo collo e iniziò a leccarlo, con perizia e metodo.
Come fosse un osso succulento.
Come fosse il suo pasto.
La sua lingua era bollente e leggermente ruvida e non smetteva di accarezzarla. Da sinistra a destra, dall’alto in basso. Non smetteva e non si stancava.
Lei sapeva che avrebbe dovuto essere disgustata od in alternativa spaventata, invece non era né l’una né l’altra. Si sentiva invasa da un curioso calore, tenue e bruciante a un tempo che la spingeva a sottomettersi docilmente, ad assecondarlo e a dargli di più.
Senza nemmeno rendersene conto si scoprì il collo e glielo offrì, come un dono prezioso.
Il lupo si immobilizzò un istante poi aprì la bocca ed allargò le fauci pronto a morderla. Dapprima le fece sentire i denti, come per darle un ultima possibilità di ritrarsi poi affondò i canini nella sua giugulare. I denti entrarono dentro di lei lacerandola e prendendo possesso del suo corpo, del suo sangue.
Sentiva il battito del suo cuore accelerato pulsare nella bocca dell’animale mentre le strappava la linfa vitale, mentre suggeva da lei ogni goccia.
Mentre la svuotava di se stessa.
Il dolore era presente, ma talmente mescolato con un riflesso di piacere da confonderla e più lui la privava della sua forza più la sua beatitudine aumentava, come se nel soccombere lei potesse trovare il vero appagamento.
Non tentava nemmeno di fuggire alla sua morsa, non lo desiderava, voleva restare così per sempre, sotto di lui, sotto una belva.
Il suo vigore scemava e per contro quello di lui aumentava sempre più.
E lei ne gioiva tutta
Ora comprendeva che era giusto così, quello che aveva cercato senza sapere cosa fosse era in realtà questo, farsi divorare per essere dentro di lui e con lui.
Per fondersi con la bestia.
Per dargli e darsi energia.
Per liberarsi del proprio corpo affinché lui se ne nutrisse. E rinascere, nuova e invincibile Eva, una creatura slegata dagli inutili lacci della debole umanità. Divenire finalmente energia e potenza e forza e bellezza. Quanto aveva atteso questo momento, quanto l’aveva agognato? Oh sì, era il suo destino e si stava compiendo.
Melissa si sentì sopraffare dalle sensazioni, drogata dalla quantità e dalla varietà degli stimoli che la colpivano. Turbinavano dall’interno e la sferzavano dall’esterno. La fame del lupo era la sua ora e pulsava senza requie. La ragione arretrava di fronte all’istinto. Voleva sentire il sangue, il sangue il sangue!
Un grido squarciò la notte.
Melissa si alzò a sedere di scatto sul letto, tremante e senza fiato. Si portò una mano alla gola e si guardò attorno. Era nella sua camera e non aveva ferite. Era stato solo un incubo, uno sciocco e terribile incubo. Non si concesse nemmeno il tempo per calmarsi e si recò scalza e in camicia nella nursery. Il piccolo Edmondo dormiva tranquillo, l’espressione stolida nel sonno tanto quanto nella veglia. Era forse cattiva per quello che aveva sognato? Una fitta spiacevole le si agitò in petto, subito sostituita da una certezza granitica: lei era la migliore delle madri, anche se il Signore l’aveva punita con un figlio non normale. Nulla di male gli sarebbe mai accaduto, fintanto che l’avesse protetto. Nulla di male sarebbe mai accaduto a nessuno di loro. Melissa si girò verso la finestra e socchiuse le tende, la luna era piena e le sorrideva. Si passò la lingua sui denti e sentì un gusto ferroso sul palato e tanta, tanta fame.
LA NOTTE DI SILIA
di Antonella
Il respiro dell’uomo si era fatto pesante e regolare. Un sonno profondo, finalmente, era caduto su di lui a sigillare una giornata che forse avrebbe cambiato il suo destino più delle molte battaglie combattute.
Silia di Rosetum si sforzò di chiudere gli occhi, domandandosi perché mai solo poco prima l’avesse istintivamente salvato dal pugnale di un traditore, lei prigioniera in catene dell’odiato nemico della sua famiglia.
A Petrae Roseti, la notizia del ritorno di Manlius non aveva destato preoccupazione; tutti avevano pensato che il futuro conte, sazio di guerra, avrebbe apprezzato la tranquillità del feudo paterno: si sarebbe sposato e forse i suoi figli avrebbero dimenticato le rivalità del passato.
Invece il condottiero, animato da una furia inspiegabile, aveva immediatamente ripreso il cammino, dirigendosi in armi verso i Rosetum: alla guida di un piccolo esercito, composto da suoi fedeli e da mercenari assoldati, sembrava avere tutta l’intenzione di prendere d’assalto Petrae Roseti o cingerlo d’assedio.
Maledetti Tarsia! Non erano abbastanza vasti i loro possedimenti? Non erano sufficienti le loro ricchezze?
Silia ricordò la dolorosa certezza del fratello: né il valore, né il coraggio di tutti loro, avrebbero evitato la distruzione del villaggio e del castello. Gli uomini sarebbero stati uccisi, le donne violate, i bambini fatti prigionieri. La fortezza era troppo piccola e troppo poco fortificata per resistere a forze così ben organizzate e ancora una volta per i Rosetum l’unica salvezza possibile risiedeva nell’astuzia. Per questo la giovane donna aveva acconsentito al piano: travestita da schiava di un finto mercante, si era avvicinata alle truppe dei Tarsia con lo scopo di attirare in un’imboscata Manlius e farlo prigioniero.
Sembrava facile: sapeva di essere bella, sapeva di poterci riuscire.
