Vecchia conoscenza di The New Noise, i Last Minute To Jaffna non hanno certo bisogno di presentazioni da queste parti. Li avevamo già intervistati in occasione dell’uscita dello spin-off acustico Volume III e, a poco più di un anno, siamo tornati sulla scena del crimine per rimettere ordine nella loro discografia e sentire dai diretti interessati come è nata la nuova creatura.
Ciao, ci eravamo sentiti ai tempi di Volume III e avevamo accennato alla scelta di invertire l’ordine delle due uscite, oggi vede finalmente la luce Volume II, quindi possiamo focalizzarci sulla sua creazione e sulle differenze con il vostro primo lavoro…
Dano (chitarre): Ciao Michele! Credo che senza dubbio questo disco sia la naturale prosecuzione di Volume I, nonostante tutto quello che è successo e il tempo che è passato tra i due album; gli elementi musicali che li compongono sono sempre gli stessi, seppure assemblati in maniera differente. Sicuramente è un disco più maturo, tra di noi c’è più comunione di intenti, più consapevolezza dei nostri mezzi e meno paura di osare. Volume I era stato scritto in un anno da una formazione che si era consolidata da ancor meno tempo, per questo disco invece ci siamo presi il giusto spazio (e le giuste pause). Volume II è più diretto, ma allo stesso tempo più atmosferico e sperimentale di Volume I.
Che effetto fa sapere che il pubblico ha già ascoltato un paio di brani (“Chapter XIII” e “Chapter XXV”) prima in versione acustica e solo ora in versione originale?
Dano: Questo è stato il più grosso interrogativo che ci siamo posti al momento di decidere se far uscire prima Volume III o Volume II. Magari mancherà l’effetto sorpresa e chiaramente c’è chi preferirà l’arrangiamento acustico, ma alla fine poco importa: sono due versioni che esplorano dimensioni diverse della nostra idea di musica, non è che una sia subalterna all’altra.
E voi come vi siete trovati a ritornare a suonare in elettrico dal vivo dopo la pausa acustica? Proporrete ancora qualche parte arrangiata come in Volume III nel vostro set?
Dano: Per certi versi è stato liberatorio: suonare in acustico ci ha permesso di avvicinarci a determinate situazioni che in elettrico sarebbero state inaccessibili, ma a lungo andare si rischia di rimanere imprigionati nel cliché di quelli che fanno metal con le chitarre acustiche. Alla fine i nostri pezzi nascono elettrici, è bellissimo ri-arrangiarli e suonarli in acustico, ma fondamentalmente rimaniamo un gruppo elettrico, sarebbe poco onesto negarlo.
Sulla possibilità di integrare parti acustiche ed elettriche nello stesso set: sarebbe una cosa interessante ma abbastanza complessa dal punto di vista tecnico, quindi per ora non credo. Magari però riproporremo set come quello che abbiamo fatto al Varvara Festival lo scorso settembre, che è stato una sorta di ibrido tra i due. I concerti acustici, comunque, non sono stati abbandonati, ne stiamo continuando a fare parecchi alternati a quelli elettrici, perché da un lato continuano a chiamarci in acustico – come al Tube Cult Fest, che si terrà a maggio a Pescara – e dall’altro sono utilissimi per riempire i buchi che rimangono quando andiamo in giro in elettrico.
Restate comunque fedeli alla scelta di suddividere album e brani in “Volume” e “Chapter”. Mi incuriosisce sapere come siete arrivati a questa decisione, semplice pigrizia o cosa?
Dano: Per rimanere in ambito letterario, potremmo definirla una scelta di linea editoriale: non diamo titoli ai nostri pezzi e non pubblichiamo i testi, ci piace che sia la musica a parlare visto che spesso le parole sono fuorvianti.
Com’è nata l’idea di inserire una batteria stile “drum’n’bass” su “Chapter DCLXVI”? So che è stata suonata da un ospite in carne e ossa, non campionata.
Dano: È una cosa nata quasi per scherzo. Parlavamo tra di noi dell’ossessione di determinati gruppi (e anche di stampa e pubblico) per il cercare la novità a tutti i costi, e qualcuno ha fatto una battuta del tipo “facciamo un pezzo mash up mischiando a caso due generi diversissimi, così ci acclameranno come dei grandi innovatori”. Tempo dopo, jammando, è venuta fuori questa parte drone che ci piaceva… ma mancava di qualcosa. “Mettiamoci una batteria drum’n’bass!”. Detto, fatto. Abbiamo chiesto a Gigi Morello, che da anni ha un progetto in cui appunto suona drum’n’bass con batteria vera, e lui è stato ben felice di dare il suo contributo.
