Tutti facciamo buoni propositi nell'ultimo dell'anno.
Tutti facciamo agli altri auguri che vogliamo anche per noi stessi.
Che sia un anno migliore, che ci porti cose belle, che la felicità si impossessi di noi.
Come se voltare pagina di calendario avesse un effetto magico sulle nostre vite, e guardando all'anno nuovo intonso e immacolato tutto fosse possibile. Alzando quel calice di mezzanotte, tutti i desideri salgono al cielo.
Questo che è appena passato è stato un anno importante per me: ho attraversato alcuni grandi cambiamenti, ho imparato un sacco di cose nuove. Mi sento un'altra persona.
Se io ho lavorato per esserlo, tuttavia, penso anche che queste cose avvengono anche naturalmente, ed ogni giorno ci cambia un po', ci rende persone diverse.
Se siamo aperti alla consapevolezza di tutto questo, non possiamo che trarre benefici dal cambiamento insito nella crescita.
C'è una consuetudine nota a molti, nell'ultima notte dell'anno: buttare via qualcosa di vecchio per fare spazio al nuovo. Qualcuno lo fa concretamente, bruciando o lanciando oggetti dalla finestra in segno augurale, qualcuno lo fa simbolicamente.
E' per questo che in questo articolo voglio mettere la ricetta per il nuovo anno (la mia, personale, ovviamente) che prevede, piuttosto che una lista di ingredienti da mettere insieme, una lista di cose da LASCIARE ANDARE. Una ricetta al contrario.
Prendete una serie di cose che si sono accumulate nell'ultimo anno, e cominciate a togliere quello che non vi serve. Siamo bravissimi ad accumulare il superfluo, forse per istinto, forse perché siamo biologicamente determinati ad accumulare per sopravvivere. Ma arriva il momento in cui quello che non serve comincia a stare al posto di qualcos'altro.
Quando siamo insoddisfatti della nostra condizione attuale (e in questo periodo tanti abbiamo ragione di esserlo), è abbastanza inutile lamentarsi. Per quanto piangersi addosso sia una fase importante, quella del rendersi conto del problema, non possiamo permetterci che duri troppo a lungo, se questo ci impedisce di muoverci verso le soluzioni.
E' universamente noto, persino in medicina, che il pessimismo non è un buon alleato: la forza della mente è tale che l'ottimismo, invece, riesce a far miracoli, a guarire persino le malattie più ostinate, a farci produrre sostanze "magiche" che innescano a catena una serie di reazioni positive.
A volte mi trovo così dentro ad alcune abitudini da diventare incapace di cambiare.
Nel corso dell'ultimo anno ho dovuto rompere talmente tanti meccanismi consolidati dal ritrovarmi, ad un certo punto, con poche dolorose certezze. Una fase dolorosa ma necessaria, quella del dolore, che mi ha permesso di fare piazza pulita e di ricostrure.
Ma la cosa più affascinante è che quando si affronta un cambiamento significativo, si pensa che ad un certo punto si taglierà un traguardo e si sarà "giunti". E invece no.
Quello che impari strada facendo è che questo cambiamento è un percorso, è l'essere on the road again tutti i giorni, e che non si arriva mai. Augura a te stesso di non essere mai arrivato, perché finché c'è vita c'è strada da fare, e solo chi muore arriva!
Quindi la sofferenza è impegnativa, oltre che necessaria, ma la incontrerai ancora e ancora, molte volte. La benedico, la ringrazio, la saluto e la accolgo, perché mi insegna a guardare dove prima non volgevo mai lo sguardo. E poi la lascio andare, muovendomi verso qualcosa di meglio.
Ed ecco la mia "lista" di "ingredienti" che non mi servono più, e che lascio andare per fare entrare il cambiamento che desidero.
Lascio andare:
- I "si deve".
- L'attaccamento alle cose.
Sembra facile, ma in quel davvero c'è il lavoro di una vita. Sono così lontana dal sentire quello che mi piace, quello che mi serve!
Troppo spesso dimentico di chiedermi "cosa mi serve ADESSO": il qui ed ora è fondamentale, e se una cosa mi piace, mi fa stare bene, non è detto che lo faccia in ogni momento della mia vita. Ascoltare il mio corpo, sentire i suoi bisogni, momento per momento. Sempre.
- Il passato.
- Le scuse.
Sono scuse: la verità è dolorosa, e non pretende di avere ragione.
- Le cose preconfezionate.
- Il bisogno di far bella figura.
Molte delle cose che facciamo, e questo è legato ai "si deve" (vedi sopra), le facciamo per strani motivi: vogliamo piacere, vogliamo che ci dicano bravi o che soltanto lo pensino, vogliamo qualcosa in cambio, vogliamo essere riconossciuti attraverso le cose che sappiamo fare. Ma spesso tutto questo non serve.
La perfezione non esiste, ed è del tutto inutile che io la insegua attraverso il fare-fare-fare. Non sarò migliore se lavoro di più, pulisco di più, faccio di più, e così via. La qualità è decisamente migliore della quantità, ma nello stesso tempo questo pensiero mi porta a scoprire che ci sono cose che ritengo importanti e che in realtà non lo sono.
Ci saranno momenti in cui qualcuno si aspetterà da me qualcosa, ma non lo farò se questo mi porterà un disagio che si ripercuoterà sul mio benessere e, indirettamente, sulle mie relazioni significative. Sai di cosa sto parlando?
- Il giudizio.
E' davvero difficile rinunciare a giudicare: noi stessi, gli altri, le cose. Un atteggiamento ingenuo, tuttavia, come dicevo sopra ci permette il lusso della sorpresa. L'imprevedibile. Un nuovo modo di guardare molte cose. E se il giudizio nasce -sempre- da un modo rigido di percepire (una situazione, una relazione, una persona) io abbandono gli stereotipi e smetto di dare le cose per scontate. Esco dal mio -unico- modo di giudicare, e mi metto in altri panni.
- Il bisogno di controllare.
Ho imparato che tutto ciò che mi tocca davvero il cuore sembra avere una consistenza eterea: la creatività, la musica, la sensualità, la gioia di vivere, la saggezza.
Eppure la vita non si ferma, né si dirige, né le si può impedire di fare i suoi percorsi, anche quando ci illudiamo che sia in nostro potere farlo.
Ma soprattutto, ho capito che tradurre queste sensazioni in parole che siano intellegibili per gli altri è davvero arduo, perché non sono teorie ma esperienze! Ciascuno di noi ha il suo percorso personale, ed è impossibile trascinare qualcuno in una strada che non vuole fare.
Auguro quindi a tutti voi il potere del relax.Pensiamo che per essere rilassati dobbiamo stare fermi e non fare nulla.
A me piace pensare che RILASSARE porti l'etimo di allargare, sciogliere: azioni che implicano un movimento positivo e volontario, che ci permettono di AMPLIARE l'esperienza, a partire da ciò che sentiamo buono per noi stessi. Non l'immobilità, quindi, ma il cammino sulla strada della consapevolezza.
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