Non sapeva che lui fosse così forte e attraente. Così coraggioso. Leale.
Pur credendola una schiava, aveva impedito che cadesse preda del crudele comandante dei mercenari, guadagnandone in cambio l’odio mortale; aveva osservato in silenzio le catene che l’avvilivano ma i suoi occhi profondi non l’avevano privata della dignità, né l’avevano esaminata come fosse solamente un corpo da usare per il proprio piacere.
Ah, i suoi occhi!
Sentiva ancora il loro sguardo caldo che scivolava sulla pelle, così come rivedeva la bocca dalla linea severa e dalla forma generosa.
Si agitò inquieta, rigirando fra le dita l’anello di ferro al quale aveva affidato la difesa della sua virtù, millantandone, con aria di sfida, la punta intrisa di un veleno mortale; per questo e per il colore chiarissimo dei suoi occhi che incutevano soggezione, era stata lasciata in pace, quasi fosse una specie di strega in grado d’infliggere terribili punizioni a chiunque le si fosse avvicinato.
Com’erano ingenui gli uomini!
Si domandò se fosse stata veramente la paura di un sortilegio a tenere Manlius lontano da lei, a far sì che la lasciasse dormire da sola, in terra, all’ingresso della sua tenda. Forse, pensò, solo lei aveva avvertito fra loro l’alchimia di una potente attrazione, forse la sua bellezza non l’aveva davvero colpito e attirarlo lontano dall’accampamento non sarebbe stato così facile come aveva creduto. Sospirò piano. Tutto sembrava più complicato del previsto e nulla era veramente come sembrava.
L’aveva sentito parlare di vendetta di un delitto atroce, un motivo assai diverso dalla pura avidità di conquista, anche se non capiva quale legame potesse esservi con la sua famiglia. Tuttavia, lei non poteva fallire: doveva fermarlo o tante vite innocenti sarebbero state spezzate.
Fermarlo, ripeté a se stessa con convinzione, certo non ucciderlo a tradimento, così come era quasi accaduto poco prima per mano del turpe, vendicativo mercenario.
S’impose di riposare un poco, allungando le membra indolenzite per quanto lo consentivano le catene.
Un sottile fruscio, un alito appena nella calda aria notturna, fu tutto ciò che avvertì prima di rendersi conto della sua presenza.
Si alzò di scatto, le braccia protese in avanti per difendersi, la bocca aperta in un urlo ancora silenzioso. Una mano ferma le strinse la spalla in un gesto di possesso, non del tutto privo di una forza rassicurante.
“Tacete. Non voglio farvi del male”. La voce profonda di Manlius l’avvolse morbidamente, penetrando le sue difese.
“Cosa volete, allora?” riuscì a bisbigliare, articolando le parole come se non le appartenessero. “Nulla di buono può venirmi da voi”.
Alzò la mano verso di lui e al debole chiarore della luna che s’insinuava fra i teli dalla tenda, l’uomo vide la forma scura dell’anello che le circondava il medio sottile.
“Davvero avete creduto che temessi il vostro veleno o le vostre arti?” Lui rise piano, con un profondo suono di gola.
“Dovreste” rispose Silia con voce incrinata “se avete cara la vita”.
“Ben poca stima avrei di me stesso se mi facessi arrestare dagli ostacoli che incontro sulla mia strada. Per quanto mi riguarda, gli ostacoli esistono solo per essere rimossi”. La mano dell’uomo, forte e decisa, raggiunse le sue dita, sfilandole velocemente il cerchietto di ferro.
“Un anello troppo brutto per una donna bellissima” disse gettandolo lontano con noncuranza. Poi, con un movimento fluido, le si inginocchiò accanto.
Mani forti, grandi e ruvide si chiusero intorno al suo viso, alzandolo verso di lui.
“I vostri occhi sono gocce d’argento fuso, un contrasto affascinante con la pelle di miele e i capelli d’onice. Occhi insoliti, indimenticabili per chi ha la fortuna d’incontrarvi. O dovrei dire la sfortuna?” sussurrò quasi ragionando con se stesso.
Il cuore coraggioso di Silia mancò un battito. Che significato avevano le sue parole? Nonostante il lieve affanno che le stringeva la gola, cercò una risposta che lo distraesse. “Non sono così diversa dalle donne del mio paese” riuscì a mormorare.
“Forse non vi siete spinto abbastanza al Nord” provò ad inventare, sperando che non si fosse mai avventurato in quella direzione.
“Bugiarda”. La voce era ancora carezzevole, con un fondo di divertito sarcasmo.
“Come osate?” troppo tardi si morse le labbra, dalle quali era sfuggita istintiva la protesta orgogliosa, assurda sulla bocca di una schiava.
“Cosa, Silia? Dire che menti? Oppure fare questo?” Le depose sulla fronte un lieve bacio.
“O questo?” Le labbra scesero lentamente lungo la tenera guancia. “O ancora questo?” sussurrò prima di fermarsi sulla gola palpitante.
“Allora tu sai…” fu quasi un singhiozzo.
“Zitta, Silia, sta’ zitta”. Finalmente, la bocca di Manlius si chiuse calda e ferma sulla sua, rubandole con il respiro la volontà di opporsi al destino.
La gioia le esplose nella mente e nel cuore. L’aveva riconosciuta. Dopo tutto quel tempo, non aveva scordato la ragazzina dai lunghi capelli neri incontrata nel bosco al confine delle sue terre.
Si erano ritrovati. Nello spazio di un bacio, entrambi dimenticarono se stessi, il passato, il presente. Si persero nuovamente, insieme.
In quella notte incantata dall’unica vera magia, gli odi antichi finalmente si ricomposero e la vita tracciò un nuovo cerchio d’amore.