Alessandro Cartosio, palermitano trapiantato nel resto del mondo, ha scelto di dedicare la sua vita allo studio della grammatica per immagini. La sua vocazione cinematografica, come tutte le autentiche predisposizioni, è una geografia che non ammette confini divisori. L’obiettivo declina l’immagine in un racconto puramente filmico o in un ritratto documetaristico, in base alle specifiche richieste di ogni storia. Così, i primi di marzo, forse anche sotto l’influsso della leggendaria pazzia di questo mese, Cartosio decide di scendere da Parigi a Lampedusa per incontrare di persona la massa umana di storie che a tutt’oggi continua a inondare l’avamposto marino della speranza africana. Quelle che seguono sono le note scritte a margine del suo viaggio, il diario di un’esperienza diretta e senza mediazioni che ha voluto regalare al nostro etereo zucchero di Pupi, e che felicemente rilanciamo come testimonianza mai superflua di denuncia, impegno, passione, umanità.
Il superamento dell’immagine tele giornalistica consente di vedere l’umanità vera. E’ quello che mi è successo durante questo soggiorno lampedusano. Vivere l’isola in inverno, lontano dal caos turistico estivo, è un’esperienza di per sé straniante. Lampedusa, come l’ha definita uno stesso abitante con cui ho parlato è una sorta di non luogo, questo signore l’ha definita “uno scogghiu in menzu a lu mari”. Effettivamente questo scoglio è una terra di tutti e di nessuno. Situata più a sud di Tunisi, e parecchio distante dalle coste di Agrigento, Lampedusa appare di diritto più tunisina che siciliana. In realtà, proprio la sua natura mistica e le sue dimensioni limitate la fanno diventare luogo di condivisione e tolleranza.
Chi ruberebbe mai su un’isola? Chi ucciderebbe? Nessuno. È un luogo perfetto e inquietante: al contempo protettivo e opprimente. La presenza del mare la fa da padrona. Ci si sente in balia della natura. Basterebbe un’onda non tanto alta per spazzare via tutto, altro che tsunami! In questo scoglio dalle rocce aspre si ritrova una comunità mista. I ruspanti isolani e i loro storici ospiti di passaggio, che vedono l’isola come la porta della Grande Europa: gli immigrati.
Nei giorni in cui sono stato sull’isola ho potuto constatare la situazione vivendo certi eventi anche drammatici in prima persona. Ho assistito a ben tre sbarchi nella notte del 7 marzo. I primi due avvenuti con quelle che vengono definite “le carrette del mare, le barchette della speranza”. Che hanno trasportato circa una sessantina di persone, tutti uomini. Circa 4 i giorni di navigazione dalle coste di Djerba. Poi ho assistito ad un salvataggio della guardia costiera che ha recuperato un’imbarcazione al largo del porto vecchio facendo salire a bordo un’altra sessantina di persone. Questa volta tra loro c’erano anche donne e bambini. Mentre scrivo invece ho ricevuto conferma di un’imbarcazione affondata non lontano dalle coste di Tunisi. 35 dispersi.
Il mediterraneo è per ora un cimitero a cielo aperto. E al contempo la via della speranza per molte genti del nord africa. La situazione egiziana e quella libica che sta precipitando sta facendo aumentare il desiderio di fuggire. I tunisini con cui ho parlato non hanno esitato a dire che Ben Alì è un dittatore, un ladro e che in Tunisia, e in tutto il mondo arabo, non c’è libertà. Inoltre la situazione di anarchia in cui sono precipitati questi paesi non fa che aumentare la precarietà e il disagio. Manca il lavoro. Non si sa come sfamare la famiglia.
Un ragazzo di Tunisi con cui ho parlato mi ha detto una cosa molto forte: ci sono persone che vendono gli oggetti di valore della madre, collane, eventuali gioielli per poter pagarsi il viaggio verso l’Europa. Il loro sogno è spesso quello di raggiungere la Francia dove hanno già dei parenti. Lì cercheranno il lavoro. Si legge nei loro occhi felicità, stanchezza ma soddisfazione. L’Europa rappresenta la speranza. La situazione dell’isola è comunque surreale. L’isola è di fatto militarizzata. In mano a Polizia, carabinieri, croce rossa, guardia costiera, guardia di finanza, volontari, frontex, medici senza frontiere, operatori del CIE e tantissimi giornalisti, fotografi, video reporter e documentaristi come me, freelance.
Il centro di identificazione e di espulsione è al collasso. Ci sono attualmente circa 2600 persone e sbarchi continui. I cittadini di Lampedusa sono persone altamente tolleranti e ospitali anche se dicono di avere paura e molti sostengono che la situazione è a limite. Per quanto gli immigrati vengano poi “smistati” nei centri di Bari, Crotone, presto anche Mineo, l’isola è per ora piena di tunisini. Sostanzialmente è il mare che “decide” quando avverranno gli sbarchi. Le condizioni metereologiche infatti sono determinanti per la traversata del mediterraneo. La situazione è da seguire di ora in ora. Perché quello che sta succedendo in Libia può determinare scenari internazionali imprevedibili. L’Europa e la Sicilia per la sua posizione “strategica” stanno giocando un ruolo fondamentale in questi momenti. Spero che i siciliani se ne rendano conto in pieno. (Alessandro Cartosio)
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Tags: alessandro cartosio, diari, documentari, guerra, immigrazione, lampedusa, libia, sbarchi
Scritto da Marco Bisanti il 29 marzo 2011 alle 09:46 | Cinematografo, Fruizioni, Sguardo dal sud. Segui i commenti con il feed RSS 2.0 Qui trovi tutti gli articoli di Marco Bisanti Lascia un commento, o un trackback dal tuo sito.