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Lasciate che i bambini...

Da Desian
"Aprile è il più crudele dei mesi".
Malgrado la suggestione letteraria, o proprio per seguirla, vorrei lasciare una riflessione, fatta con le parole di un giornalista: secondo me, parole senza polemica e senza "pruriti" politici.
Una riflessione, appunto, che sappia magari suggerirci delle domande o delle considerazioni su quello che accade, da decenni (da sempre?), in certe chiuse stanze.
Chiuse dai muri.
Chiuse dal silenzio, dall'omertà.
(L'articolo è uscito ieri, in prima pagina, su il manifesto).
Marco d’Eramo
L’autogol del Papa
«Ma hanno perso la brocca?» mi chiede preoccupato un amico, cattolico praticante. È una domanda che molti credenti si pongono davanti alle uscite del Vaticano - sempre più scomposte e più autolesioniste - sullo scandalo della pedofilia ecclesiastica.
Riepiloghiamo: mercoledì 31 marzo il più eminente esorcista vaticano, padre Gabriele Amorth, afferma a Mediaset News che sono stati «dettati dal demonio» gli attacchi contro il pontefice del New York Times - cioè di uno dei più prudenti e sussiegosi organi di stampa al mondo -, fornendo così un impareggiabile assist alla columnist di quel quotidiano, Maureen Dowd: il Vaticano «ha bisogno di un sessorcista più che di un esorcista». Il 2 aprile, nell’imponente decoro della Basilica di San Pietro, davanti a papa Benedetto XVI, nella sua omelia del venerdì santo padre Raniero Cantalamessa, compara l’attacco «violento e concentrico» contro la Chiesa e il papa agli «aspetti più vergognosi dell’antisemitismo»: si può immaginare la reazione di ebrei che vedono paragonare un odio razziale sfociato nello sterminio di 6 milioni di correligionari con una campagna contro abusatori di bambini. Il Vaticano ha poi cercato di correre ai ripari parlando di un’opinione personale di Cantalamessa, ma il predicatore della Curia non avrebbe mai sostenuto quella tesi se l’avesse ritenuta invisa al pontefice. Infine domenica 4, appena prima della messa pasquale, il decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano, in un augurio (senza precedenti nella liturgia cattolica) ha detto a Joseph Ratzinger: «È con lei il popolo di Dio, che non si lascia impressionare dal ’chiacchiericcio’ del momento». Il «chiacchiericcio» in questione è talmente «irrilevante» che appena la Chiesa cattolica tedesca ha istallato un numero verde per raccogliere le denunce di molestie pedofile, il centralino è stato sommerso da più di 4.000 chiamate. Mai si era vista una tale serie di autogol. Ma quel che più spaventa i cattolici è la glaciale indifferenza nei confronti delle vittime molestate. Prelati e cardinali sono tutti impegnati a difendere l’onorabilità della Chiesa, la credibilità del clero, a salvare il papa dalle «maligne insinuazioni», ma mai che si senta - per lo meno a Roma - una parola di affetto, una briciola di simpatia, un partecipare, per quanto ritardato, al dolore di coloro che furono bambine e bambini o adolescenti quando erano abusati da persone adulte che avrebbero dovuto trasmettere la parola di Dio e invece... A reverendi e monsignori delle vittime degli abusi sembra non importare nulla.
Come mai? Si possono avanzare due ipotesi. La prima riguarda la civiltà della comunicazione di massa, alla cui creazione la cultura ecclesiastica è sempre rimasta estranea e implicitamente ostile, col risultato di trovarsi disarmata, di non sapere proprio che pesci prendere. In fondo è la prima volta che la Chiesa si trova presa di mira, bersaglio dei mass-media di tutto il mondo. Ed è culturalmente impreparata a reagire.
Con eccezioni rarissime, nell’ultimo secolo il Vaticano non ha mai maneggiato bene i mass-media: d’istinto, di pelle più che di ragione, solo Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II furono grandi comunicatori, e solo Joaquín Navarro Valls fu un buon Pr (public relations), prontamente cacciato da Benedetto XVI. Non c’è dubbio, la Chiesa avrebbe disperato bisogno di consulenti per gestire questa crisi.
