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Arusha è la base del turismo in Tanzania. Tutti passano di qui, quindi ci si respira un'aria più internazionale e solo velatamente africana. Le strade sono percorse continuamente dalle centinaia di Toyota 4x4 delle agenzie che organizzano i giri nei parchi e senza le quali è impossibile e anche non funzionale pensare ad un tour accettabile anche a livello economico. Passeggiare per le vie del centro, per ultimare le ultime incombenze diventa un piacere e una conoscenza di realtà locali che fanno parte del bagaglio di viaggio. Ecco che scopri intanto, che qui, ma in tutto l'East Africa, nessuno accetta dollari anteriori al 2006, una bella grana se non hai altro che bei dollaroni sonanti, un po' vecchiotti ma perfettamente validi in ogni parte del mondo. Qui non li vogliono, il perché un vero mistero, in cambio ti rifilano cartacce bisunte dove non riesci neppure a distinguere più il colore, pacchi di scellini svalutati ma indispensabili nella vita di tutti i giorni. Paese che vai... Anche il giro in banca è interessante, per cambiare 100 dollari devi fare quattro sportelli con controlli attenti, ma sono tutti gentilissimi, in fondo in Africa il tempo conta poco. I venditori di souvenir invece, aspettano i wazungu (plurale di mzungu) agli angoli delle strade negli incroci principali, carichi di collanine, mazze e coltelli masai, dipinti e chincaglieria varia. Difficilmente ti mollano una volta agganciato, potresti essere l'unica occasione della giornata, specialmente in questa che non è l'alta stagione, per cui l'unica speranza di sfuggire è l'arrivo di altri turisti più promettenti in direzione contraria a cui passare il venditore. Però il cappello da cacciatore bianco ci sta senz'altro, se no che turista sarei, inoltre il sole picchia forte e la testa, già non troppo a posto, va protetta con cura, che son delicato. Quasi quasi, non fosse che è un problema il trasporto, mi compro anche un divano, il modello è unico dappertutto, si vede che va per la maggiore, ma la scelta del disegno è libera.
L'appuntamento con il mio agente ad Arusha, trovato dopo lunghe ricerche su internet e che si rivelerà estremamente affidabile e professionale (lo consiglierò caldamente nel post delle istruzioni per l'uso), porta via un'altra oretta, per controllare e spiegare tutte le varie soluzioni decise via email. Don, il proprietario, ci tiene evidentemente a fare le cose per bene e mostra una certa precisione nei particolari, forse per questo si è portato dietro altre sei persone, anche per incassare il cospicuo pacco di dollari che gli si deve, contati, ricontati e controllati più volte dalla capa cassiera e poi dalla responsabile amministrativa, che redige infine una bella ricevuta ufficiale debitamente controfirmata a lettere stampatello ANGELA. Qui si usa così, e anche la presenza degli altri forse è di norma, si vede che andare in giro con una certa massa di dollari contanti è cosa da consigliare una certa prudenza. Oculati i Tanzaniani, d'altronde se non si sono fidati di ritirare i soldi che i padani volevano investire laggiù, tanto ingenui non devono essere. Tutto a posto, da adesso in poi sono nelle mani di Ernest, nerissimo bantù del lago Tanganica che da oltre trenta anni percorre le strade sterrate dell'Africa, dal sorriso largo e dalla risata sonora. Credo che ci intenderemo bene. La Toyota sembra efficiente e dovrebbe fungere alla bisogna sulle strade difficili che ci aspettano nelle prossime tre settimane. Sarà assieme casa e mezzo di trasporto e di osservazione. Bagagli a bordo, carico di acqua e benzina, ci si mette comodi sui sedili caki e finalmente si parte. Lasciamo la città a giornata inoltrata, il sole è già accecante, alto, bollente. Dopo le ultime case la strada di cui non riesci a scorgere la fine si inoltra tra colline ondulate verdissime, tagliandole diritta e senza tentennamenti.
Sullo sfondo da un lato la sagoma indovinata e coperta dalle nubi del Kili domina la pianura, dall'altro la silouhette scura del monte Meru avanguardia di altre montagne lontane, coni isolati a perdersi nell'orizzonte. Ai lati, mandrie di bovini o di capre, a piccoli gruppi o in file transumanti. Sembrano abbandonate a sé stesse, ma se guardi con attenzione, da qualche parte, sotto un'acacia spinosa o ritto su una gamba sola su di un piccolo avvallamento del terreno, c'è sempre una macchia rossa, sottile e attenta. E' un pastore masai, avvolto nel suo mantello, caldo la notte, protettivo di giorno, a coprire la faccia quando la polvere sollevata dalle rare auto di passaggio si alza implacabile, cipria fastidiosa che ti riempie gli occhi e la bocca impiegando molto tempo a posarsi di nuovo. E' un'altra delle immagini africane, una lunga strada rossa e lontano, un puntino che si muove, seguito da una lunga scia polverosa che si allarga sempre di più, una cometa maligna che ammorba la vegetazione lungo i bordi di un make-up soffocante. Puoi chiudere i finestrini quanto vuoi, all'arrivo tutto nell'auto, sedili, bagagli, zaini, vestiti e tu prima di ogni altra cosa sarete coperti di polvere rossa, da eliminare poi con cura, la sera all'arrivo, sbattendo i piedi e scuotendo le stoffe con grandi manate, mentre chi si prende carico dei bagagli è dotato di appositi scopini con cui frusta con cura i tuoi averi. Il pastore no, si avvolge nel grande mantello rosso e aspetta di seguire la mandria che si sposta adagio secondo il ritmo dell'erba che l'umidità delle piccole piogge di dicembre ha fatto crescere tenera e dolcissima. Pascoli sterminati, poi capanne di fango sparse, poi, ai piedi di una collina lontana, noti del movimento, colore, gente. E' un mercato settimanale masai. Bestiame soprattutto, ma frutta, verdura, vestiari, ciabatte e tutte le cose che possono servire alla vita di tutti i giorni. Anche se animali estranei, ma non sgraditi, andiamo a farci un giro. Seguitemi con discrezione.
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