Compaiono altri ospiti sul disco? In generale chi sono i vostri amici stretti e affini in campo musicale oggi?
Dano: L’unico altro ospite sul disco è Mike dei Viscera///, che ha cantato su “XIV” e “DCCXV”. Con lui siamo amici da anni, con la Hypershape aveva coprodotto Volume I e i Viscera/// sono uno dei gruppi italiani che ci piacciono di più, per cui è stato immediato chiedergli di partecipare. C’è poi da citare Lorenzo dei Lento che ha registrato e missato il disco; anche con loro siamo legati da una lunga amicizia, come del resto con Zippo, Deaf Eyes/Incoming Cerebral Overdrive, Dogs For Breakfast, Threestepstotheocean, At The Soundawn, Tons, Coilguns, Marmore e mille altri ancora.
“Chapter DCCXV” si apre in maniera decisamente pesante, mi ha fatto venire in mente i Ramesses e la loro passione per l’occulto. Il che mi spinge a domandarvi di cosa trattano i vostri brani e che tipo di tematiche vi ispirano.
Valerio (voce/chitarra): Anche se ogni testo spesso è a sé stante, ti potrei dire che per esempio il testo di “Chapter DCCXV” è nato in una notte di pioggia e forse per questo è di per sé suggestivo. Infatti, le poche frasi volevano evocare le sensazioni altalenanti e opposte che si possono provare percorrendo da soli a piedi una strada buia e isolata sotto la pioggia estiva. La magia delle gocce d’acqua e delle mille piccole pozzanghere, la paura della solitudine e dell’essere in balia del clima, la sensazione di potenza che può dare disporre di vie cittadine ormai deserte nel cuore della notte… sono alcune di queste sensazioni.
Come da tradizione, anche su questo artwork appare una strana creatura, dopo la sirena e il cinghiale marino, ora c’è uno stambecco con supplemento di corna. Come è nata e chi se ne è occupato? La presenza di queste creature è in qualche modo frutto di un disegno ben preciso o si tratta di semplice casualità?
Dano: Lo stambecco è stato disegnato da Ianus, cioè il nostro bassista Gianmaria. C’è una specie di concept dietro tutto questo, hai visto bene: dall’ambientazione marina dei nostri primi dischi – passando per la creatura ibrida di Volume III – siamo arrivati alla montagna, in particolare alle montagne che circondano Torino: le fotografie di Dario Bonetto sono state scattate sul massiccio dell’Orsiera Rocciavrè, e lo stambecco è l’animale simbolo delle Alpi Graie.
Avete già delle date in programma per promuovere Volume II in primavera/estate?
Dano: Sì, siamo tornati da pochissimo da un giro in Sardegna (che è stato stupendo) e tra aprile e maggio faremo diverse date per tutto il centro/nord Italia, e anche una capatina all’estero.
Quale è la situazione live in cui vi sentite più a vostro agio e che ritenete ottimale per il vostro suono? In generale come vedete la situazione organizzativa/gestionale dei live in questo periodo?
Dano: In generale preferiamo i posti piccoli, in cui non c’è quasi separazione tra band e pubblico. Ricordo ancora una data tantissimo tempo fa al Mamamù di Napoli, un posto piccolissimo con un pubblico davvero caloroso, ci siamo divertiti molto quella sera. Riguardo la situazione organizzativa/gestionale, rischiamo di scoperchiare il classico vaso di Pandora. Negli ultimi anni suonare in giro è sicuramente diventato più complicato, c’è sempre più gente che vuole suonare e sempre meno gente interessata ai concerti, e questo ha necessariamente portato a un livellamento verso il basso delle condizioni in cui si trovano i gruppi. È un po’ un casino, diciamolo pure, perché spesso ti senti proporre delle date con rimborsi che non riescono a coprire manco le spese del viaggio.
Grazie di tutto, vi lascio le conclusioni…
Dano: Grazie a te Michele, le tue interviste sono sempre poco banali, grazie a The New Noise e a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qua. Un abbraccio, a presto!
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