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Al suo secondo lungometraggio, Hayo Miyazaki ha ben capito la formula giusta per conquistare il suo pubblico e rendere le sue opere immortali.
Il suo creare mondi fantastici, il suo aggrapparsi alla nostalgia del mondo dell'infanzia che diventa protagonista, sono sicuramente gli ingredienti principali che ne decretano il successo. Ma c’è sempre qualcosa in più, c’è quel pizzico di magia via via diverso per ogni suo progetto che riesce a renderlo così unico.
Laputa rispecchia alla perfezione quel creare un universo fantastico aderente al reale, con quel castello nel cielo che lascia a bocca aperta e che si staglia tra le nuvole sopra un villaggio isolato altrettanto meraviglioso. I protagonisti sono poi due giovani ragazzi, Pazu, orfano dalle mille risorse e dalle mille conoscenze, volitivo e generoso, e Sheeta sballottata nella sua vita tra militari e pirati che vogliono impossessarsi della misteriosa pietra che tiene al collo e che solo lei riesce a far funzionare.
Proprio quella pietra li fa incontrare, facendo fluttuare nell’aria Sheeta, che trova così in Pazu un rifugio quasi sicuro inseguita com’è da tutti.
Ma la loro avventura è solo all’inizio, e Miyazaki, dividendo in tre parti ricche di humor e soprattutto di azione la sua storia, ci mostra tutti i voli che la fantasia sa fare, tutte le corse a perdifiato, le svolte e gli aiuti che nella loro strada questi ragazzi incontreranno.
E qui sta quel pizzico in più, non solo nella creazione di un castello incantato architettonicamente imponente che prende spunto nientemeno che da I viaggi di Gulliver di Swift, ma nella composizione di personaggi secondari unici, che rendono più pepata la storia. Parlo ovviamente del vecchio saggio Pon, ma in particolare della ciurma di pirati capitanati dalla folle Dola, inizialmente cattiva ma che poco a poco diventa non solo alleata di Pazu e Sheeta, ma loro amica. Con la sua energia e i suoi modi buffi e bruschi, con i suoi figli a lei succubi e presto vittime del fascino di Sheeta, a lei spetta la parte humor del film.
Laputa, per quanto un filino troppo lungo, scorre così liscio, in acrobazie nel cielo e in sussulti del cuore, trattando temi come l’ecologismo e la sete del potere in modo mirabile. E’ proprio nell’ultima parte, quella ambientata in un castello fluttuante ricco di vegetazioni e animali unici, che la fantasia del disegnatore più si scatena, regalando anche dei robot tuttofare che molto probabilmente hanno finito per influenzare Brad Bird nel suo Il Gigante di Ferro.
Arrivando ad un finale romantico ma, in tutta sincerità, un po’ enigmatico, il film ha potuto segnare nel passato per Miyazaki la sopravvivenza ancora in dubbio dello studio Ghibli, e per noi, ancora adesso, un ottimo esempio della bravura indiscutibile del maestro giapponese.
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