Ma la crisi non è solo mediatica e neanche Navarro Valls potrebbe molto in questo frangente. Il problema infatti è più profondo: va molto al di là del celibato dei preti spesso addotto in questi giorni (i casi di pedofilia sono assai frequenti anche presso i pastori protestanti, pur sposati). Attiene alla concezione stessa del peccato e della sessualità nella Chiesa cattolica. Noi, e la nostra vituperata «liberazione sessuale», consideriamo la sessualità un’attitudine naturale e riteniamo il sesso fondamentalmente «buono». Anzi consideriamo che reprimerlo è nocivo. Proprio per questo, per noi c’è un abisso tra pedofilia e sesso consenziente: è il baratro che separa una libera scelta da un vero e proprio stupro, anche quando si presenta senza coercizione fisica, in quanto imposto a chi non è in grado di argomentare e difendere il proprio dissenso.
Del tutto agli antipodi è la visione della gerarchia cattolica: per lei il sesso è fondamentalmente peccaminoso, solo (parzialmente) redento dalla funzione riproduttiva. Fare l’amore senza altro scopo che fare l’amore è sempre male, è un peccato mortale. L’amore con adolescenti o infanti è peccato forse un po’ più grave, ma non qualitativamente diverso: sempre alla dannazione eterna conduce. Come nella concezione puritana (compresa quella protestante), il sesso coi minori è solo una gradazione più fosca del demoniaco, nello stesso modo in cui anche l’omosessualità è un’aggravante «contronatura». Ecco perché la gerarchia cattolica letteralmente non capisce come mai la pedofilia ecclesiastica c’indigna tanto. Si spiega così la curiosa argomentazione del cardinal Ruini, secondo cui la pedofilia sarebbe stata istigata nei preti dalla «liberazione sessuale»: circondati dall’oscenità tentatrice dei media, delle carni discinte e svergognate per strada, i preti cadrebbero «in tentazione» (come dice Gabriele Amorth).
Ruini, e con lui tutta la gerarchia, non vede che è successo esattamente il contrario: la pedofilia è sempre esistita, ma prima, in una società puritana, era equiparata alle altre trasgressioni, alla masturbazione, al sesso extramatrimoniale, e perciò non faceva tanto scandalo: era coperta dalla stessa cappa d’ipocrisia e quindi abbuonata con la stessa indulgenza. La pedofilia è diventata uno scandalo insopportabile solo quando il velo dell’ipocrisia è stato sollevato, quando la sessualità è stata (in forme pur discutibili) liberata e quindi la pedofilia si è rivelata per quel che è: un abuso
ingiustificato e ingiustificabile. Solo a questo punto la pedofilia è diventata per la nostra civiltà il male assoluto, l’equivalente laico del demoniaco.
Per capirlo, la Chiesa di Roma dovrebbe compiere una rivoluzione, ribaltare l’atteggiamento verso la sessualità e - ancor più nel profondo - la corporeità. Ma se non lo fa, rischia di pagare un prezzo salatissimo: perché – parliamoci chiaro - questo scandalo porta la crisi nel cuore della dottrina, mette in discussione il sacramento della confessione. Se la Chiesa deve denunciare alla magistratura il prete che confessa la propria pedofilia, allora la confessione va gambe all’aria come sacramento; se invece non lo fa, la Chiesa viene schiantata come complice dei pedofili, che copre i misfatti dei suoi.
Il Vaticano si trova perciò in una posizione oggettivamente difficilissima. Ma non ne esce atteggiandosi a vittima di persecuzioni mediatiche: questa crisi è l’esito di secoli di divaricazione crescente tra la morale del comune sentire e la morale della dottrina. È inutile gridare ai complotti. Mentre è patetico, persino comico, chiedere ai preti di «essere angeli», come ha fatto ieri Ratzinger.

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