Magazine Racconti

Lara

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Lara
 
Inizio di un racconto?
Non lo so. Per adesso io scrivo e continuerò a farlo se ne ho tempo, voglia.
Può darsi che ad un certo punto smetto di continuare, e lascio tutto in sospeso.
Quindi, il lettore che comincia a leggere queste pagine sa in anticipo che sulla sua testa pende questa "spada di Damocle": che da un momento all'altro la storia può interrompersi per mancanza di "ispirazione" "tempo" o "altro". O può continuare.
Già: perché devono esistere soltanto autori precari? Cominciamo a costruire anche la categoria dei "lettori precari": i lettori appesi a un filo... 

*******************************************************
Caldo. Blu. Intuito. Psicologia. Chissà a cosa pensa Lara. Forse al cadavere riverso sotto la pioggia battente o al flash dei fotografi. Alle sirene che spandano nel cielo opaco quel suono sordo e bluastro o al sangue che scivola via sull’asfalto. E sì, Lara, anche questa sarà una brutta storia, una brutta notte anche per te. La vittima è celebre, un avvocato di grido. Nelle redazioni dei giornali i telefoni squillano, i cronisti impazzano. Tu già immagini il clamore che la notizia solleverà e i titoli uguali scritti a caratteri cubitali. Brutta storia come questa strada maleodorante e malfamata. Ma l’ispettore sta già tirando le sue somme. Lara lo intuisce da quel sottile sorrisino che traspare sotto i suoi baffetti. Si tratta soltanto di trovare il suo esecutore materiale. Perciò non sopporta la tua presenza su quella strada. Cosa ci fai tu quanto tutto gli è chiaro? Glielo leggi negli occhi. Nello sguardo, nei gesti, nelle occhiate ammiccanti che lancia ai suoi collaboratori. Cosa può venire a cercare un professionista serio in una strada maleodorante se non sesso? Etero/omo? Te la sei cercata. Derubato e assassinato: c’era da aspettarselo. Sarà un’indagine di routine. Normale. E si tratterà di pazientare un poco che il balordo (o i balordi) l’avrebbe presto ammanettato/i. Non sai quanto ti sbagli, ispettore. No, non accetti di prendere un caffè in quel bar all’angolo. Puttana/bastardo. Presuntuosa/presuntuoso [ecco i reciproci complimenti che si scambiano in silenzio]. Lui ci rimane male, poco importa. Tanto tu lo sai che anche questa volta avranno bisogna della tua scienza per risolvere questo caso. Domani troverai sulla tua scrivania tutte quelle foto e tu ancora una volta dovrai procedere con le tue abduzioni e deduzioni. L’ispettore ti guarda con il suo solito malevole sorriso: cosa prova nei tuoi confronti? Amore o invidia? O forse incomprensione. Del tuo metodo non ha mai afferrato niente; i tuoi successi li chiama colpi di fortuna o di culo. Il tuo metodo. Nessuno, in effetti, l’ha mai capito. Ma tu non ti sei neanche prodigato a spiegarlo. D’altronde come faresti a spiegare che il principio di quel metodo si basa su una semplice stretta di mano? Che cosa avverti in quella stretta? Un’energia? Una percezione extrasensoriale? Un segno che ti indica l’assassino? Sarebbero queste le domande banali che ti farebbero. Sarebbe difficile far comprendere a questi signori che ogni comportamento corrisponda a uno schema complementare, in base al quale, individuata la prima parte in maniera analitica si tratta di trovare la seconda che la completi, e con la quale s’incastri perfettamente. È tutta una questione d’incastri. E la stretta di mano è il tuo primo tassello per trovare la tessera che aderisce all’altra tessera. Ecco perché tu parti sempre dalla vittima. La tua teoria è abbastanza semplice, se ci pensi un po’: a farti arrivare al colpevole è sempre la vittima. La polizia scientifica lavora su un altro piano: raccoglie tutti i possibili ed immaginabili indizi che l’assassino ha lasciato involontariamente. Lavora su due variabili: arma del delitto e “motivazione”. In sostanza la sua indagine si chiude quando è stata capace di rispondere a queste due domande: che cosa ha spinto qualcuno ad uccidere qualcun altro? in che modo l’ha fatto. Osserva l’ispettore: ha già individuato la motivazione: una rapina. Adesso si tratta di trovare soltanto l’arma del delitto: un coltello, proprio di uno di quelli usati da questi piccoli balordi. Se sarà fortunato lo troverà addosso al colpevole. Sì, perché è convinto che questi delinquenti da strapazzo non si disfano di questi oggetti, ma li conservano per esibirli come cimeli, per vantarsene. Trovato il coltello, il caso è chiuso.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog