E proprio dal piccolo Marian emerge il risvolto più significante del film: l’ostinazione che lo spinge ad intraprendere il difficile itinerario verso la cittadina e quindi a costringere il padre riluttante ad un micro tour de force, è ben più che un semplice capriccio infantile. Già nel 2000 con ZappingCristian Mungiu aveva denunciato attraverso un apprezzabile registro grottesco la forte dipendenza di un cittadino rumeno verso il tubo catodico, finto recipiente utopico che nascondeva invece uno spietato meccanismo oligarchico (ed ogni metaforica conclusione è lasciata allo spettatore…), sette anni dopo la soggezione nei confronti dello schermo casalingo pare non abbia mollato la presa, ce lo dicono le persone fuori dall’abitazione del signor Bichescu che appare come un oracolo in attesa di dare udienza, e ce lo dice, appunto, Marian e il comportamento che tiene verso quella che è soltanto una scatola piena di circuiti (le lacrime per la mancata sistemazione da parte di Bichescu; la preoccupazione per l’incidente sulla strada del ritorno), ma l’occhio di Jude non è un occhio che condanna, è piuttosto un invito a prendere atto di come nel 2007 in Romania (e oggi non si sa se ci siano stati cambiamenti) l’unico modo per un bambino di evadere dalla quotidianità, per aprirsi all’altro, per sognare, era quello di guardare un film con Bruce Lee.
P.S.: la locandina che vedete sopra non riguarda il corto sotto esame (sebbene il frame sia tratto da esso) ma la raccolta di racconti scritti da Florin Lazarescu contenente quello che poi ha ispirato Radu Jude.