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Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1

Creato il 13 ottobre 2015 da Sarahscaparone @SarahScaparone

L’isola di Lanzarote, Canarie, luogo che l’immaginario comune associa a spiagge assolate e atmosfere tropicali, riserva molte sorprese al viaggiatore curioso. Tra queste, una viticoltura eroica, praticata in condizioni proibitive da generazioni di campesinos, la cui tenacia si è meritata l’onore di un monumento, posto al centro dell’isola e firmato da una gloria locale, César Manrique, artista poliedrico, architetto e paladino dell’integrità paesaggistica di Lanzarote.

Parco vulcanico di Timanfaya

Parco del Timanfaya (c) Paolo Barosso

È percorrendo in auto la regione di La Geria, nome forse ricalcato su un vocabolo protoberbero, traccia semantica dei primitivi abitatori dell’isola colonizzata dagli Spagnoli, che si acquisisce consapevolezza dell’eccezionalità del paesaggio vitato di Lanzarote, dove domina il contrasto cromatico fra il nero della ceniza (cenere) vulcanica e il verde della vite.

Il 1° settembre 1730, come annota Lorenzo Curbelo, curato di Yaiza, la terra si aprì a Timanfaya e un’enorme montagna “se levantò del sieno de la tierra”. Il fatto segnò l’inizio delle eruzioni vulcaniche che in sei anni mutarono il volto dell’isola, facendo sì che buona parte del terreno un tempo fertile, sfruttato per la cerealicoltura, venisse ricoperto da colate laviche e depositi piroclastici, lapilli e cenere, dallo spessore variabile da 30 centimetri a 3 metri. Cessata l’attività eruttiva, si intuì il potenziale di questi depositi vulcanici, cui ci si adattò ideando peculiari tecniche di coltivazione.

Nella regione di La Geria, Masdache e Tinajo, si reimpiantarono le viti, scavando nello strato di ceniza vulcanica, detta picòn nelle Canarie, rofe o arena a Lanzarote, grosse buche ad imbuto (hoyos), di diametro e profondità differenti a seconda dello spessore del picòn, allo scopo di raggiungere la terra fertile sottostante e mettere a dimora la pianta. Fu così che si plasmò l’attuale paesaggio vitivinicolo di Lanzarote, caratterizzato (almeno nella zona de La Geria, dove prevale questa tecnica di coltivazione, comunque non esclusiva) da una sequenza più o meno regolare di buche ricavate nella ghiaia vulcanica all’interno delle quali dimora la vite, tenuta bassa, a cespuglio, e a contatto con la terra fertile.

Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1
Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1
Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1

La cenere vulcanica, fungendo da isolante, trattiene l’umidità proveniente dalla roccia, previene l’erosione del suolo e protegge la vite dalle malattie, oltre ad arricchirla in sostanze minerali. Inoltre il nero della ghiaia vulcanica assorbe i raggi solari, mantenendo la temperatura del suolo più alta rispetto a quella dell’atmosfera esterna: in tal modo si facilita lo sviluppo della vite e s’incrementa il contenuto in zuccheri dell’acino.

L’efficacia di questo metodo di coltivazione, che rimedia agli svantaggi di un clima avaro di precipitazioni, convinse i campesinos ad applicarlo anche laddove la cenere vulcanica non s’era depositata, usando per trasportarla il dromedario o cammello canario, giunto qui dal Nord Africa nel XV secolo.

L’isolamento di Lanzarote è poi alla base di un’altra caratteristica della viticoltura locale, il fatto che tutte le viti siano su piede franco: qui, infatti, non giunse la mai la fillossera, il piccolo insetto che flagellò le vigne d’Europa tra Otto e Novecento imponendo l’innesto delle viti europee su radici di varietà americane (immuni dal contagio).

Vigne 2

Vero cruccio del campesino di Lanzarote, oltre alla siccità, è il vento, non solo quello rovente che spira dal Sahara, detto calima, ma anche quelli talvolta impetuosi che soffiano da nord-est, gli Alisei. L’esigenza di proteggere la vite dal vento spiega la presenza dei muretti semi-circolari (socos) che delimitano il perimetro delle buche, consentendo comunque, grazie alla porosità delle pietre laviche con cui sono costruiti, la necessaria aerazione dei grappoli.

L’introduzione del vitigno più famoso di Lanzarote, la Malvasia, risale al primo Ottocento, quando la varietà, originaria di Asia Minore e Grecia e già presente da tempo a La Palma e Tenerife, si acclimatò a tal punto sull’isola da acquisire caratteristiche proprie, che la fanno oggi classificare come cultivar a sé, detta Malvasia Vòlcanica (mentre la Malvasia di La Palma è nota come Aromatica o Auténtica).

Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1
Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1
Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1
Lanzarote, tra viticoltura eroica e suggestioni culinarie/1

Un tempo vinificata dolce (già Shakespeare elogiava il vino delle Canarie, detto Canary, apprezzato anche sulle tavole dei Savoia), oggi, accanto alle tipologie dulce e semidulce, la si impiega per produrre vini bianchi secchi, con acidità elevata e complessità aromatica. Assaggiate quelli prodotti dalle bodegas de La Geria, tra cui El Grifo, la più antica, risalente al 1775, contrassegnata dal logo disegnato da Manrique, e Rubicòn. Degni di nota anche i vini della Bodega Vulcano a Tìas. Nell’isola si coltivano poi altre varietà tradizionali, sia a bacca bianca, come Listàn Blanco, Diego, Moscato d’Alessandria, sia a bacca nera, come il Listàn Negro, predominante a nord nell’area di Ye-Lajares, accanto a vitigni d’importazione quali Syrah, Baboso Negro, Tintilla.

Paolo Barosso

Tutte le foto sono di Paolo Barosso



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